venerdì 3 gennaio 2014

Le opcione giuridiche: Cinque vie legali e democratiche






In un’intervista pubblicata da sei grandi testate europee contemporaneamente, il presidente del governo spagnolo ha affermato tassativamente: "Non voglio, ma inoltre non posso [...], autorizzare un referendum [in Catalogna] per la semplice ragione che la sovranità nazionale spetta al popolo spagnolo". Queste dichiarazioni sono, per il fatto di essere non corrette, molto sfortunate. Con la Costituzione e la legislazione vigente in mano, il Sig. Rajoy ha, in effeti, il diritto di non volere autorizzare una consultazione referendaria in Catalogna. Ma, oltre alla sua volontà personale, le stesse leggi le consentono di convocare un referendum direttamente o di permettere alla Generalitat della Catalogna di organizzarne uno.


Il diritto spagnolo offre la possibilità di cinque strade per portare a termine la consultazione. In primo luogo, l'articolo 92 della Costituzione prevede la convocazione di referendum su decisioni politiche di "particolare trascendenza", su proposta del presidente del governo con la previa autorizzazione del Congresso dei Deputati. Siccome lo stesso articolo non regola l’ambito territoriale della convocazione nè le istituzioni che vi possono partecipare, dobbiamo concludere che si includono i referendum di ambito autonomico con la participazione di governi come la Generalitat della Catalogna.


In secondo luogo, l'articolo 150.2 della Costituzione prevede la possibilità di delegare o trasferire le competenze per convocare i referendum dallo Stato alle comunità autonome. Questa delega esige unicamente l’approvazione con maggioranza assoluta (che adesso ha il Partito Popolare) nel Congresso dei Deputati. Questa possibilità è, di fatto, la più simile al caso della Scozia. Nei patti di ottobre del 2012, Londra concordò con Scozia la delega per la convocazione e la celebrazione del referendum, che avrà luogo il prossimo 18 settembre del 2014.


In terzo luogo, la Generalitat può convocare un referendum con l’autorizzazione previa dello Stato mediante la legge catalana 4/2010 sulle consultazioni popolari per via di referendum, approvata per "stimolare la partecipazione ed incrementare la qualità democratica promuovendo le implementazioni di meccanismi di partecipazione dei cittadini". E’ vero che la legge autorizza la Generalitat soltanto nelle questioni di sua specifica competenza. Ma è certo anche che la Costituzione permette alle comunità autonome di chiedere che il governo centrale adotti un progetto di legge di riforma della Costituzione (art. 87) o trasmettere al Congresso una determinata proposta di legge con gli stessi fini (art. 166). E, pertanto, una consultazione come quella che abbiamo sul tavolo, diretta a chiedere l’opinione dei cittadini su una questione costituzionale, si attiene alla logica che abilita la Generalitat per iniziare un processo di revisione della legge fondamentale.


In quarto luogo, il Parlamento (catalano) sta lavorando su una legge di consultazioni popolari non referendarie (definite seguendo la dottrina del Tribunale Costituzionale) che permetterà di fare questo tipo di consultazioni senza bisogno dell’autorizzazione previa dello Stato. Ovviamente, lo Stato può chiedere al Tribunale Costituzionale la sospensione cautelare de la legge, dopo l’approvazione, e che sia dichiarata incostituzionale. Tuttavia, queste azioni rientrerebbero, ancora una volta, nel terreno della volontà politica, oltre la legalità.


In ultimo luogo, la Generalitat della Catalogna potrebbe chiedere una riforma della Costituzione che le permetta di convocare una consultazione. Se la Generalitat procedesse su questa via, lo Stato non potrebbe rifiutare di considerarla per ragioni “costituzionali" ma solo meramente politiche, perchè la Costituzione del 1978 non contiene alcuna clausola d’intangibilità che ne impedisca la riforma, sia parziale che totale.


Detto più in generale, il governo spagnolo appella spesso all’articolo 2 della Costituzione, che afferma la "indissolubile unità della nazione spagnola", per concludere che una consultazione come quella che vuole celebrare il governo catalano è incostituzionale. Indipendentemente dal fatto che l'articolo 2 non definisce in nessun momento il territorio e la popolazione che costituiscono la nazione spagnola, la posizione del governo spagnolo parte da un presupposto errato. Come indica il suo nome, la consultazione è uno strumento per chiedere ai catalani l’opinione sullo status politico della Catalogna e non è necessariamente uno strumento per cambiare la Costituzione automaticamente.


Il confronto con il caso del Quebec diventa pertinente. Come dettò il Tribunale Supremo del Canada nel 1998, pur se la Costituzione canadese (come la spagnola) non regola il diritto di autodeterminazione, l'applicazione di un principio generale di democrazia rendeva perfettamente legittimo l’atto di consultare l’opinione dei cittadini del Quebec a condizione che, in caso di vincita del si, Canada e Quebec dovevano trattare una riforma costituzionale per rendere possibile la secessione della provincia. Questo modo di concepire lo stato di diritto e la democrazia sembra perfettamente applicabile in Spagna. Manca solo la volontà politica.



CARLES BOIX Docente di Scienze Politiche e Affari Pubblici dell’Università di Princeton USA - 15/12/2013 – Ara.cat
 

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