martedì 30 settembre 2014

Manifesto di Milano per l’Autodeterminazione in Europa



Sono trascorsi cento anni dall’inizio della Prima Guerra Mondiale. E’ stata un’immane tragedia, causata principalmente dall’incapacità di risolvere le controversie territoriali e di confine per via diplomatica e attraverso il coinvolgimento delle popolazioni interessate.

Il Novecento è finito e chi ha responsabilità di governo deve lasciarsi alle spalle le vecchie logiche che hanno causato tanti lutti e tante guerre. Non siamo nel 1914: siamo nel 2014. Il tempo passa, le cose cambiano: guardiamo avanti.


Oggi, l’Europa deve scegliere la via della democrazia sostanziale, la via del diritto di votare, la via della pace. Una pacifica e concordata autodeterminazione è la sola strada per evitare l’esplosione di nuovi conflitti nel Vecchio Continente. Quanto sta succedendo a Donetsk e Lugansk sia di monito.

L’Unione Europea non può permettersi di considerare “fatti interni”, o addirittura apertamente contrastare, i processi secessionisti che riguardino Regioni al momento soggette alla giurisdizione degli Stati membri; L’UE deve, al contrario, porre grande attenzione alla partecipazione popolare sempre maggiore che questi processi comportano, come dimostrano ad esempio le deliberazioni a favore dell’indipendenza o del diritto di decidere, adottate da centinaia e centinaia di comuni e province, sia in Catalogna che in Veneto.


L’Unione Europea deve prendere atto, serenamente e con maturità, dell’esistenza di tali processi e deve impegnarsi a garantirne il pacifico svolgimento, difendendo l’esercizio del diritto di decidere, da parte delle comunità politiche istituzionalmente organizzate che si attivino in tal senso e quindi, in definitiva, da parte dei cittadini che in esse risiedono. Costoro sono persone, non sudditi dei rispettivi stati. E sono cittadini europei, non ospiti. Non ha alcun senso predicare l’accoglienza verso chi proviene dal resto del mondo e, al contempo, minacciare di una sorta di virtuale “espulsione di massa”, giuridica e politica, intere popolazioni, che perderebbero la cittadinanza europea per il semplice fatto di essersi separate, insieme al proprio territorio, dai rispettivi stati membri.


La comunità continentale può contribuire a definire una procedura certa, un percorso di garanzie reciproche, improntato allo spirito democratico e fondato sulla rinuncia all’uso della forza, per consentire ad ogni comunità politica regionale, che ne faccia richiesta tramite i propri rappresentanti eletti, di celebrare liberamente un referendum sulla secessione dallo Stato di appartenenza. Già oggi esiste un modello da prendere come esempio e da replicare: l’accordo del 2012 tra Scozia e Regno Unito. La scelta di definire una via concordata alle secessioni può contribuire in modo determinante a tutelare la stabilità dei rapporti diplomatici, economici e patrimoniali tra Stati e Regioni e può risolvere una volta per tutte la questione dell’allargamento interno all’Unione, nella consapevolezza che essa si porrà in futuro con sempre maggiore frequenza.

Riteniamo che la comunità continentale debba censurare in modo chiaro e netto gli atteggiamenti antidemocratici e totalitari, assunti da parte di alcuni Stati membri, in relazione alle richieste di separazione e perfino di semplice maggiore autonomia: è il caso delle minacce del governo di Madrid nei confronti della Catalogna e dell’opposizione costituzionale del governo di Roma nei confronti del Veneto. E’ in casi come questi che l’Unione Europea dovrebbe ventilare l’espulsione di Stati dal consesso continentale.

E’ giunto il momento per l’Unione Europea di diventare un garante per le popolazioni che anelano a maggiori responsabilità e autogoverno, una guida per gli Stati membri, affinché le loro scelte siano sempre improntate al rispetto del diritto di autodeterminazione, e affinché la comunità continentale rappresenti un modello per il resto del mondo, di fronte alla vera sfida del nostro tempo: la globalizzazione e la fine delle autarchie.

Alla luce di quanto sin qui espresso, nella nostra qualità di cittadini della Regione Lombardia e dell’Unione Europea, indirizziamo il presente manifesto al Presidente Roberto MARONI, rivolgendogli al contempo un appello:

Signor Presidente,

La invitiamo a convocare, presso la Delegazione della Regione Lombardia a Bruxelles, con la massima sollecitudine possibile, anche in considerazione delle indebite pressioni esercitate dal governo di Madrid nei confronti della Generalitat de Catalunya, un summit delle Regioni d’Europa coinvolte nei processi di secessione; nello specifico Le chiediamo di aprire tale summit ad Alex SALMOND, Primo Ministro di Scozia, ad Artur MAS, Presidente della Catalogna e a Luca ZAIA, Presidente del Veneto.

Il summit dovrà avere all’ordine del giorno la redazione di una Carta Europea per il Diritto all’Autodeterminazione, sottoscritta dai quattro massimi rappresentanti di Lombardia, Scozia, Catalogna e Veneto ed aperta alla firma di altri pari rappresentanti di Regioni d’Europa.

La Carta dovrà concernere le garanzie comunitarie per l’esercizio del diritto di voto e decisione, da parte delle comunità politiche istituzionalmente organizzate che, mediante i propri rappresentanti democraticamente eletti, chiedano di secedere o comunque di autodeterminarsi in relazione al proprio status giuridico.

Del presente manifesto e dell’appello a Lei rivolto verranno stese versioni in lingua inglese e catalana. Il manifesto e l’appello verranno diffusi, con ogni mezzo disponibile, in Lombardia, Scozia, Catalogna e Veneto.

Avanti – Collettivo Indipendentista Lombardo

Milano, 11 settembre 2014

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Camera catalana chiede revoca sospensione referendum

Il presidente del Parlamento catalano, Nuria de Gispert, ha annunciato oggi che la Catalogna chiederà la revoca della sospensione cautelare della legge di consultazione e del decreto per la convocazione del referendum indipendentista, decisa ieri dalla Corte costituzionale. Pubblicata oggi sul Bollettino ufficiale dello Stato, la decisione dell'Alta Corte comporta la sospensione per cinque mesi del referendum e "del resto delle attività" collegate ai preparativi per la consultazione del 9 novembre.

In una conferenza stampa, dopo la riunione dei capigruppo, la de Gispert ha spiegato che le 'controdeduzioni' che saranno allegate al ricorso "si basano sulla considerazione che la normativa rispetta la Costituzione e lo Statuto di autonomia". Il presidente ha assicurato che la Camera catalana mantiene all'ordine del giorno della seduta plenaria di domani la nomina dei sette membri della Commissione di controllo, prevista dalla legge di consultazione, l'organo che deve sovrintendere al corretto funzionamento del processo referendario, sospeso dall'Alta Corte.

La Generalitat, il governo della Catalogna, ha deciso intanto di bloccare "in maniera cautelativa e temporanea" la campagna istituzionale per il referendum indipendentista convocato per il 9 novembre, dopo la sospensione decretata ieri dalla Corte costituzionale. Lo ha annunciato oggi in conferenza stampa il portavoce del governo catalano, Francesc Homs, confermando comunque che l'esecutivo guidato da Artur Mas chiederà la revoca "immediata" della sospensione cautelare della legge di consultazione e del decreto per la convocazione del referendum indipendentista, decisa dall'Alta Corte.


La sospensione della campagna istituzionale 'Tu decideixes-Tu decides' (Tu decidi), avviata sabato dalla Generalitat su stampa, radio, televisione e la pagina web www.9consulta2014.cat è stata giustificata da Homs con la necessità di "preservare la sicurezza giuridica" dei funzionari pubblici, che rischierebbero l'interdizione dai pubblici uffici da parte dello Stato. In questo contesto, quello che non si può fare è mettere in difficoltà funzionari dell'amministrazione della Generalitat o degli enti locali, ha detto Homs, sottolineando che chi, a partire da ora, diffonderà materiale informativo o di propaganda del referendum "lo farà sotto la propria responsabilità". Ma ha aggiunto che la sospensione non rappresenta la fine del processo per la sovranità, che va avanti. 

Intanto, dopo la protesta a Barcellona contro lo stop del referendum da parte della Corte costituzionale, alla quale ieri sera hanno partecipato circa 300 persone, la piattaforma indipendentista Associazione Nazionale Catalana (Acn) ha convocato per stasera concentramenti nelle piazze dei municipi catalani.

Con lo slogan 'Ara es l'hora' (Adesso è l'ora), e con indosso magliette gialle, i manifestanti reclameranno la convocazione alle urne. La manifestazione, secondo quanto riferito dai media, ha l'appoggio dei partiti della sinistra indipendentista, Esquerra Republicana de Catalunya (Erc), Iniciativa Verd (Icv) e Candidatura de Unitat Popular (Cup), mentre Convergencia i Unio, il partito del presidente catalano Artur Mas, non ha chiarito se aderirà o meno alle mobilitazioni. (ANSAmed).

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domenica 28 settembre 2014

Roger Mas i Solé, templario della nostra cultura

Quando Roger Mas si lega le espadrilles di sette nastri, prima di un concerto, esprime molto di più del semplice fatto di legarsi une calzature tradicionali catalane. In lui troviamo la voce più bella che mai ha offerto il mondo dei cantautori catalani. 

Roger Mas, cantautore di Solsona, che ultimamente abbiamo potuto ammirare in concerto dal vivo accompagnato dalla Cobla Sant Jordi Ciutat de Barcelona fa molto più che suonare musica, fa paese, e conservando soprattutto l’essenza della nostra musica e delle nostre parole, che implicitamente esaltano le tradizioni del nostro popolo, è un templario della nostra cultura. 

Roger è un nome proprio maschile che proviene dagli elementi germanici hrod (fama) e ger (lancia), significando "famoso con la lancia". La forma latina del nome è Rogerius e fu utilizzata da molti personaggi medievali.

Nel secolo XXI, epoca in cui le canzoni circolano in formati leggeri, Mas ha deciso di prendersi il tempo necessario per arrangiare, combinare e perfezionare le canzoni tipiche del suo repertorio e canzoni tradizionali della cobla per fonderle in un lavoro, Roger Mas e la Cobla Sant Jordi Ciutat de Barcelona, dove navigano identità del Mediterraneo e dove si dilatano sonorità tradizionali catalane del tipo: la doppia canna, un metallo aggiustato, la tenora, ....

Un Roger Mas dalle composizioni perfette, complesse, sincere, di chi che ne conosce la formula e ne gioisce giocando con le note. Un Mas che mai ne ha abbastanza e che arrichisce con la sua presenza tutti i lavori che firma con la temperanza del suo ritmo. 

Roger fa servire moti conformati per infinità di parole di un tempo, che grazie al suo impiego nei testi mai cadranno nell’oblio. Parole pure, sincere che amalgama alla perfezione con i moti più attuali della nostra lingua. Perché se di una cosa fa sfoggio il cantautore è che la lingua si deve utilizzare. 

Un Mas musicista, poeta e rapsodo delle sue proprie composizioni. Però allo stesso tempo un Mas que con la sua arte ci catalizza le poesie dei nostri grandi, come per esempio di Verdaguer o Pujols, e ce le serve con un mezzo sorriso contenuto.

MAS cognome derivato dai nomi di luogo di provenienza o d'abitazione, che, col passare del tempo si sono usati come cognomi. In questo caso, bisogna inserire il cognome nel gruppo di nomi di case, fattorie e altri edifici o le loro dépendances.


@rogermasoficial
Un Roger Mas buongustaio del suo paese, della geografia delle sue montagne del Solsonese verso le quali, involontariamente, facciamo pellegrinaggio tutti quelli che grazie alla sua arte sentiamo vive le nostre radici. Les sue composizioni e la sua voce grave ci accarezzano i piedi, ci percorrono la pelle e ci fanno il solletico all’anima ogni volta che l’ascoltiamo e che dal vivo godiamo dell’espressione più pura della sua arte dove la felicità che crea nello spazio si disintegra in misticismo del clima tellurico, che solo lui è capace di creare.

Mas proviene da una stirpe procedente dalla cobla tradizionale; dalle influenze di Sisa e Dylan; dalla riccheza della lettura della filosofia greca; dalla poesia; dall’innamoramento dell’Italia e del proprio rifugio che si è creato, e che gli ha permesso di trovare l’essenza propria del folk dove vi rimane la Mediterraneità del suo essere cantautore. 

SOLÉ cognome che proviene dal latino solarium, derivato da Solum, che vuole dire suolo, terreno. Solé è molto diffuso nei paesi e città delle province di Lleida e Tarragona. 

Una somma di tutto ciò proporziona i suoi lavori (A la casa d'enlloc, les cançons tel·lúriques, Casafont, les Flors del Somni, etc) premiati in una multitudine di occasioni e che l’hanno portato ad esibirsi nel nostro paese cosí come in Francia, Cuba, Italia, Uruguai, Serbia o Brasile. In questo modo ha fatto sí che la voce della cultura catalana si ascolti e si canti in tutta Europa.



Montse Solé



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venerdì 26 settembre 2014

Il veto a Jordi Galí

Il governo spagnolo vuole porre il veto all’incorporazione di Jordi Galí nella Banca Centrale Europea (BCE), malgrado il suo alto profilo professionale, perchè è sovranista. Galí, che è membro del prestigioso “col·lectiu Wilson”, potrebbe presentare la propria candidatura alla carica di direttore di ricerca della BCE, carica di carattere tecnico para molto influente, e che attualmente è in processo di selezione. 

Il governo spagnolo riconosce il valore di Galí, ma teme che nella BCE possano arrivare persone al di fuori dalla visione statalista del PP e del PSOE. E’ una vergogna che uno Stato agisca con questo tipo di settarismo ideologico ma, non dimentichiamo il caso della docente all’Universitù di Georgetown, Clara Ponsatí, alla quale fu tolta la carica approfittando che lo stipendio era pagato dall’amministrazione spagnola. 

E’ sempre più chiaro che lo Stato è di loro proprietà e non vogliono condividerlo. Qualcuno può pure proporre delle “terze vie”, ma nemmeno questo accetta la Spagna.

Singular.cat - 22/07/2014 - Editorial









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domenica 21 settembre 2014

Senza resilienza non c’è indipendenza


Non ho potuto leggere ancora tutte le reazioni dopo la riunione del presidente Mas con Mariano Rajoy del 30 luglio. Ma non credo che ci vorrà molto per sentire Miquel Iceta (leader dei socialisti catalani) chiedendo al governo catalano di dialogare con Madrid per sbloccare il pasticcio combinato dagli indipendentisti. Sapete cosa succede? Che il problema non è il dialogo. Potremmo passare delle ore a dialogoare con lo stato spagnolo senza arrivare mai ad un accordo. Lo dice, più o meno, anche il proverbio: 'Se uno non vuole, due non dialogano.' Avendo capito che lo stato spagnolo non vuole spostarsi neanche di un millimetro, e prendendo atto dell’immobilismo spagnolo, abbiamo capito che è il momento di andare avanti senza più distrazioni. Se mai decideranno di muoversi, ce lo comunicheranno. E vedremo se arrivano in ritardo.

Concentriamoci. Prima stazione: Undici di settembre a Barcellona. Se facciamo una V come Dio comanda, questo no lo ferma più nessuno. Possono fare tutte le prime pagine che vogliono con Jordi Pujol (ex-presidente della Generalitat) reo confesso di evasione fiscale. Ancora non hanno capito di cosa si tratta questo casino dell’indipendenza. La questione dell’ex-presidente Pujol non è altro che un nuovo stimolo per il processo. E la reazione fulminante dell’attuale presidente Mas è un segno fortissimo: siamo pronti per i mesi che verranno. Come posso dirvelo... se l’indipendenza serve per fare pulizia di quelle condotte indecorose, per niente edificanti o illecite, meglio ancora. Vogliamo l’indipendenza per costruire un paese migliore. Se, facendo strada, si riesce già a togliere una parte di marcio, allelluia!

Tenteranno di fermare l’accelerazione che prenderà il movimento indipendentista il prossimo Undici di settembre con una serie di messaggi negativi programmati ordinatamente sul calendario. Per adesso, hanno citato a dichiarare l’erede di Pujol il giorno 15 di settembre. E ciò andrá avanti con interventi di capi di stato europei contro l’indipendenza... e vai a sapere quali cattive arti useranno ancora e che non riusciamo nemmeno a immaginare.

Lo abbiamo già detto molte altre volte. I prossimi tre mesi saranno esplosivi (spero soltanto metaforicamente). Siamo arrivati fin qui con un movimento unito, ben preparato, un leader forte e intelligente, una motivazione a prova di bomba, un disorientamento enorme tra le file nemiche e.... niente da perdere. Non penso, in nessun modo, che il gatto sia già dentro il sacco. Ancora dobbiamo attraversare i momenti più duri e determinanti del processo. Il fantasma della divisione –tradizionale nel nostro paese—ancora sorvola in questi mesi precedenti alla consultazione del 9 di novembre. La risposta di fronte al divieto di Madrid deve essere intelligente e rispettata da tutti. Se qualcuno pretende di creare zizannia tra di noi per la consultazione, deve sapere che potrà diventare responsabile della sconfitta. Ricordo ancora una volta che l’obiettivo è l’indipendenza e il 9 di novembre è soltanto il primo stadio del grande scontro che verrà.

Per vincere una guerra bisogna essere disposti a perdere alcuna battaglia. Se si possono vincere tutte, meglio. Ma se pensiamo che perdere una battaglia significhi perdere la guerra, vuol dire che non siamo pronti per la vittoria. Io non do nulla per perso. Ma chi intraprende la lotta pensando che non riceverà alcun colpo, torna presto a casa avvilito e convinto de aver perso anche se solo ha preso una sberla. La reazione generale verso il caso Pujol mi fa pensare che siamo pronti per vincere. La chiave del successo è far diventare le minacce delle opportunità. E oggi il movimento per l’indipendenza è più forte di una settimana fa.

In Russia hanno un proverbio che dice 'è permesso cadere, ma alzarsi è obbligatorio'. E possiamo anche andare oltre se seguiamo le regole delle arti marziali, che da millenni insegnano gli allievi a cadere. La prima cosa che si impara nelle arti marziali è l’arte di cadere senza farsi del male. In latino esiste una parola che definisce la capacità di rimbalzare quando uno cade e di tornare allo stato previo alla caduta: 'resilire'. 

Per dirla con uno slogan, senza resilienza non c’è indipendenza.

Pere Cardús

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sabato 20 settembre 2014

C’è il via libera alla legge per il referendum Ora la Catalogna accelera per la secessione “Dalla Scozia un precedente democratico”

Approvata la legge per le consultazioni del 9 novembre che decideranno sulla secessione. Notte di attesa nelle strade della città: “Vogliamo poter votare come il popolo scozzese”

La Catalogna accelera per la secessione. Il Parlamento locale ha approvato la legge con la quale vuole dare copertura legale alla convocazione di un referendum indipendentista, il 9 novembre. La normativa ha ottenuto 106 voti a favore e 28 contrari. 

In attesa del voto scozzese, la notte è stata lunga a Barcellona, la città “maratona dei bar” a detta di un corrispondente esperto come lo scozzese Lindsay McGarvie. Il risultato arrivato d’Oltre Manica ha lasciato l’amaro in bocca tra i giovani indipendentisti che si preparavano a brindare nei pub del quartiere Gotico e del distretto universitario, ma i dati sull’affluenza oceanica (vicina al 90%) hanno comunque scaldato i cuori pronti alla sfida più dura, la loro. “Alla salute della volontà popolare” propone Anastasia Tomas. Ha 23 anni, studia medicina e si prepara ad aderire all’appello dell’Asamblea Nacional Catalana, l’organizzazione politica che dopo aver sborsato centinaia di migliaia di sterline per una pagina di pubblicità su un giornale scozzese con la scritta “Congratulazioni” ha annunciato una campagna di 170 mila volontari per consegnare porta a porta le informazioni sulla consultazione del 9 novembre, quando, secondo programma, i catalani dovrebbero esprimersi sul proprio futuro violando il veto di Madrid. 

Il risultato scozzese cambierà le carte in tavola? Jaume Rios, anima del blog politico www.deba-t.org, ne dubita: “La Scozia ha creato un precedente importante, una cornice legale. Ero quasi certo che vincessero gli unionisti ma il punto è un altro, la Scozia ci aiuta perché prova che la gente può essere consultata democraticamente e noi siamo molto eccitati all’idea di avere la nostra chanche, l’indipendenza non è mai stata così vicina. Significherebbe ricostruire da zero un paese, riscrivere una Costituzione, avere di fronte una pagina tutta bianca che non è stata scritta in qualche modo anche da ex franchisti. Cosa c’è di più emozionante per un giovane? E’ per questo che qui, diversamente dal resto d’Europa, i ragazzi sono sempre più interessati alla politica, l’80% di chi ha tra i 16 e i 25 anni è per l’indipendenza”. Dice che fino a 5 anni fa nel suo liceo non ne parlava nessuno. 

Per le strade squadrate senza essere mai noiose non c’erano caroselli, le automobili che mercoledì sera avevano portato un oceano di bandiere scozzesi e catalane intrecciate allo stadio Camp Nou, occupato dalla partita Barcellona-APOEL Nicosia, sono rimaste a casa. Non è stato necessario ubriacarsi per la Scozia ma, ammette l’avvocato 30enne Jorge Lluis Ruz di ritorno da una serata con gli amici, “in fondo è meglio restare sobri per le prossime ore”. 

Le prossime ore significano la clessidra catalana. “Abbiamo seguito con soddisfazione la prova democratica della Gran Bretagna, a vincere non sono solo gli unionisti ma gli scozzesi tutti e anche Londra, mentre a perdere sono i conservatori che impediscono al popolo di scegliere” ragiona Albert Royo, consulente del Diplocat, il ministero degli esteri catalano. Parla di Madrid e del duro braccio di ferro in corso dal 2011, da quando, archiviati i sogni di maggiore autonomia fiscale accesi da Zapatero, il governo conservatore ha assunto una linea molto dura con Barcellona. Tutti si aspettano che Rajoy impugnerà davanti alla Corte Costituzionale la legge approvata dal Parlamento catalano e la renderà nullo. E poi? Royo non ha dubbi: “Non vogliamo l’indipendenza perché l’hanno chiesta gli scozzesi, il nostro processo è autonomo e non si ferma, vogliamo votare. Più Madrid si ostina a negarcelo e più crescono i consensi all’indipendenza, dal 2011 a oggi la partecipazione alle manifestazioni nazionali Diada sono state un crescendo, l’11 settembre scorso eravamo due milioni”. C’era anche il difensore del Barcellona Gerard Pique, la settimana scorsa: qualcuno l’ha criticato, ma tant’è. 

In realtà, raccontano gli analisti più fini, il presidente catalano Mas punta più ad una autonomia tipo la Devo Max promessa fuori tempo massimo da Cameron agli scozzesi ormai decisi al referendum. Ma la Moncloa è rigida, non si piega. Ha fatto sapere che reagirà duramente ad una eventuale disobbedienza civile catalana, che potrebbe sospenderne l’autonomia, che non ha paura dell’Europa dove ha già una volta messo il veto al riconoscimento del Kosovo. Non ci si aspetta che davvero vengano arrestati i parlamentari catalani come 1934 ma le cose potrebbero mettersi male. Per questo, mormorano tra loro i ragazzi, si parla del referendum del 9 novembre ma sotto sotto si pensa ad elezioni anticipate a febbraio, elezioni nelle quali sfidare legalmente Madrid facendo campagna per il sì e per il no all’indipendenza. E poi dita incrociate per un eventuale cambio di governo nazionale al voto del 2015. 

Autunno caldo, annuncia il professore Sebastian Balfour, docente di studi spagnoli alla LSE: “Potremmo vedere un serio scontro politico-istituzionale”. Eulalia Santcliment, 26 anni, lo chiama “una battaglia tra la legalità di Madrid e la nostra legittimità” e si chiede perché si possa fare un sondaggio sulle aspirazioni indipendentiste (50% favorevoli, 30% contrari, 20% indecisi, 80% per il diritto di votare) ma non un referendum. L’Europa che fa, chiede Eulalia? Posizione difficile, soprattutto di fronte a una richiesta da sempre pacifica come quella della Catalogna (il 19% del Gdp spagnolo, il 26% delle esportazione, oltre il 50% delle vie d’accesso all’Europa e una fortissima vocazione europeista). Certo, la sconfitta di Salmond aiuta Bruxelles a restare “neutrale” sulla questione, ma i catalani non vogliono mollare. Un’ultima pinta e poi tutti a casa, Edimburgo non ha portato a Barcellona il calore promesso dal whisky delle Highlands del bar Escoces, fondato mezzo secolo fa da un immigrato scozzese, ma la temperatura è già sufficientemente surriscaldata.

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martedì 16 settembre 2014

1714: Sapevi che Filippo V sequestrò le biblioteche catalane per fondare la “Biblioteca Nacional”?


“1712: Filippo V crea la Biblioteca Reale con un doppio obiettivo: promuovere lo studio tra i sudditi e riunire le biblioteche dei nobili emigrati che lottavano nella guerra di sostegno a Carlo d’Austria. Viene assegnata come sede il passaggio che unisce il Reall Alcázar con il Monastero della Encarnación”.



In questo modo così assettico, spiega il web della Biblioteca Nazionale della Spagna una delle depredazioni più grandi commessi dalla Spagna. Questa “riunione” delle biblioteche dei nobili che lottarono contro Filippo V non fu altra cosa che un “sequestrare”. Così si sarebbe creata la prima Biblioteca Reale che dopo sarebbe diventata Nazionale –ovviamente della loro nazione- , e che con successivi decreti –come l’obbligatorietà di depositare un esemplare di ogni libro editato in Spagna- avrebbe continuato a crescere.



Le razzie e il saccheggio furono costanti, e una parte del bottino andò al “Depositario Generale di Beni Sequestrati” che era la strada per far arrivare i libri alla Biblioteca Reale.



Macanaz, uno degli ispiratori della creazione della Biblioteca, afferma, nel suo Testamento Politico: "...al mio suggerimento Sua Maestà risolse di fondarla, lasciandomi la cura di raccogliere in essa la moltetudine di medie biblioteche che furono abbandonate da quelli che lasciarono tutto per seguire i nemici". Così, risultano sequestri di 495 libri appartenenti al Dott. Patrici Oller oppure 433 libri del Dott. Micó.



Tuttavia, la principale vittima fu la biblioteca dell’arcivescovo di Valenzia, Folch de Cardona: 6.630 libri, "i libri più scelti e ben rilegati che c’erano in tutta la Spagna". Opere giuridiche, teologiche, scientifiche, storiche, classiche, ecc.. un patrimonio di valore inestimabile oggigiorno. Il biografo di Filippo V, Henry Kamen, afferma: “Tra le altre opere incorporate alla biblioteca c’era una magnifica collezione di libri che Filippo V acquistò in Francia, così come migliaia di volumi sequestrati negli scaffali dei ribelli assenti in campo nemico".



Non solo. La Biblioteca Nazionale era finanziata… dai vinti. Una “Reale Cedula” del 14 dicembre del 1715 informava sul "aumento di due maravedí per ogni libbra di tabacco in polvere, foglia e sigari di ogni tipo che vengano consumati nei regni di Aragona, Catalogna e Valenzia" destinati a coprire le spese di funzionamento della Biblioteca.



La cultura nel Principato della Catalogna e nel Regno di Valenzia fu annientata.

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domenica 14 settembre 2014

La sconfitta di Margallo (ministro degli Esteri spagnolo)





L'ambasciatore degli Stati Uniti in Spagna, James Costos, prevede la possibilità di una Catalogna indipendente, con normalità e senza nessun problema. Costos ha detto il primo luglio durante una conferenza tenutasi a Madrid, che le aziende nordamericane "dovranno adattarsi" se avviene la secessione. Non l’ha scartata e non si è opposto. Ha ammesso che "le cose cambiano, gli ambienti cambiano" e quando ciò succede "qualsiasi imprenditore leader deve pensare al futuro". "Se le cose cambiano, le aziende dovranno adattarvisi", ha insistito.

Le dichiarazioni dell’ambasciatore nordamericano sono la dimostrazione della sconfitta del ministro degli Affari Esteri spagnolo, José Manuel García Margallo, nella sua offensiva diplomatica contro il processo sovranista.

Margallo, come il presidente spagnolo, Mariano Rajoy, erano convinti che la strategia del rifiuto al riconoscimento della rivendicazione catalana li avrebbe condotto alla fine verso la vittoria e che, pertanto, era conveniente per loro provocare il cosiddetto “scontro dei treni”.

Ma ciò presumeva la tessitura di una rete di alleanze per il sostegno alla Spagna e non ci sono riusciti.

D’ora in poi, vedrete solo nervosismo e fretta.

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lunedì 8 settembre 2014

I piani spagnoli


Per la prima volta, alti responsabili politici dello stato hanno iniziato ad ammettere, pubblicamente, che il processo catalano è "perfettamente strutturato, ha esplicato una vera agenda per l’indipendenza ed è completamente irreversibile", come ha descritto Pedro Gómez de la Serna, portavoce del PP nella Commissione Costituzionale del Congresso dei Deputati.

A partire da qui, le strategie che stanno proponendo i diversi analisti del campus della FAES (Fondazione per l’analisi e gli studi sociali – think tank della destra spagnola) sono abbastanza conosciute eppure offrono ancora degli spunti interessanti.

Tanto per cominciare, la terza via è stata definitivamente ridicolizzata, con affermazioni come "Duran – politico catalano che crede ancora nella trattativa- non ci serve più" o la qualificazione di "pittoresche" le diverse iniziative sulla via di mezzo. Inoltre, il PP ancora si rifiuta di considerare Artur Mas come un interlocutore valido e lo sottovaluta assolutamente.

Stando così le cose, si intuiscono alcuni indizi significativi. I relatori della FAES hanno introdotto il fattore della violenza come l’ingrediente inevitabile dei prossimi mesi. Una possibilità che, paradossalmente, l’insieme del catalanismo rifiuta con energia.


Cosicchè il riferimento a questo nuovo elemento può essere interpretabile solo come una volontà, diretta o indiretta, dello stato spagnolo.


Una prospettiva rafforzata dal fatto che il PP insiste a dire che in Catalogna ci sarà una "frattura sociale" della quale il medesimo José María Aznar ne parla da tempo.

Da questo punto di vista, il disegno strategico della FAES si completa con un contesto d’instabilità politica tra il 9 di novembre e le eventuali elezioni plebiscitarie che loro stessi prevedono. Tutto quanto con un presidente della Generalitat che, secondo i relatori “non controlla più il processo".

Insomma, più o meno, abbiamo qui il loro piano:


1. Rifiuto del dialogo


2. Destabilizzazione delle istituzioni catalane


3. Introduzione di qualche tipo di violenza


e 4. Intervento finale con il ritorno alla situazione politica precedente






Bene, non mi sembra poco averli costretti a muoversi dalla fase 1, dopo 3 secoli.



Salvador Cot

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sabato 6 settembre 2014

I sette errori che non dobbiamo commettere

Come disse qualcuno: 'Alea jacta est.' Siamo entrati nella tappa finale. Quest’anno non ci sono ferie. La battaglia finale ha avuto inizio. E mi sembra che abbiamo la fortuna di iniziarla con un leggero vantaggio. Dobbiamo approffittarne. La cosa principale è non commettere errori. Un errore nostro sarà voracemente sfruttato dall’avversario. Dobbiamo mantenere il controllo della palla. E, se possiamo, andare ancora più avanti. Ma la palla deve correre e farli stancare. E se perdiamo la palla, che sia in campo avversario. E se non la perdiamo, tanto meglio. Come dice Cruyff: il miglior modo di non far fare gol all’avversario è di avere il possesso della palla. Per questo, non dobbiamo commettere nessuno di questi errori:


—Piano B. Evidentemente, ci sono delle alternative previste se lo stato spagnolo impedisce totalmente la consultazione il prossimo 9 di novembre. Non avere delle alternative sarebbe un messaggio fatale: 'Se impedite la consultazione, fermerete il processo.' E invece no. Il processo non finirà se, sfortunatamente, non ci sono le condizioni minime per fare una consultazione con un risultato legittimo. Dobbiamo spiegare i piani B, C, D o E? No. Non dobbiamo. E’ un crimine e ci fa molto male spiegarli? No, neanche. Mi sembra che tutti siamo abbastanza grandi per capire che bisogna trovare la strada migliore per raggiungere l’indipendenza. Insisto a dire che, a mio parere, l’obiettivo è l’indipendenza e la consultazione è la migliore strada. Ma se dobbiamo intraprendere una strada diversa, democratica e pacifica, nessun problema. Nessuno. Pertanto, creare un problema dove non ce ne dovrebbero essere è un errore che non dobbiamo commettere. E’ meglio la consultazione rispetto alle elezioni? Si. Ma dire “o consultazione o niente”, questo no.


—Unità e trasversalità. L’unità e la trasversalità sono dei valori apparentemente positivi. Ma io preferisco la trasversalità piuttosto che l’unità. Noi catalani abbiamo un’ossessione preoccupante per l’unità. E i verbi 'aggiungere' e 'unire' non vogliono dire esattamente la stessa cosa. Tutte quelle azioni che aggiungono, sono benvenute. Ma alcune volte l’unità può sottrarre. L'esempio più semplice da capire è questo: se qualcuno, stanco della politica di CiU e dei tagli e del cosiddetto neoliberalismo pensa che l’indipendenzaa consiste necessariamente nell’allinearsi con Artur Mas, forse ci penserà due volte. E la stessa cosa, all’opposto. Se a qualcuno che ha fatto crescere l’attività con sforzi e sacrifici dicono che per ottenere l’indipendenza deve votare quelli che propongono che l’amministrazione regoli fino all’ultimo dettaglio della propria vita, è ovvio che anche lui ci penserà due volte. Bisogna capire che il fatto più importante è il coordinamento e il rispetto della trasversalità. L’unità è un sacrificio che dobbiamo riservare a pochissimi e determinati momenti.


—Legalità. Lo dicono quelli che se ne intendono: potremo fare solo una rottura legale. Per questo è assolutamente importante riuscire ad afferrare il momento giusto. La legalità si deve spezzare con la disobbedienza alla legge sulla Pubblica Istruzione di Wert? O con la consultazione? O con la dichiarazione d’indipendenza? Il momento è molto importante perchè le conseguenze sono definitive. Se non vogliamo far diventare il processo un caos, dove soltanto i più convinti e puri si sentono comodi, bisogna spezzare la legalità in un momento preciso che può essere soltanto la dichiarazione d’indipendenza. Il processo può interrompersi o incrinarsi se ci precipitiamo su questo punto così determinante.


—Serenità e gioia. Lo abbiamo detto ora e sempre. Dobbiamo sorridere fino all’ultimo secondo. Solo dopo potremo piangere di emozione. Ma mentre non raggiungeremo l’obiettivo, dobbiamo invitare e sedurre. Non possiamo perdere le staffe. Se manteniamo la serenità in ogni momento, nessuno potrà farci uscire fuori strada. Si avvicinano mesi molto complicati. Gli attacchi saranno selvaggi e la pressione sembrerà insopportabile. Ma dobbiamo riempire i polmoni, trattenere il respiro e lasciar passare i momenti critici. Gli assalti furiosi di quest’autunno pretenderanno di farci uscire dai gangheri. Cercheranno la nostra reazione sconsiderata. Non dobbiamo cogliere nessuna provocazione. Ricordate che non dobbiamo perdere il possesso della palla.


—Iniziativa. Dobbiamo essere noi a imporre il ritmo del gioco. La campagna per il sí-sí non deve fermarsi per nessun motivo. Marcare il compasso è il modo più sicuro di arrivare alla vittoria. Il mese di settembre deve iniziare forte e con una lunga lista di iniziative senza sosta fino al 9 di novembre. E’ molto importante che sia l’avversario a inseguire la palla. Certo che fino all’estate abbiamo vinto la battaglia per il 'diritto a decidere', poter votare e la consultazione. Ma la campagna del sí-sí non può più attendere ed essa dovrà segnare il dibattito nei due mesi che vanno dal 11 di settembre al 9 di novembre. Non intraprendere la campagna per il sí-sí sarebbe un grave errore. Il risultato non è così chiaro come pensiamo e bisogna rafforzare il blocco indipendentista perchè non possa affievolirsi in caso di malabarismi - non certo con un’offerta che la Spagna non può fare.


—Equilibrio. Siamo arrivati fin qui per una semplice ragione: l'ambizione popolare e il ritmo politico corrono paralleli. Certamente, il processo è spinto dal popolo. Senza la manifestazione del 2012 e la catena umana del 2013, oltre alle migliaia di eventi che si sono organizzati in tutti gli angoli del nostro paese, non saremmo dove siamo. Ma se il presidente Mas, o il capo dell’opposizione Oriol Junqueras, o la strema sinistra CUP e molti altri non si fossero messi d’accordo non saremmo dove siamo. La chiave del processo è che il tempo politico e il tempo popolare si sono incontrati sulla questione nazionale. E uno non avrebbe funzionato senza l’altro. Questo equilibrio tra la piazza e le istituzioni non si deve rompere. Se si spezza, il processo è finito. Dobbiamo esserne tutti consapevoli.


—Solidità. Come abbiamo detto, i prossimi mesi saranno duri. La Spagna sa che ha vissuto molti anni con le risorse prodotte nella Catalogna, nel Paese Valenziano e nelle Isole, principalmente. Se la Catalogna si stacca, lo stato spagnolo (così come funziona ora) non è più praticabile economicamente. Pertanto, gli attacchi saranno feroci e bisognerà essere fermi. Non lasciamo che possano mettere zizannia tra noi. La critica interna è sempre positiva e ci deve aiutare a fare le cose ben fatte. Ma la critica, in un momento come questo, si deve fare con lealtà. In tutte le direzioni. Se ci lasciamo trascinare dalle liti e le dispute che ci separano, loro avranno inflitto il colpo sicuro per vincere. E noi, per perdere.







Questi sette errori possono diventare anche molti di più. La lista può essere molto lunga. Ma credo che se rispettiamo questi sette principi avremo la vittoria pressochè garantita. Si, dovremo rischiare. In qualche istante potrà sembrare che tutto va a farsi benedire. E che le tensioni interne sono più forti di quanto non credevamo. E dovremo agire con serenità, contando fino a cento tutte le volte che sarà necessario. E tenere duro.

Non perdiamo il vantaggio raggiunto. Non perdiamo la strada e, soprattutto, non perdiamo l’obiettivo:

L’indipendenza.


Pere Cardús

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lunedì 1 settembre 2014

Aggressione alla bancarella de l'ANC di Granollers in piena luce del giorno

È la seconda aggressione che l'entità subisce in questi giorni di festa patronale di Bianchi e Blu, dopo l'atto vandalico portato a termine all'alba di mercoledí nei suoi locali. 

Prima c'e stato l'atto vandalico che ha patito il locale che l'Assemblea Nazionale Catalana fa servire a Granollers, questo mercoledí all'alba. E adesso, questo sabato nel pomeriggio, c'è stata una agressione diretta in piena luce del giorno, proprio davanti al Casinò di Granollers.

Secondo informazioni dell'ANC e di svariati testimoni, "con la strada piena di gente", due individui tra i 30 e i 40 anni hanno insultato i membri dell'entità che erano alla bancarella raccogliendo firme della campagna 'Firma un Voto' e "hanno tirato roll-ups e manifesti per terra".

I fatti, però, non sono terminati qui. In seguito, molte persone che erano nelle vicinanze li hanno voluti difendere e è scoppiata una rissa in cui due persone intervenute in difesa dell'ANC "ne sono uscite malamente". Secondo quello che riferisce l'entità, una è stata portata al pronto soccorso in ambulanza. Gli aggressori sono fuggiti verso il parco di Torras e Villà e alla fine sono stati arrestati dagli agenti della polizia catalana.


La popolazione, in difesa della democrazia

L'ANC Granollers ha emesso un comunicato ringraziando "la collaborazione della popolazione que ha difeso la democrazia". L'entità raccomanda, inoltre, di "lasciarli agire senza affrontarli" e, questo sí, "fotografare l’attaco o l’aggressione e mettere una denuncia". In più ricordano "che l’obbiettivo dell’ANC è ottenere l'indipendenza in modo pacifico".

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Il Governo catalano riceve altri quattro rapporti del Consiglio consultivo per la Transizione Nazionale



Il Consiglio consultivo per laTransizione Nazionale (CATN) ha consegnato al Governo catalano altri quattro nuovi rapporti: "La distribuzione degli attivi e i passivi”; “Politica monetaria (euro), Banca Centrale e controllo del sistema finanziario”; “L’approvvigionamento di acqua ed energia”;  e “Il processo costituente” durante una riunione nel Palazzo del governo della Generalitat. Con questi, sono già dieci i rapporti che il CATN ha consegnato all’esecutivo catalano.

Il presidente del CATN, il magistrato Carles Viver i Pi-Sunyer, accompagnato dal “conseller”(= ministro catalano) alla Presidenza, Francesc Homs, ha spiegato in conferenza stampa il contenuto di questi quattro nuovi rapporti che si aggiungono agli altri sei già presentati.

Il Consiglio consultivo per la Transizione Nazionale ha ricevuto l’incarico dal Presidente della Generalitat di individuare e promuovere le strutture di stato e tutti gli aspetti necessari per portare a termine la consultazione sul futuro politico della Catalogna.

Il ministro catalano alla Presidenza ha ringraziato “il lavoro di contenuto” e “di grande precisione all’altezza delle aspettative” che sta facendo il CATN. Per Homs, il Governo catalano condivide una  costante in tutti i rapporti finora consegnati dal CATN” che è “la ricerca permanente di collaborazione, di dialogo e di sottomissione alla disciplina della democrazia”. “Questo è il nostro scopo ed è così come tentiamo di condurre questo processo in tutti i sensi. E da questa prospettiva, da parte nostra c’è tutto l’impegno”, ha ribadito Homs.

Il ministro catalano alla Presidenza ha assicurato: “intendiamo che i governi devono tentare di portare avanti la volontà della cittadinanza, in particolare quando essa si esprime in forma chiara e diafana come ha fatto il popolo della Catalogna nelle ultime elezioni al Parlamento catalano.”  “Speriamo che, alla fine, il governo dello Stato spagnolo, si dimostri sensibile perchè si tratta di essere sensibili a quello che democraticamente è stato espresso”, ha concluso Homs.

La distribuzione dei beni e dei debiti in caso di indipendenza

Il settimo rapporto del CATN, La distribuzione degli attivi e dei passivi, studia gli aspetti più rilevanti della trasmissione di beni e debiti di uno stato in caso di secessione di una parte del territorio. Il testo analizza i criteri giuridici che si potrebbero utilizzare e la loro applicazione nel caso della Catalogna, pur senza quantificare numericamente gli attivi e i passivi dello Stato spagnolo che potrebbero essere trasmessi allo Stato catalano.

In quanto alla trasmissione del debito pubblico del governo centrale, il rapporto considera che “lo Stato catalano non dovrebbe assumersi il debito territorializzabile contratto dallo Stato spagnolo riguardante opere ed investimenti fuori dal territorio della Catalogna”. Invece, nel caso del debito non territorializzabile –quello destinato a soddisfare i servizi comuni a tutti i cittadini spagnoli, come ad esempio, la spesa per i ministeri della Difesa, Affari Esteri o Giustizia– bisognerà “trattare previamente” il criterio di proporzionalità nella ripartizione del debito.

Questo criterio può considerare il peso demografico del territorio diviso rispetto all’insieme dello Stato matrice per non indebitare di più alcuni cittadini rispetto ad altri. Tuttavia, questo peso potrà essere ponderato dalla percentuale di PIL del territorio rispetto all’insieme o dalla percentuale di spesa e di investimenti precedenti effettuati dal governo centrale nel territorio secessionato.

In questo senso, il rapporto assicura che se lo Stato spagnolo non rispetta i suoi impegni finanziari e di investimento già concordati con la Generalitat della Catalogna, lo Stato catalano sarebbe “legittimato ad esigere la riduzione del debito dello Stato spagnolo da assumere” in proporzione equivalente.

Per quanto riguarda il capitolo dei beni, il rapporto distingue tra attivi territorializzabili e non. I primi, cioè, quelli ubicati nel territorio diviso, passerebbero direttamente a far parte del nuovo stato. La ripartizione dei secondi come le riserve della Banca di Spagna, i conti correnti, i titoli delle imprese pubbliche e private, il patrimonio nazionale, ecc. dovrebbe farsi con lo stesso criterio di proporzionalità accordato per la trasmissione del debito pubblico.

Il rapporto parla anche della trasmissione degli archivi e delle risorse naturali. Sugli archivi, lo Stato spagnolo “dovrebbe trasferire senza contropartita allo Stato catalano tutti gli archivi che gli appartengono, quelli che facciano riferimento esplicito al suo territorio, popolazione o storia e quelli che siano necessari per il buon funzionamento delle sue istituzioni”. Ciò include tute le banche dati del fisco sui contribuenti, censi elettorali, registro civile, registro penale, archivi ospedalieri, di polizia, dell’INPS, di traffico, di fondi documentali, archivi storici, ecc.

In quanto alle risorse naturali, il rapporto stabilisce che “nessuna delle parti può reclamare la sovranità esclusiva delle risorse idrografiche ed energetiche condivise”. Inoltre, secondo lo studio del CATN, lo Stato successore eredita automaticamente e senza contropartite, tutti i diritti sugli spazi di sovranità marittima, sullo spazio aereo e sullo spazio radioelettrico.

Il rapporto del CATN fa anche un’analisi sulla cornice giuridica internazionale esistente in materia. In questo senso, prende atto che la maggior parte delle norme vigenti sono di carattere dispositivo, cioè, non sono obbligatorie e, pertanto, nei casi di successione di Stati predomina la volontà delle parti.

Dunque, delle ipotetiche trattative tra lo Stato spagnolo e la Catalogna potrebbero effettuarsi, secondo quanto indica il rapporto, prima o dopo la data effettiva della secessione. Vista la prevedibile difficoltà di poter fare una ripartizione di attivi e passivi prima dell’indipendenza, il CATN esplora la strada di condurre le trattative posteriormente all’indipendenza secondo il Diritto Internazionale che regola la materia. In pratica, dice il rapporto, le trattative si risolvono con più soggetti: lo Stato predecessore, lo Stato successore, le autorità monetarie internazionali (Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale), Unione Europea (attraverso la Banca Centrale Europea) e altri organismi che rappresentino gli interessi dei creditori.

Politica monetaria

La politica monetaria di un eventuale stato catalano indipendente è l’argomento dell’ottavo rapporto del CATN. Una delle principali osservazioni dello studio è il valore del mantenimento dell’euro come moneta di uso comune, anche nel caso in cui il nuovo Stato resti fuori dall’eurosistema e/o dall Eurozona. In questo ultimo scenario è da sottolineare la preferenza per raggiungere un accordo monetario. Se non fosse possibile, dice il rapporto, bisognerebbe adottare unilateralmente l’euro. Secondo quanto ha spiegato in conferenza stampa il magistrato Viver i Pi-Sunyer, “sarebbe conveniente per il nuovo stato mantenere l’euro come unica moneta, anche solo per i costi difficilmente sostenibili, per affrontare una transizione o un cambio di moneta”. Il presidente del CATN ha detto che gli autori del rapporto sono stati “categorici” nell’affermare che la Catalogna potrebbe benissimo continuare ad utilizzare l’euro in quanto ci sono ”esempi sufficienti di paesi che non si trovano all’interno dell’Unione Europea ma che stanno utilizzando la moneta unica”.

In qualunque caso, il CATN considera necessaria una nuova “Banca Centrale della Catalogna”, con capacità e competenze comuni alle altre Banche Centrali così come una nuova agenzia per la regolazione e il controllo degli investimenti e del mercato dei valori. La nuova agenzia (Autorità Catalana di Investimenti e Mercati ACIM) potrebbe essere finanziata con i costi che attualmente sono già assunti dal tessuto produttivo catalano per il funzionamento della CNMV – Comisión Nacional Mercato Valores.

Speciale rilevanza bisogna dare alla liquidità nel periodo di transizione del nuovo Stato. In questo senso, i membri del CATN considerano che i potenziali danni derivanti da una mancanza di accesso alle risorse monetarie sarebbero “minimizzati” dalla stessa Unione Europea, visti gli interessi imprenditoriali e commerciali in gioco. Per questo motivo, il rapporto crede sia ragionevole pensare che l’UE agirà per evitare uno scenario in senso catastrofico, nella misura in cui questi danni avrebbero una ricaduta su cittadini e aziende che sono già pienamente membri dell’UE. In ogni caso, il CATN aggiunge che i potenziali effetti negativi si produrrebbero solo a breve termine.

Infine, il CATN afferma che, probabilmente, la stessa UE lavorerà per favorire un accordo, non soltanto per coerenza con i principi dell’integrazione europea ma anche perchè una strategia contraria potrebbe danneggiare lo Stato spagnolo e l’insieme dell’economia spagnola, in quanto la solvenza del suo debito si indebolirebbe fortemente e ricadrebbe sulla stessa credibilità della moneta comune.

Il processo costituente

Il decimo rapporto elaborato dal CATN analizza il processo costituente della Catalogna, inteso come processo che dovrà essere aperto, in caso di costituire uno stato proprio ed indipendente, per la sua piena istituzionalizzazione, secondo degli standard democratici più esigenti. Secondo Viver i Pi-Sunyer, questo rapporto “è il più rilevante dal punto di vista politico” in quanto è il seguito del primo rapporto già presentato dal CATN sulla consultazione. Il presidente del CATN ha spiegato che il rapporto indica cosa bisognerebbe fare dopo la celebrazione di una consultazione, o di elezioni plebiscitarie con le quali, maggioritariamente, si decidesse a favore della creazione di un nuovo stato catalano indipendente.

Dopo il voto positivo espresso dalla cittadinanza dovrebbe prodursi una “dichiarazione solenne in Parlamento in favore della creazione di un nuovo Stato”. Per il CATN, questa dichiarazione dovrebbe includere l’offerta allo Stato spagnolo per trattare il processo della separazione con un appello, se fosse necessario, alla mediazione internazionale e all’Unione Europea per fare possibile l’apertura di questo processo. A partire da qui, il rapporto prevede due scenari: collaborazione e non-collaborazione dello Stato spagnolo.

Nel caso di collaborazione, secondo il CATN, le istituzioni catalane ed spagnole dovrebbero aprire un “processo di trattativa per preparare la nascita del nuovo Stato”, un processo nel quale potrebbe avere un ruolo fondamentale sia la mediazione internazionale dell’Unione Europea che la mobilitazione cittadina. Questa trattativa, dice il rapporto, dovrebbe avere quattro obiettivi cardini: trattare con lo Stato le condizioni della separazione; cercare il riconoscimento internazionale; trattare con l’Unione Europea e gli organismi internazionali le condizioni dell’incorporazione del nuovo Stato e preparare internamente la creazione del nuovo Stato.

Su questo ultimo punto, il CATN considera “essenziale” la preparazione di “strutture di stato” come le finanze e l’amministrazione economica e tributaria, l’Inps, il potere giudiziario, la sicurezza pubblica, le infrastrutture, le telecomunicazioni, l’energia, l’acqua e i rapporti all’estero, al di là delle decisioni che potessero essere prese nella futura Costituzione catalana. Durante questo processo, il rapporto consiglia che los Stato e la Generalitat concordino un protocollo di attuazione per offrire la massima sicurezza giuridica.

In questa fase previa, si dovrebbero preparare le decisioni di base per la regolazione  del processo costituente (procedura di elaborazione e approvazione della futura Costituzione). Queste decisioni potrebbero essere contenute in una “legge costituzionale provvisoria della Catalogna”, che dovrebbe includere il diritto applicabile transitoriamente in questo periodo “per garantire i diritti e le libertà delle persone” fino all’entrata in vigore della nuova Costituzione.

Se lo scenario fosse l’opposizione dello Stato spagnolo, il CATN conclude che la Generalitat potrebbe tentare di “forzare la trattativa con lo Stato facendo appello a diversi attori di carattere internazionale e della società civile”. Se non ci fosse risposta, l’alternativa della Generalitat sarebbe la “proclamazione unilaterale dell’indipendenza” ratificandola con un referendum. In questo caso, dice il rapporto, bisognerebbe avere già le strutture di stato indispensabili per rendere effettiva questa proclamazione e poter esercitare da subito il governo del nuovo Stato.

Dopo la proclamazione di indipendenza, con o senza la collaborazione dello Stato, comincia propriamente il processo costituente.  

Questo processo, secondo il CATN, dovrebbe includere i seguenti elementi: “1.elezioni costituenti”, da tenersi secondo la legislazione elettorale vigente nel momento della proclamazione dell’indipendenza e che soltanto potrebbero non aver luogo nel caso in cui le elezioni plebiscitarie fossero state celebrate poco prima della dichiarazione di indipendenza; “2.iniziativa costituzionale”, che dovrebbe ricadere nel Parlamento mediante un documento congiunto di tutti i gruppi parlamentari; “3.elaborazione e approvazione parlamentari” della legge di costituzione provvisoria catalana, per la quale si potrebbe valutare la possibilità di una maggioranza rinforzata; “4.formule per la partecipazione cittadina” e “5.referendum di ratifica” da parte della cittadinanza.

Provvisoriamente, considera il rapporto, si potrebbe mantenere il sistema istituzionale della Catalogna previsto nello Statuto di Autonomia, con l’introduzione di alcune modifiche. Nel caso dei diritti che non fossero contemplati nello Statuto, il CATN suggerisce que si potrebbero incorporare i diritti riconosciuti nei principali strumenti giuridici vigenti in Catalogna fino a quel momento, come il Titolo I della Costituzione spagnola relativo ai diritti e le libertà, o ai diritti riconosciuti dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani.

Questa legislazione provvisoria dovrebbe includere la “regolazione sulla cittadinanza catalana”, in quanto ciò determinerebbe chi potrebbe votare nel processo costituente. In questo senso, il CATN conclude che si potrebbe partire dalla regola di cittadinanza inclusa nello Statuto di Autonomia, secondo la quale “sono cittadini catalani i nazionali spagnoli con residenza amministrativa in un municipio della Catalogna”.  Il rapporto sottolinea la convenienza che l’acquisizione della cittadinanza catalana non sia condizionata alla rinuncia di quella spagnola.

In quanto al regime linguistico, il rapporto del CATN dice che dovrebbe stabilirlo la futura Costituzione e la legislazione derivante da essa. Tuttavia, il Consiglio raccomanda determinare provvisoriamente un regime applicabile durante il periodo costituente, che dovrebbe tenere conto di due criteri: concedere al catalano il pieno riconoscimento e uso in tutti gli ambiti, mantenendo la continuità degli usi del castigliano.

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