sabato 30 novembre 2013

Grazie del boicot, amigos


"In Spagna ci stanno spazzando via. Hanno marcato la differenza tra il cava (spumante) spagnolo ed il cava catalano", spiega Pere Llopart, cavista veterano e riconosciuto. Dal boicot al cava del Natale 2004, le cantine catalane hanno potuto comprovare che l’unica soluzione per mantenere le vendite è incrementare le esportazioni in Europa e negli Stati Uniti per compensare la caduta del mercato spagnolo. Quanto ai vini, la maggioranza dei marchi non perdono neanche tempo ad inviare dei commerciali a Madrid e dintorni. Non acquisteranno nulla.

Dunque i vini catalani sono entrati in un processo di veloce identificazione con il paese. In pochissimi anni il catalano è diventato la lingua egemonica dell’etichettatura e sempre di più si valutano le varietà di uva locali, come la “garnatxa” o il “xarel·lo”. E’ l’opzione commerciale più praticabile, sia per incrementare la quota interna del mercato catalano che per competere in ambito internazionale, già saturo di prodotti standard.

Il mercato spagnolo diventa via via meno interessante per le imprese catalane, specialmente per quelle più identificabili come tali. L'antico mito del mercato “captive” esiste ormai soltanto tra i nostalgici della “encomienda”, del “quinto real” e dell’oro delle colonie. Cioè, di quella “Hispanidad” che viene commemorata.

Salvador Cot

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venerdì 29 novembre 2013

La metafora del treno

Il 13 settembre del 2009 ebbe luogo nella cittadina di Arenys de Munt la prima consultazione (non legale) popolare sull’indipendenza della Catalogna. I giorni 12 e 13 dicembre del 2009 si produsse la prima ondata di consultazioni in 167 municipi; il 28 febbraio del 2010, la seconda ondata in 80 municipi; i giorni 24 e 25 aprile 2010, la terza ondata in 211 municipi, e così via fino alla consultazione di Barcellona del 10 aprile 2011. Nell’intermezzo ebbe luogo la manifestazione “Siamo una nazione. Noi decidiamo” contro la sentenza del Tribunale Costituzionale. Dopo arrivarono la moltetudine dell’Undici di Settembre del 2012 e la catena umana di quest’anno. Questo non lo ferma più nessuno, è inarrestabile.

La imponente manifestazione dell’anno scorso con il motto “Catalogna, nuovo Stato di Europa” fu una sorpresa per alcune persone che non si erano accorte dell’enorme cambiamento prodotto in seno al movimento catalanista. La profusione di stellate nei balconi provocò un effetto mimetico intorno al 12 ottobre quando si videro alcune bandiere spagnole, e tutto prese forza con la convocazione di elezioni anticipate per il Parlamento catalano e la conseguente campagna elettorale del mese successivo. Adesso non si vedono più bandiere spagnole ma le stellate catalane continuano lì imperterrite.

Assecondando gli aneliti dei cittadini, il Parlamento ha approvato nel mese di gennaio la Dichiarazione di Sovranità con una larga maggioranza e a luglio si è costituita la Commissione di Studio per il Diritto a Decidere che doveva proporre la domanda e la data del referendum e queste saranno dibattute nella sessione plenaria del Parlamento catalano di dicembre. Dopo, sarà il momento del governo, perchè sono i governi a culminare i processi d’indipendenza. Finora, il Governo si è mosso solo sul terreno delle dichiarazioni e dei gesti simbolici: ha creato il Consiglio per la Transizione Nazionale, ha promosso il Patto Nazionale per il Diritto a Decidere, ha approvato una voce di bilancio per organizzare il referendum. Ma, una volta sapremo la data e la domanda del referendum, il governo dovrà guidare il processo, un pocesso che non farà più marcia indietro. La società catalana spinge con tanta forza, il movimento indipendentista ha raggiunto una tale massa critica ed è così trasversale che il governo non ha altra possibilità che andare avanti. Altrimenti, la maggioranza lo butterà fuori.

Tempo fa fece fortuna la metafora del treno per spiegare che le persone che non condividevano lo stesso orizzone nazionale potevano percorrere insieme una parte del tragitto e lavorare insieme per il paese. Ultimamente si sono proposte, dalla Catalogna, diverse formule per la cosiddetta terza via, cioè, quelli che non vogliono l’indipendenza ma non vogliono neanche che tutto resti come ora, ma Madrid non vuole sentirne parlare. I politici spagnoli, negli anni passati, hanno alimentato così tanto l’anticatalanismo per motivi elettorali di corto respiro che, adesso, anche volendo non potrebbero più capovolgere la frittata. Non vogliono nè possono.

Non ci sono terze vie. Nella metafora del treno, adesso si sente dagli altoparlanti una voce che dice che, per cause indipendenti dalla volontà della compagnia, cioè, per ordine di Madrid, il treno non si fermerà alla prossima stazione. Madrid –il Madrid politico, economico, mediatico- è convinto che il treno va verso il baratro e che qualcuno all’interno si agiterà e lo fermerà.
Ma quelli che siamo sul treno (tutti i catalani), sia i sostenitori che i contrari all’indipendenza ed anche gli indecisi, sappiamo che non c’è nessun baratro alla fine del tragitto. Perfino il presidente del gruppo Planeta, José Manuel Lara adesso dice che, nel caso di una Catalogna indipendente, andrebbero via soltanto le case editrici in lingua castigliana ma, la sede del gruppo e anche lui stesso resterebbero in Catalogna.

Siccome il treno non si ferma in tutte le stazioni, sta prendendo velocità. Madrid proporziona ali al processo. Forse qualcuno si butterà giù dalla finestra, ma nessuno azionerà l’allarme per fermare il treno. Il conducente, che è il governo, non ascolterebbe perchè in caso contrario, la società catalana cambierebbe conducente.
In Catalogna tutti sanno che il treno non va verso il baratro –e neanche verso il paradiso-, ma si dirige sicuramente verso un futuro migliore.

Roser Cavaller - 22/11/2013 Nacio Digital.cat

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giovedì 28 novembre 2013

Tutti quelli che ci lasciarono per non lasciarci mai


Domenica, 20 ottobre: 35° Incontro del “Colle de la Manrella”, in ricordo e in omaggio al Presidente Companys e a tutti gli esiliati e vittime della guerra del disastro nazionale.
L’anno 1945, Francesc Trabal, dal Cile, scrisse delle righe perfette, forse il miglior riassunto per farci capire cosa fu una patria strappata e la tragedia del grande esodo di un popolo. Tutto l’esilio in una sola lettera. Dice così:
“Un giorno, Anna Maria, comprenderai perchè ti parlo di queste cose, cose che forse avrai visto oppure no, ma chissà se ti sarai accorta che sono tutte Catalogna, la stessa Catalogna che un giorno di un mese di gennaio lasciavamo porgendo la schiena alla Francia, al di là di Agullana (...). La lasciavamo e non sapevamo se era per sempre. E ci siamo fermati prima di dirle addio.

Eravamo un gruppo di catalani che lasciavamo tutte quelle cose per difenderle. Eravamo muti allora perchè sapevamo che un grido, una parola pronunciata in catalano avrebbe provocato una catastrofe: saremmo caduti in ginocchio, chissà, senza il coraggio di voltare la schiena. Nessuno pronunciò parola. Dritti, sopra la cima, i capelli ricevendo l’ultima carezza dei nostri Pirenei, avevamo le bocche chiuse, il cuore stretto, l’anima asciutta. Quanto tempo siamo rimasti così? Nessuno potrà mai precisarlo. Vedevamo le fiamme di un gruppo di paesini giù nella valle e sentivamo il suono delle bombe e le cannonate. Più vicino si sentivano già gli spari dei fucili. Nessuno proferiva parola. Guardavamo lontano, lontano... così lontano quanto il nostro sguardo permetteva. Tu non lo sapevi ma in quell’istante ti abbiamo vista, ti vedevamo. Tu non lo sapevi, non potevi sospettare nulla, non avresti compreso niente. Ma lasciavamo la Catalogna per te. Per difenderti. Per restiuirti la Catalogna che stavamo portandoci via. Non sapevamo andarcene. Stavamo zitti per poterti ridare la parola. Conservavamo la lingua, che stavano per strapparti. Non sapevamo se saremmo potuti tornare. Non sapevamo, non sappiamo se un giorno potremo tornare da te, ma sapevamo, sappiamo, che la lingua catalana sarebbe ritornata a te, che la lingua catalana sarebbe stata la tua lingua, che tu eri Catalogna e se ti lasciavamo era per non lasciarti. (...) Uno di noi si accuciò, si mise in ginocchio con calma e baciò la terra. Non ricorderai mai che in quell’istante la tua mano piccola aveva toccato le tue labbra e una sorta di pulviscolo dolce ti aveva sfiorato: tutti noi, quelli che andavamo via, che non sapevamo se era per sempre, avevamo appena baciato te. Era l’addio, era l’arrivederci? Affinchè un giorno tu potessi comprendere, ci disponevamo (...) a seguire la via della strada più lunga, se così potevamo salvare la tua voce.

In quel momento non sentivamo nostalgia. Dritti di fronte alla Catalogna, muti, conservando nel cuore il tesoro della nostra lingua sentimmo, questo si, una grande tristezza, un’infinita tristezza. Non avevamo l’impressione di lasciare la Catalogna, che sentivamo con noi, se eravamo o credevamo di essere noi. Ma mai come allora, come fino ad allora, ripetevamo con unzione e di cuore queste parole: «Dolce Catalogna... patria del mio cuore». Ogni lettera era una lacrima, ogni sillaba un pianto. Dolce Catalogna... Avremmo saputo conservarla degnamente? Avremmo saputo restituire la Catalogna che stavamo portando via alla Catalogna che rimaneva? Allora, Anna Maria, non sapevamo se saremmo stati degni di quella nostalgia. Scendevamo in terra francese, sacerdoti di una causa santa. Nessuna parola fu detta. Ma i nostri cuori ripetevano a bassa voce: «patria del mio cuore», «patria del mio cuore», «patria del mio cuore»...

Francesc Trabal, 1945. Dolce Catalogna, patria del mio cuore...Ad Anna Maria [sua nipote], perchè un giorno potesse comprendere.

Domenica renderemo omaggio al presidente Companys, ma anche a tutti i Franceschi  Trabal del mondo, tutti quelli che ci lasciarono per non lasciarci mai.

Quim Torra – El singular digital - 17/10/2013

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martedì 26 novembre 2013

Il passo falso


Ieri l’on. Duran nel Congresso spagnolo –chi lo avrebbe detto!—avvertiva della possibilità che la Catalogna potesse proclamare unilateralmente l’indipendenza. E ha risposto duramente il ministro Montoro. Senza dirlo, ha insinuato chiaramente quello che la giornalista Pilar Rahola aveva già annunciato in un’intervista molto commentata in rete, pubblicata sul nostro giornale lunedì scorso: che commissarieranno l’autonomia. Il dibattito, dunque, sembra prendere corpo e preannuncia quello che potrebbe essere il nodo gordiano del processo indipendentista, una decisione che se il governo spagnolo oserà prendere sarà il passo falso definitivo.

Immaginiamocelo. Immaginiamo che il governo spagnolo annulla l’autonomia. Legalmente è molto discutibile. L'articolo 155 della costituzione spagnola non dice nulla e qualsiasi decisione in questo senso cozzerebbe frontalmente con l'articolo 2. La risoluzione giuridica sarebbe molto complessa e spingerebbe lo stato verso un vicolo cieco. Al punto che, previsibilmente, il governo catalano potrebbe perfino invocare la costituzione spagnola per disobbedire formalmente gli ordini.

E qui arriva il punto interessante. Immaginiamo che il governo spagnolo decreta la dissoluzione della Generalitat della Catalogna o la sostituzione del presidente Mas per un qualche burattino del governo. Suppongo che pensano che questo sarà sufficiente. Ma dovrebbero spiegarci quale ripercussione concreta avrebbe questo gesto.

Perchè, per la prima volta in trecento anni, tutto dipenderà da noi. Immaginiamo che dopo aver saputo che il governo spagnolo ha decretato la dissoluzione del governo, il presidente Mas non si muove dal Palazzo del governo. I consiglieri (ministri catalani) restano ognuno nel proprio dipartimento. I deputati continuano a legiferare in parlamento. La polizia catalana, continua a pattugliare le strade. Le scuole e gli ambulatori, aperti. A cosa servirebbe il decreto spagnolo in questo caso?

Non è difficile da immaginare che i comuni, i partiti politici, le associazioni di ogni tipo, le imprese, i collettivi potrebbero dichiarare immediatamente lealtà al governo legittimo della Catalogna. Vista la situazione nel paese, un movimento di questo tipo sarebbe ampiamente maggioritario ed implicherebbe il governo del territorio direttamente da Madrid da parte di autorità non legittimate. E cosa potrebbe fare Madrid a quel punto? Come piegherebbe la ribellione catalana?

Ogni volta che qualcuno parla di questa cosa del commissariamento mi sovviene la scena, le immagini che ho appena descritto. E vedo tutto questo come un enorme passo falso della Spagna. Così grave che faccio fatica a credere che non ci abbiano pensato. Perchè probabilmente sarebbe l’ultimo e definitivo passo.
Vicent Partal - 17.10.2013 - Vilaweb



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domenica 24 novembre 2013

Miquel Roca dice che "nemmeno un solo articolo" della Costituzione impedisce di convocare una consultazione







L'ex-dirigente del partito CiU, giurista e uno dei padri della Costituzione spagnola, Miquel Roca Junyent, ha affermato che nel testo costituzionale "non c’è niente, nemmeno un solo articolo" che impedisca di convocare una consultazione in Catalogna per decidere il proprio futuro. Roca ha difeso che "non si può non ascoltare quello che dice il popolo" ed ha sottolineato che nessun articolo della Costituzione può "mettere in discussione un principio fondamentale, cioè, che la democrazia riposa sull’obbligo di ascoltare i cittadini".





Roca ha indicato che una consultazione di autodeterminazione "sarà costituzionale se c’è la volontà politica di lasciare che lo sia" e, perfino, ha rivendicato que "il miglior riconoscimento ad una maggioranza silenziosa è dare voce ai cittadini in una consultazione con voto segreto".





Roca si è presentato questo martedì davanti alla Commissione di Studio del Parlamento sul Diritto a Decidere ed ha riconosciuto di sentirsi ancora soddisfatto di aver partecipato alla stesura della Costituzione, ma ha aggiunto che "un’altra cosa è vedere quello che si è fatto con lei e come l’hanno interpretata”. Per questo padre della Costituzione, "l’interpretazione flessibile" del testo nel riconoscere il carattere nazionale catalano "ebbe un punto finale al momento della sentenza del Tribunale Costituzionale" sullo Statuto, un fatto che suppose "una grave rottura del modello autonomico".







"La Generalitat non nasce con la Costituzione"





Secondo l’ex-portavoce di CiU nel Congresso, quando dallo Stato si nega la sovranità alla Catalogna per decidere il proprio futuro "si dimentica che la Costituzione la riconosce in modo chiaro ed esplicito come una responsabilità, cosa che comporta la pre-esistenza del fatto nazionale catalano, cioè questo fatto non si crea ma si riconosce la sua pre-esistenza". Roca ha insistito nel dire che "la Generalitat non nasce nè si crea con questa Costituzione, perchè esisteva molti anni prima" e che quello che fecero fu “restaurarla dopo il periodo di dittatura".





Inoltre, di fronte alla possibilità che viene accennata spesso nei circoli unionisti (a metà tra lo scherzo e la minaccia) di fare la consultazione in tutto il territorio dello stato, ha detto che "si verificherebbe una situazione assurda: fuori dalla Catalogna il referendum sarebbe consultivo e dentro la Catalogna sarebbe vincolante; lo dice la costituzione".

3/24 TV - Redazione -

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Presidente Mas, il peggio deve ancora arrivare

Il presidente Mas, per un scherzo del destino e della storia, si trova al comando della maggioranza sociale di questo paese che con illusione e fermezza si è posta davanti alla classe politica ed ai poteri forti per raggiungere la normalità nazionale: essere uno stato in Europa e nel mondo. I nemici della libertà della Catalogna credono che fermeranno questo processo distruggendo personalmente il Presidente Mas, perchè non sanno o non vogliono conoscere il rumore di sottofondo che arriva dalla società catalana, stanca di essere umiliata, disprezzata ed espoliata. Voi, Presidente, quello che avete fatto è raccogliere la sfida e guidarla come presidente del paese.


Negli anni 80, durante il terzo congresso del partito CDC e dopo lo eccezionale risultato del gruppo che voleva cambiare il nome di Convergenza Democratica di Catalogna (CDC) con quello di Partito Nazionalista Catalano (PNC) –quando gli indipendentisti eravamo una piccola minoranza all’interno del partito–, l’on. Miquel Roca mi disse: “Michele, avete avuto un buon risultato ma guarda indietro. Quanta gente ti sta seguendo? Quanta gente è disposta a rischiare? E, inoltre, dovrai scontrarti con Jordi Pujol (leader di allora), che non vuole sentir parlare di indipendentismo.”




Adesso, presidente Mas, tutto è diverso, la ruota gira. La spinta delle nuove generazioni ed il cambiamento del nazionalismo e del catalanesimo storico verso l'indipendentismo fanno sì che dietro di Lei ci sia tutto il paese, la brava gente sovranista ed i militanti indipendentisti di sempre, che accettano la vostra leadership semprechè non si faccia alcun passo indietro. CDC, ERC e una buona parte di UDC, di ICV e di larghi settori del PSC (oltre ai movimenti sindacali ed anche una parte della confindustria catalana) sono a favore del diritto a decidere. E la società civile, tesa e mobilitata come mai prima d’ora, vede l’opportunità storica che non aveva osato neanche di sognare: ora o mai più, Presidente, come avevate detto all’inizio della Vostra seconda legislatura.




Dovevamo aspettarci l'attacco diretto alla Vostra persona, Presidente. Hanno fatto il massimo che hanno potuto per distruggerVi all’interno di una strategia ancora trattenuta rispetto a quello che vorrebbero fare e non fanno. Sanno che i secoli XIX e XX avvrebbero offerto una soluzione manu militari e, addirittura, forse avrebbero usato il terrorismo di stato.




Ma adesso siamo nel XXI secolo e nonostante tutto quello una Costituzione fatta per non disturbare i franchisti permetterebbe loro, si tratta di un testo che il 60% della popolazione non ha votato. Al giorno d’oggi, la società non accetterebbe l’uso della forza per porre fine ad un’aspirazione democratica. Spero che questo uso della forza non venga accettato nemmeno da quelle forze armate spagnole che non hanno votato la Costituzione le quali, dopo l’esperienza internazionale in conflitti acquisita, spero non vorranno impelagarsi in casini interni, come evitano di fare i loro compagni della NATO. Lo Stato e le sue istituzioni sanno che la società spagnola, la catalana, l'europea ed il mondo intero no perdonerebbe loro di adulterare la volontà maggioritaria di un popolo.




Credo, Presidente, che possiamo stare tranquilli ma che dobbiamo stare all’erta. Con buon senso, con responsabilità, i catalani dobbiamo proseguire nella tabella di marcia verso la libertà ma senza essere ingenui. I 14 mesi che mancano alla fine del 2014, dunque, dovremo essere fermi: saranno mesi molto difficili. Lo Stato e la quinta colonna in Catalogna, molto ben alimentata dallo Stato, faranno di tutto per tentare di sbaragliare il processo sovranista. Contrapporranno le forze politiche catalane tra di loro, la società civile, i settori economici sovranisti... e, se non ci riescono, tenteranno di avviare l’ultima fase di destabilizzazione: distruggere il bene più pregiato della Catalogna, la coesione sociale del paese, la Catalogna che si sente un sol popolo.




Presidente, la miglior difesa è stata sempre un buon attacco e questo Vi obbliga ad accumulare forze senza eccezioni. Eccezionalmente, dovete porre dietro a Voi tutti quelli e quelle, di qualunque opzione politica essi siano, che vogliono la libertà della nostra nazione. Non possono esserci più dubbi. E’ il momento di mettere seriamente in marcia le strutture di stato e blindare quelle che abbiamo già. E’ prioritario rinforzare o avviare quelle strutture fondamentali: mezzi di comunicazione, reti di comunicazione, sicurezza, servizi esteri e apparato elettorale. Smettiamola di temporeggiare e mettiamo in moto, definitivamente, la finanza propria. Tutto quanto deve essere diretto da un nuovo esecutivo –adesso si, dei “migliori”– formato da referenti duri che amministrino i prossimi 14 mesi. Uomini e donne trasparenti senza “tetti di cristallo” che, quando il popolo li veda, possa considerarli i referenti plurali di tutti quelli che vogliono il diritto a decidere.




Presidente, c’è bisogno di un governo fermo al Vostro fianco che non presti il fianco all’immagine che vogliono trasmettere contro di Lei, quella che sostiene che siete un Presidente solo ed isolato. L’attacco, se fate questo passo avanti, sarà durissimo. Bisognerà resistere e ancora resistere. Ma, Presidente, se guardate indietro vedrete dietro di Voi la brava gente del paese che desidera cogliere l’opportunità di questa piccola crepa che si è formata adesso verso l’indipendenza.




Con fermezza, Presidente. Non siete da solo, come vogliono e dicono... E chiedeteVi: chi ha paura della consultazione? Ed agite di conseguenza.




Avui.cat –31/10/13 - Miquel Sellarès email protegit

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sabato 23 novembre 2013

Emotivo articolo dello scrittore lettone Otto Ozols in favore dell’indipendenza della Catalogna






'La Via Catalana è la Via di decine di milioni di europei.' Questo è il titolo di un articolo pubblicato nella Latvians Online da Otto Ozols, uno degli scrittori più popolari della Lettonia, il quale difende l’indipendenza della Catalogna. Dice che la gente dei paesi baltici e dei paesi nordici vedono con simpatia le aspirazioni catalane; che l'autodeterminazione ‘è nelle radici degli ideali fondanti dell’Europa' e che, fino a quado la Catalogna non sarà indipendente, lui sarà un catalano in più.







L'articolo comincia così: 'L'11 di settembre, centinaia di migliaia di catalani si sono uniti per formare una catena umana di 400 chilometri di lunghezza. Il loro scopo e desiderio furono profondamente compresi da decine di milioni di europei.




Il proprio stato indipendente: un sogno durato secoli per irlandesi, polacchi, finlandesi, norvegesi, estoni, lettoni, lituani e molti altri europei. Tutti dovettero intraprendere una lunga e difficile "strada" per realizzare il sogno di uno stato indipendente. Il ricordo delle loro lotte per l’indipendenza è sacro per questa gente –i loro genitori e nonni hanno sognato ed ambito, molto spesso sacrificando la cosa più pregiata, la propria vita.




Pertanto, nel fondo del cuore, milioni di europei capiscono e sostengono le aspirazioni catalane per uno stato proprio indipendente. Per loro, i catalani non sono dei separatisti qualunque. Sono gente eroica che tenta incessantemente di soddisfare il sogno dei propri avi di avere uno stato indipendente.'







Un esempio per i rapporti tra la Catalogna e la Spagna




Dopo ricorda il raggiungimento di questo sogno da parte dei polacchi, e menziona il caso della Finlandia e dei paesi baltici: Estonia, Lettonia e Lituania.




'Il parallelismo più vicino alla situazione tra la Catalogna e la Spagna si potrebbe trovare nei paesi nordici: la Danimarca, la Norvegia, l’Islanda, la Svezia e la Finlandia. [...] L'esempio degli stati nordici ci insegna che anche in un recente passato, i potenti regni europei furono capaci di riconoscere l’indipendenza dei popoli vicini e permisero loro di diventare stati ricchi e fieri. Adesso tutti sono universalmente riconosciuti. Una delle ragioni del successo che riuscirono ad ottenere è che i loro rapporti smisero di essere dominati dall’astio e si dedicarono alla cooperazione e competizione amichevole. Tutti impararono a competere tra loro per avere migliori idee e soluzioni ai problemi. [...] Questo esempio potrebbe essere una stupenda tabella di marcia per i futuri rapporti tra la Catalogna e la Spagna, ed è stato profondamente capito sia dagli europei del nord quanto da tutte le nazioni e gli stati di Europa. Per questo la gente dei paesi baltici solidarizza con il sogno dell’indipendenza della Catalogna'.









L'autodeterminazione è nell’ideale fondazionale dell’Europa




A continuazione, cita un testo dello scrittore, pensatore ed ex-presidente della Estonia Lennart Meri, che dice: 'La diversità delle culture grandi e piccole dell’Europa è la chiave per capire la creatività europea. La ricchezza mineraria dell’Europa è relativamente insignificante. L’Europa non è mai stata un giardino paradisiaco. L’Europa è la creazione della sua gente e qualcuno potrebbe aggiungere, poeticamente, che l’Europa ha creato gli europei in segno di gratitudine. L’idea di libertà, fraternità e eguaglianza potrebbe essere nata in molti altri luoghi del mondo, ma soltanto poteva radicarsi in primo luogo qui, in Europa.'




Lo scrittore lettone continua: 'Lennart Meri non è più tra noi, ma la sua profonda convinzione continua viva: che la libertà delle nazioni, inclusa la libertà di autodeterminazione si trova nell’ideale fondazionale dell’Europa. La burocrazia, le leggi complicate, la paura del cambiamento non possono essere usate per rifiutare a nessuna nazione il diritto di decidere il proprio futuro. Bisogna permettere ai catalani di decidere il proprio futuro. Queste nazioni europee che raggiunsero il loro sogno non possono tradire oggi gli ideali dei propri avi, nel momento in cui dei fratelli europei --i catalani—lottano per rendere realtà gli stessi ideali.




Pertanto, come lettone dico che sarò un catalano in più fino a quando la Catalogna non sarà libera ed indipendente. Credo ed spero che milioni di irlandesi, polacchi, finlandesi, lituani, estoni e molti altri si sentiranto anch’essi catalani.'







Vilaweb. 24.10.2013

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venerdì 22 novembre 2013

L’ambasciatore degli Stati Uniti fa tremare la Spagna: “Non conosco nessuna delle 500 ditte degli USA in Catalogna che abbiano pianificato di andarsene”





Dopo esser stato ricevuto ieri da Artur Mas, l’ambasciatore degli USA in Spagna, James Costos, afferma in un’intervista a “La Vanguardia”, che “fino ad oggi non ho sentito nessuna delle 500 imprese degli Stati Uniti in Catalogna che stiano facendo cambi o che abbiano pianificato di andarsene”.

Con questa dichiarazione Costos contraddice il presidente della Camera di Commercio degli USA in Spagna, Jaime Malet, presidente della ditta spagnola, Telam International Business Partner, e vicino alle tesi del governo spagnolo, che aveva commentato che l’indipendenza della Catalogna potrebbe portare a una dislocazione massiva dei posti di lavoro ed alla fuga delle imprese straniere, specialmente statunitensi.

Aggiunge inoltre che Jaime Malet ha relazioni con queste imprese, però che i suoi punti di vista non rappresentano quelli del Governo degli USA, e che è possibile che qualche società potenzialmente interessata a venire in Catalogna abbia adottato la strategia di aspettare per vedere cosa può accadere.

Costos ha insistito che non si parla della Catalogna, perché è una questione interna, ed è la posizione che si deve adottare, però si è interessati a vedere come si svilupperà nel futuro.

Mas e l’ambasciatore degli USA si sono incontrati al Palau de la Generalitat. In seguito Costos è stato ricevuto dalla Presidente del Parlamento, Núria de Gispert, accompagnato dal Console Generale a Barcellona, Tanya C. Anderson.

I contatti di Costos con la Catalogna fanno tremare la stampa spagnola, con titoli come il digitale dialogolibre “Gli Stati Uniti rendono omaggio ad Artur Mas”, o non tanto espressivi in altri mass media più importanti, come la ABC, che pubblica la cronaca dell’agenzia EFE, “Mas riceve il nuovo ambasciatore degli Stati Uniti in pieno dibattito sulla sovranità”.

Costos, ex-vicepresidente della multinazionale della comunicazione HBO, e dichiarato difensore dei diritti degli animali, fece parte parte della giunta direttiva di The Human Society, una delle principali organizzazioni nord-americane in difesa degli animali, ed applaudì pubblicamente al divieto delle corse di tori in Catalogna, che ha avuto una forte ripercussione in molti settori degli USA.

Araomai.cat

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mercoledì 20 novembre 2013

Per quando venga un altro giugno

L'11 di settembre, anche il cielo si arrese . Ero uno straniero in una terra che mi ha accolto . Una Terra sa quando un popolo si alza in piedi per difenderla . Una Terra che si è imposta a nuvole e pioggia . Una terra che trasuda sudore ,sangue e cultura. Sulla strada, fra i palazzi , nell’ erba, con le caviglie nel fango e all'ombra degli alberi . Una terra ed i suoi confini abbracciati da un cordone ombelicale fatto di mani e dita che si stringono . Sorrisi , cani abbaiando ,auto parcheggiate. Una Terra che tornerà a trionfare . Una mattina fredda. Barcellona in attesa, Sabadell meno grigia , la Selva colorata d’un verde nuovo. Le quattro barre coronate con la stella. L’effige presente. L’effige al vento. L'emozione che si respira. Un momento che è così denso da potersi tagliare con un coltello. Le falci affilate pronte per un altro giugno. La linea di un orizzonte fatto di teste, code, capelli. Con le spalle al nemico. Il volto al futuro. Magliette gialle dappertutto. Il popolo come un girasole che si apre. Il popolo unito. Come un serpente che anche senza mordersi la coda sembra infinito. La più alta espressione della democrazia. Una voce che vale più di mille parole. Un continuo non dimenticare. La memoria si fa presente. I giganti e le Senyeres. Lluís scalzo versando il suo sangue per i suoi ideali. Il grande Nonno difendendo gli stessi ideali di Lluís. La morte è tale solo se si accetta. I ricordi non muoiono mai. L'inno rimbomba a migliaia di chilometri . La Terra ha un nome. Radici immaginarie scendono in profondità nel fango e fra le pietre. Le 17:14. Sconosciuti che si danno le mani. Sconosciuti che non sono più tali. Lacrime. Ora è il tempo dei mietitori. Il serpente si muove. Mostra i denti. Canta la sua storia. L'adrenalina aumenta. Che tremi il nemico. Casanova, la vendetta catalana, Roger de Flor ,il generale Moragues e gli Almogavars. Sentirsi uno di loro. Sentirsi catalano. Quando l'identità è sinonimo della fede che si sceglie di abbracciare. Mi sento catalano. Visca la Terra. Lliure.

Riccardo Cabbia

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sabato 16 novembre 2013

L’Europa include la Spagna nella “lista nera” dei paesi senza libertà, come unico paese al mondo che non consente di ispezionare il proprio regime





La Spagna è l’unico paese del mondo che non consente all’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) di indagare sul regime di monarchia dei partiti – o partitocrazia. Proprio per questo motivo la Spagna è stata inclusa nella “lista nera” dei paesi che restringono la libertà, insieme alla Serbia, Bosnia-Erzegovina, Russia, Bulgaria, Albania, Azerbaigian, Uzbekistan, Kazakistan e Kosovo. Oltre a condannare la Spagna, la OCSE si compiace dei miglioramenti a livello democrativo avvenuti in Turkmenistan, Afghanistan, Moldavia, Kazakistan, Bielorussia, Azerbaigian, Ucraina e Montenegro a livello di politica penitenziaria, rapporti esteriori, giustizia, industria, libertà di stampa, proprietà intellettuale, violenza di genere e ecologia.



Al contrario, la Grecia, l’Italia, il Portogallo, la Svizzera, il Regno Unito, gli Stati Uniti, la Croazia, l’Ungheria, la Moldavia, la Polonia, la Serbia, la Slovacchia e l’Ucraina hanno permesso all’OSCE e a diplomatici indipendenti – in qualità di osservatori – di condurre delle ispezioni, con il fine di monitorare se vi sono le condizioni democratiche previste, come il diritto di riunione e di manifestazione.



Tutti i diplomatici del mondo hanno guardato con stupore come la Spagna stia reprimendo il diritto di manifestazione e di riunione dei suoi cittadini e iniziano a spiegarsi, così, come un paese con 6 milioni di disoccupati, 2 milioni di esiliati e 1 milione di bambini malnutriti non si riversi in strada più di sovente per protestare contro le autorità. Infatti gli appunti della OSCE sono una lettura obbligatoria per il mondo diplomatico e vengono inviate alle ambasciate di tutti i paesi in essi citati.



Questo organismo ufficiale dell’Europa, che si incarica di controllare le libertà in quei paesi che si vantano della propria democrazia, lo scorso venerdì a Vienna si è trovato obbligato ad emettere un comunicato ufficiale nel quale condanna la Spagna per l’espulsione di sei diplomatici che si erano recati a ispezionare la manifestazione che – con il motto “Scacco al Re” – aveva come obiettivo quello di protestare contro la corruzione dei reali spagnoli e dell’assenza di un referendum che legittimi la presenza di una monarchia, insieme all’esigenzia di un progetto costituente che stabilisca le basi per qualsiasi regime democratico: divisione dei poteri, elezione diretta dei rappresentati, libertà di manifestazione, ecc…



La OSCE è, ad oggi, l’organizzazione mondiale più influente a livello politico e la Spagna vi aderisce, motivo per il quale i diplomatici democratici sono rimasti perplessi: “con 57 stati tra Europa, Asia Centrale e Nord-America, la OSCE è la maggiore organizzazione di sicurezza regionale al mondo”, segnalano. Tra i numerosi osservatori, figurano anche i nomi dei sei diplomatici espulsi dalla Spagna: Omar Fisher, Irina Urumova, Aleksandra Dloubak, Bartlomiej Lipinski, Marcin Jezulin e Yevgenia Aretisova.



Con questo gesto poco comune e pieno di significato, il comunicato ufficiale della OSCE contro la Spagna è stato firmato dal diplomatico sloveno Janez Lenarcic, massimo rappresentate e direttore dell’ODIHR (Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani). L’ambasciatore Lenarcic ricorda che la Spagna si è compromessa, di fronte alla conunità internazionale, a garantire la libertà di riunione e il controllo internazione che lo verifichi dev’essere preservato in ogni momento.



Con l’arrivo di un nuovo governo del PP e l’alleanza stabile con il PSOE, l’unica cosa che la OSCE ha potuto verificare è che si tratta di “un cambiamento sorprendente”, dato che prima le autorità diplomatiche potevano monitorare lo stato delle libertà in Spagna “con buona cooperazione”, mentre ora non possono – dato che i rappresentati inviati sono stati espulsati.



Quattro mesi fa – più precisamente a maggio – il presidente spagnolo Mariano Rajoy e il ministro García Margallo “si erano impegnati a cooperare in modo assoluto” con la OSCE, per far sì che i suoi ispettori potessero monitorare lo stato delle libertà spagnole.



Dopo le numerose immagini apparse sulle televisioni e i giornali di tutto il mondo con la forte repressione della manifestazione “Rodea el Congreso”, convocata dalla “Coordinadora 25-S” (la stessa associazione di cittadini che ha organizzato “Scacco al Re”), i diplomatici internazionali temevano il peggio.



Ed è quello che è successo: 1400 poliziotti per un numero di manifestanti stimato tra i 2000 e i 9000, secondo il Governo o gli organizzatori rispettivamente, oltre a arresti, identificazioni di massa, chiusura di una fermata della metropolitana (Opera) per impedirne l’accesso, blocco degli autobus dei participanti, ecc. Durante lo scorso 25-S tutto questo è stato accompagnato anche da attese prolungate nei commissariati, multe, aggressioni da parte della polizia e persino la “confisca” di materiale “sovversivo”, dato che – secondo il Governo di Madrid – Cristina Cifuentes, ancora convalescente, sosteneva che le aste delle bandiere e i cartelloni erano in realtà strumenti preparati per “aggredire” la polizia.



Ciononostante, l’ambasciatore Janez Lenarcic non sembra credere alla versione che le autorità spagnole hanno dato circa il rifiuto delle verifiche: “l’opposizione improvvisa da parte delle autorità spagnole presenta un motivo di preoccupazione per le intenzioni”, dice la OSCE in un documento pubblico, chiedendo anche ai politici spagnoli al potere di “garantire pieno rispetto delle libertà di manifestazione pacifica, in accordo con gli impegni presi con la OSCE e le altre norme internazionali sui diritti umani”.



Il fatto è che per la OSCE ogni paese ha un problema e questo si riflette nelle proteste dei cittadini, ma è la repressione da parte dei Governi a metterlo ancora più in evidenza: in Spagna “l’istituzione della Monarchia”, in Serbia l’uguaglianza degli omosessuali, in Russia, Azerbaigian, Uzbekistan e Kazakistan la libertà di stampa, ecc…

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venerdì 15 novembre 2013

Il Memorandum Spagnolo


Con lo Studio “Recuperare la Spagna” – sottoscritto da magistrati, accademici e tecnici- il nazionalismo spagnolo ha messo in circolazione un memoriale di rimostranze ed al tempo stesso un manuale di minacce somigliante a quello che va elaborare e pubblicare il nazionalismo serbo fra il 1985 ed il 1986, il cosi chiamato Memorandum dell’Accademia Serba. Quello che già possiamo chiamare Memorandum spagnolo possiede un formato da proposta di riforma costituzionale che culminerebbe il processo di centralizzazione che stiamo vivendi di questi tempi. Gli argomenti sono quelli di sempre: la Spagna si rompe per il caos delle regioni autonome però soprattutto per la insaziabile voracità catalana, che sarebbe modello per i baschi e detonante d’una scossa letale per la Spagna come stato-nazione. L’obiettivo del Memorandum, dunque, consiste nel difendere l’indissolubilità spagnola, nel caso ce ne fosse bisogno portando mitragliatrici in Catalunya come ha insinuato l’ex ministro José Manuel Otero Novas, uno dei patrocinatori dello Studio. 

Le analogie fra i documenti spagnoli e quelli serbi non scarta il fatto che le differenze siano comunque sostanziose. Anche i magistrati, tecnici ed intellettuali serbi nel 1985 davano per scontato che la Jugoslavia si diluiva (per la voracità economica della Croazia e la Slovenia oltre che pel la violenza degli albanesi in Kosovo) ed invocavano la resurrezione della Grande Serbia che doveva arrivare fino a dove vivevano serbi. Anche se il territorio fosse appartenuto ad altre repubbliche. La riunificazione e riconfigurazione serba (idea nazionale che doveva sostituire quella di una Jugoslavia in agonia) è paragonabile a l’unità indissolubile della Spagna. In realtà il potere oligarchico centrale, l'autorità che storicamente ha mantenuto sequestrato la parola Spagna, genera un fetore etnico paragonabile a quello del potere serbo. Il Memorandum di Otero Navas e compagnia non parla in nessun momento di resuscitare Castella. E non ce ne bisogno. Castella, che si è suicidata (o è stata spinta al suicidio) per creare così il miraggio di una Spagna unica ed unita, è un’anima in pena con l’unica missione di mantenere l’immaginario storico-linguistico. Simile a quello che faceva la Serbia come repubblica-regione ai tempi jugoslavi. Per questo il Memorandum dell’Accademia è diventato in seguito un richiamo della purezza patriottica che, in via subliminale, ha incitato all’uso delle mitragliatrici. Il Memorandum spagnolo non è assolutamente subliminale: alla pagina 52 chiarisce in maniera esplicita che, se non c’è nessun altra soluzione che quella dello scontro armato, bisogna andare alle armi. E che neanche la Unione Europea potrebbe fermare una invasione armata in Catalunya. Tra le altre cose perché il Memorandum si vanta di che, all’Europa, non va data importanza. 




Llibert Ferri.
Tra 1987 e 2007 inviato speciale della catena TV3 nell’Europa centrale ed orientale e nell'antica Unione Sovietica

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mercoledì 13 novembre 2013

Le cattive intenzioni della Catalogna

Nel programma televisivo 30 minuts dedicato alla Scozia, un operaio inglese, flemmatico, assicurava che se arrivava l’indipendenza "non perderemo un pezzo del paese ma guadagneremo un vicino". Adattando il detto, pensar bene male non fa. Ma tra la Catalogna e la Spagna tutti pensano male. Da sempre? Fino a quando? E’ come una maledizione. La famosa “conllevancia” di Ortega (patire, sopportare), era la rassegnazione alla diffidenza tra gli uni e gli altri. I patti della Transizione furono il frutto di un’effimera comunione di interessi. Durò poco. Durante tutti questi anni di autonomismo per tutti la Catalogna è stata accusata di non essere sincera nelle sue vere intenzioni, e adesso che lo è, viene accusata di avere cattive intenzioni. Ma allora? Visto che non piace quello che diciamo, adesso direttamente non lasciano parlare il presidente Mas in casa propria. Non è un problema di protocollo. "Meno parole usi e più povero sei", espiega l’attore Toni Gomila.

Cosa possiamo fare perchè la Spagna capisca che, in democrazia, non si possono imporre nè il silenzio nè l’obbedienza? L'unico modo di convincere è dalla libertà. Socrate faceva come sua madre, Fenàreta, levatrice: aiutava a far nascere delle idee nei discepoli, ma erano loro a darle alla luce. Non imponeva nulla. Soltanto faceva domande... Orfani di buone domande da parte della Spagna, abbiamo deciso di porci da soli la domanda. Per guadagnare un vicino.

IGNASI ARAGAY  - Ara.cat  - 22/10/2013

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domenica 10 novembre 2013

Intervista a Jordi Vàzquez, editore di Help Catalonia: “Laddove la Spagna ha un nemico noi abbiamo un potenziale alleato”

Per la stragrande maggioranza di noi, il suo nome è sconosciuto, pur leggendo spesso quello che divulga in cinque lingue al di là delle nostre frontiere. Jordi Vàzquez (Barcelona 1971, @JordiVazquez ) è l’editore di Help Catalonia, un sito web ed una comunità di volontari fondata nel 2010 da sei persone che twittavano in inglese in difesa del diritto all’autodeterminazione della Catalogna. Da utenti Twitter diventarono una piattaforma digitale ─con una estesa rete di collaboratori─ che spiega al mondo quello che succede tra la Catalogna e la Spagna in inglese, francese, tedesco, italiano e spagnolo. Sicuro che ne avete sentito parlare!


Chi c’è dietro a Help Catalonia?
Volontariato. Adesso siamo più di 60 volontari collaboratori.
E non c’è nessun partito dietro?
Nessuno. Rifiutiamo posizionamenti politici, siamo un movimento trasversale, e non vogliamo neanche aiuti esterni. Questo ci limita perchè se avessimo delle risorse economiche il messaggio sarebbe più potente e potremmo fare più campagne internazionali. Forse potremmo studiare la possibilità di chiedere micro-donazioni ai cittadini.
Cosa interessa alla stampa internazionale sul processo catalano?
Le minacce spagnole. Che uno stato proibisca la volontà democratica di un popolo è notizia perchè da più di mezzo secolo questo non succedeva nell’Europa occidentale. A loro interessa, per esempio, la legittimazione della violenza da parte del vicepresidente del Parlamento Europeo, la supremazia linguistica, l’intervento brutale dello Stato spagnolo in Catalogna, l’impunità con la quale fu assassinato Guillem Agulló o il fatto che dodici giudici tagliassero le competenze di uno Statuto approvato democraticamente. La cosa che interessa di meno è la espoliazione fiscale. Di fatto, la stampa internazionale crede che la espoliazione sia iniziata con la crisi.
Perchè non interessa la espoliazione?
Perchè pensano che la questione non giustifichi una secessione. Ma, invero, la realtà è che il conflitto tra la Spagna e la Catalogna non c’entra con la espoliazione fiscale!
Avete dei contatti con i corrispondenti stranieri che informano da Madrid?
Meno di quanto vorremmo perchè la loro volontà, in generale, non è quella di ascoltare le due parti. Bisogna avere molto coraggio per scrivere sulla Catalogna da Madrid, sopratutto quando il messaggio della stampa spagnola è unanime. I loro articoli sono quelli che legge il corrispondente e quelli che, spesso, copia. Per andarci ed avere qualche influenza servirebbero delle risorse. Intanto, per la Diada attendiamo squadre di stampa straniera che ci hanno già contatttato.
Quale battaglia avete già vinto?
Sopratutto, quella della terminologia. Abbiamo introdotto termini in cinque lingue che hanno cristallizzato fuori di qui ed iniziano ad essere utilizzati su alcuni giornali, come ‘unionismo’ e ‘terrorismo spagnolo’.
Quali sono i paesi e le regioni più favorevoli al processo?
Gibilterra lo è molto ed è il nostro punto di entrata per Londra. Tra quelli più favorevoli evidenziamo la Scozia, l’Irlanda, il Kosovo, la Polonia e gli Stati Uniti ─dove lo spagnolismo si posiziona molto male e molti Stati non ammettono l’officialità dello spagnolo─. La verità è che riscontriamo sempre più simpatie.
Lo Stato spagnolo ha preso la cosa seriamente?
Non commettiamo l’errore di sottovalutare il nemico, si tratta di un avversario brutale capace di spendere 25 milioni di euro per due soli elicotteri militari, cosa che non piace per niente ai tedeschi. Questa è una battaglia di Davide contro Golia, ma con poche risorse li possiamo estendere perchè non hanno cercato delle complicità, la diplomazia spagnola è molto arrogante. Laddove la Spagna ha un nemico noi abbiamo un potenziale alleato. E ne hanno molti!
Siete nel mirino dei servizi di spionaggio spagnoli?
Prendiamo delle misure perchè, se lo siamo, non ci riguardi. Help Catalonia è fuori dal Regno di Spagna e, pertanto, potrà funzionare autonomamente nel caso in cui decidessero di occupare militarmente la Catalogna.
Come può collaborare un cittadino con Help Catalonia?
Nel nostro sito c’è un modulo dove si possono lasciare i dati personali, che sono trattati in forma confidenziale, spiegandoci le attitudini che si hanno per aiutarci a determinare in quale ambito possono essere più utili alla causa.
Twitter e le nuove piattaforme digitali hanno reso visibile un grido che era stato silenziato?
Assolutamente si, sono stati la chiave.
Il catalano può essere, dunque, il primo processo indipendentista 2.0?
E’ una buona definizione. Certamente, il 2.0 ha dinamitato la struttura classica delle organizzazioni politiche. E nella Catalogna, a differenza della Scozia, ci sono molti movimenti indipendentisti non organizzati che sfruttano le reti sociali.
Quali strade restano da esplorare?
Le grandi campagne internazionali di agitazione. Sono necessarie azioni contundenti per cercare simpatie visto che le manifestazioni e le catene umane si esauriranno prima o poi. Il nostro motto è fare amici in tutto il mondo, di tutti gli schieramenti,  per avere il supporto necessario quando arriverà il momento. Facciamo diplomazia civile perchè l’indipendentismo catalano soffre di certa supponenza e, storicamente, non ha cercato  complicità.



Meritxell Doncel (@m_doncel) / Giornalista 

 

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