lunedì 24 novembre 2014

Catalogna: e adesso?

La votazione della consulta popolare sull'indipendenza della Catalogna del passato 9 di novembre, malgrado i dubbi iniziali con cui è stata ricevuta una volta annunciata dal presidente, è stata un vero successo che ha posto in rilievo l’audacia del presidente nel driblare i tentativi dello Stato spagnolo di fare naufragare il processo.

Il governo catalano ha fatto la sua parte, mettendo a punto locali della Generalità, urne e schede perché la cittadinanza di Catalogna potesse esprimere il suo parere, mentre le migliaia di volontari sono state l'anello della catena necessario per far sí che il processo partecipativo arrivasse a buon porto.

Il popolo catalano ha risposto alla chiamata, ancora una volta, in una maniera chiara e contundente partecipando in massa, rendendo la giornata partecipativa una vera festa della democrazia riempiendo le urne di voti.

Malauguratamente, la cecità politica delle istituzioni dello Stato spagnolo non solo le porta a sottovalutare la dimensione del conflitto e i più di due milioni e trecentomila cittadini che vi hanno preso parte, ma anche, seguendo la sua linea di giudizializzare la politica, a iniziare una campagna di pressione sulla Procura Generale dello Stato perché presenti una querela al presidente Mas, alla vicepresidente Ortega e alla consigliera Rigau. 

Lo spettacolo vissuto è stato grottesco, con la procura di Catalogna che al principio si negava a presentare la querela, non considerandolo opportuno, fino al punto che la Procura Generale dello Stato, capitanata dal signor Eduardo Torres-Dulce, ha ceduto alle pressioni del governo statale e ha deciso di presentarla e utilizzare il potere giudiziale per tentare di risolvere con la giustizia un problema politico. SI evidenziano cosí le mancanze democratiche d’uno Stato spagnolo che disprezza il principio democratico della separazione di poteri. 

Noi Catalani viviamo soggiogati a une istituzioni statali che pretendono penalizzare il semplice esercizio d’un diritto fondamentale quale la libertà d’espressione, dal momento che lo scorso 9 di novembre il Governo della Generalità ha impulsato un processo partecipativo per conoscere l’opinione della cittadinanza sul futuro nazionale della Catalogna. 

E adesso?! 

Ancora una volta si è dimostrato che quando camminiamo insieme siamo più forti e capaci d’arrivare più lontano. La nostra forza è l'unità, che si deve preservare da qualsiasi interesse di partito. Viviamo tempi transcendentali davanti ai quali si deve esigere ai partiti politici responsabilità e che facciano caso al clamore popolare che reclama unità.

In questo senso, sono dell'opinione che si deve impulsare una candidatura trasversale e unitaria, liderata dal presidente Mas, che in future elezioni al Parlamento di carattere plebiscitario ci permetta decidire il nostro futuro politico con tutta libertà e con garanzie piene. 

Una candidatura unitaria aiuterebbe a visualizzare il carattere plebiscitario delle elezioni, lasciando per dopo altre questioni, quando, raggiunta la independenza, se cosí lo vuole la maggioranza risultante, si dovrebbero indire nuove elezioni di tipo costituente.

L’opzione di partecipare uniti sotto la copertura di una candidatura unitaria è quella che ci colloca in un scenario più simile a quello di un referendum, di fronte alla proibizione del governo spagnolo di organizzare una consulta accordata di stile britannico, e agli occhi della comunità internazionale i risultati sarebbero interpretati in maniera chiara e concisa.

In epoche eccezionali, decisioni eccezionali!


Salvador Grifell i Hernández
@s_grifell

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domenica 23 novembre 2014

Il governo di Catalogna, una legittimità storica e democratica

Nell’attuale processo catalano verso l'indipendenza política e di fronte all’attitudine negazionista del governo di Madrid – e della maggioranza della classe politica spagnola-, c'è chi ha voluto centrare il dibattito esclusivamente tra la legittimità da un lato e la legalità dall'altro, ovviando quasi sempre che questo è anche un dibattito tra la volontà popolare e l'imposizione politica, tra il potere democratico e l’immobilismo del sistema. Nonostante ciò, il negazionismo di Rajoy evita il fatto che non si può occultare impunemente la storia né si può travisare la sua legittimità. Almeno non adesso e qui, nell’Europa del XXIesimo secolo.
Artur Mas, 129 Presidente
della Catalogna
Artur Mas, il presidente della Catalogna, non è alla guida di un governo autonomico creato grazie e in seguito alla Costituzione spagnola del 1978, come si intestardiscono a ripetere ministri spagnoli ed opinionisti dell’unionismo. Artur Mas è il 129esimo presidente della Generalità, la denominazione storica e d’origine medievale delle istituzioni catalane. Le Corti Reali Catalane nacquero nel XIIIesimo secolo –in un'epoca molto remota, quindi, persino in un contesto europeo-, come rappresentazione dei tre bracci: l’ecclesiastico, il militare ed il civile. Ed è a partire dalle Corti che il re accettò, più tardi, la costituzione d’un organo di governo proprio, anche se inizialmente unicamente con competenze fiscali. Quest'organo, la Diputazione del Generale di Catalogna, ebbe con il vescovo Berenguer di Cruïlles il suo primo presidente nel 1359. E le Corti e la Generalità assunsero maggior peso politico e istituzionale con il passare degli anni e con l’indebolimento del potere reale, fin quando, nel 1714, con la fine della Guerra di Successione Spagnola e la vittoria borbonica, si soppressero i diritti storici della Catalogna, tra i quali il parlamento e il governo proprio, e si realizzò l'assimilazione istituzionale a Spagna.

Lluís Companys, 123 Presidente
della Catalogna
E non fu sino alla proclamazione della Repubblica spagnola del 1931, che questi diritti, sebbene solo parzialmente, vennero riconosciuti, mediante la restaurazione sia del Parlamento sia del Governo della Generalità. Non è una casualità che la Catalogna fosse l’unico territorio dello Stato che avesse istituzioni d’autogoverno durante l’epoca repubblicana –eccetto i Paesi Baschi, i quali non le ottennero fino al 1936, a guerra già iniziata.

Il generale Franco, in seguito alla vittoria del fascismo che incarnava, nel 1939 abolí un'altra volta il Parlamento ed il Governo –le due istituzioni che, in termini moderni, intendiamo come Generalità. Però quest'abolizione non significò la sua annichilazione: in esilio continuarono ad esistere ed a resistere. Il 123esimo presidente della Generalità, Lluís Companys, che per la prima volta aveva ricevuto l'incarico nel 1933, lo mantenne fino al giorno in cui fu fucilato dai franchisti –dopo essere stato arrestato dalla Gestapo in Francia- nel 1940. 
Josep Irla, 124 Presidente
della Catalogna
A Companys succedette Josep Irla, l'ultimo presidente del Parlamento prima della fine della guerra civile: seguendo la legislazione catalana, il presidente del Parlamento assumeva il posto vacante del Presidente della Generalità in modo automatico e con pleni diritti, ogni qualvolta non era possibile riunire la camera rappresentativa, come era il caso. Irla esercitò la presidenza del governo di Catalogna in esilio dal 1940 fino al giorno delle sue dimissioni, nel 1954, già malato, solo quattro anni prima della sua morte. Josep Tarradellas –che già aveva partecipato a molti governi della Generalità in epoca repubblicana e anche in quello di Irla-, assunse la responsabilità di mantenere viva la rappresentatività istituzionale, in seguito all’elezione effettuata da diputati riuniti in Messico. Durante molti decenni lo fece dalla sua residenza francese di Saint-Martin-le-Beau. Infatti, mentre Companys significò il legame della perseveranza tra la Generalità repubblicana e l’esilio, Tarradellas protagonizzò il cammino del ritorno. 

Presidente Tarradellas ritorno dall'esilio nel 1977
La sua azione política non sempre ricevette l’approvazione di buona parte degli altri Catalani esiliati, per esempio, per il suo rifiuto di voler nominare il governo, mantenendo cosí l'istituzione solo nella figura del presidente. Però alla fine del 1975, con la morte di Franco e l’inizio della cosiddetta transizione spagnola, Tarradellas seppe giocare bene le carte dei diritti storici democratici che lo legittimavano. Perciò, sin dall'inizio del 1976, stabilí contatti con le forze politiche della penisola, provenienti sia dall’epoca repubblicana sia dall’antifranchismo e cominciò a negoziare con i nuovi poteri dello Stato, in particolare il primo ministro spagnolo Adolfo Suárez.

Nel periodo in cui, dopo le prime elezioni parlamentarie del giugno 1977, il Congresso dei Diputati spagnolo iniziava il suo periodo costituente, Tarradellas culminò il suo processo negoziatore con un viaggio sorpresa a Madrid, dove venne ricevuto dal re Joan Carles e dal primo ministro Suárez, e fece quindi un ritorno lampo a Barcellona, il 23 ottobre del 1977, avendo ottenuto il riconoscimento come presidente della Generalità, e con una multitudinaria accoglienza popolare. In un caso sfortunatamente eccezionale – nel senso che ancora oggi molte delle attuazioni del franchismo non sono state formalmente derogate o annullate, cominciando dal fucilamento del presidente Companys- Tarradellas ottenne sia la derogazione della legge d'abolizione delle istituzioni catalane sia il ristabilimento della Generalità e il proprio incarico –da parte del re in persona- a presidente provvisorio. Si riconosceva, quindi, la leggitimità storica e democratica della Generalità di Catalogna, e tutto ciò ancora prima della promulgazione della Costituzione spagnola del 1978, la cornice legale a partire della quale si generalizzò in seguito la concessione delle autonomie regionali in tutto lo Stato. 

Josep Tarradellas, 125 Presidente
della Catalogna
Tarradellas nominò un governo provvisorio –formato da quei partiti catalani con rappresentazione nelle parlamentarie del 1977- e convocò elezioni al Parlamento di Catalogna il prima possibile secondo la nuova legislazione spagnola, nel 1980, dando inizio ad un nuovo periodo democratico per le istituzioni della Generalità.

Questa traiettoria si scontra frontalmente, quindi, contro chi afferma in maniera continua che l’autogoverno di Catalogna nasce dalla Costituzione spagnola del 1978. Né vi nasce né vi trova la sua leggitimazione. Il fatto che, un anno prima, la monarchia parlamentaria spagnola riconoscesse la Generalità come sistema d’autogoverno della Catalogna e lo facesse nella figura che ne rappresentava la successione della sua tappa repubblicana non è solo una singolarità, è il riconoscimento di una leggitimità anteriore al periodo costituzionale. Anteriore sia dal punto di vista storico sia giuridico. Anteriore politicamente, inoltre. Una leggitimità che arriva da lontano e che nessun governo centrale può diminuire o annichilare. Non sarebbe il primo a volerlo fare, ma neppure il primo a fracassare.

Una leggitimità che proviene dalla storia e, ancor più, dalla sovranità popolare raccolta dal Parlamento della Catalogna. Una leggitimità che permette –e obbliga- al Governo della Generalità di convocare la cittadinanza per esprimere liberamente e democraticamente la sua volontà di futuro.





Josep Bargalló Valls
@josepbargallo
Primo Ministro e Ministro della Presidenza della Catalogna 2004-2006
Ministro dell'Istruzione della Catalogna 2003-2004
Assessore in Comune Torredembarra (1995-2003)
Presidente Institut Ramon Llull (2006-2010)
Dal 2010 è docente presso l'Università Rovira i Virgili

più di questo autore:
La lingua catalana nelle scuole. Quando i giudici vogliono sostituirsi al Parlamento.


più di questo autore in inglese:
Francesc Macià, President of the Catalan Republic


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domenica 16 novembre 2014

Nascondere un deficit colossale

Il Ministro delle Finanze Montoro aveva già detto che avrebbe fatto le bilance fiscali per dimostrare che il deficit fiscale catalano non esisteva.

Finalmente, il ministro Montoro ed il suo impiegato Angel de la Fuente, ex-ricercatore del Consiglio Superiore di Ricerche Scientifiche (CSIC) e dell’Università Autonoma di Barcellona, hanno pubblicato i loro “conti territorializzati”.

Dopo un prima lettura, questi sono i miei commenti:

Primo. E’ vergognoso che il ministro nasconda i dati che dovrebbero essere di proprietà pubblica e che non vengano pubblicati affinchè gli economisti possano fare i calcoli che più aggradano, inclusi alcuni metodi scientifici utilizzati da anni. Nascondere i dati e pubblicare soltanto dei “conti territorializzati” cucinati da economisti affini è una vergogna intellettuale. Nei paesi democratici i dati sono dei cittadini e non certo del ministro o del re e gli ex-accademici rispettati non dovrebbero partecipare a questo occultamento.

Secondo. Ho già detto altre mille volte che non esistono bilance fiscali buone o bilance fiscali cattive. Ognuna è la risposta corretta a una domanda concreta.

Terzo. Una volta visto quello che hanno fatto il De la Fuente e colleghi, la domanda alla quale rispondono i loro conti è: “Se la Catalogna fosse indipendente, quanti soldi netti avrebbe la Generalitat una volta tenuto conto delle nuove spese che avrebbe dovuto pagare e che finora pagava il governo centrale?” Risposta: 8.455 milioni di euro. Niente male! E’ confortante sapere che in una Catalogna indipendente, la Generalitat non sarebbe più strozzata e non soffrirebbe più per pagare la sanità e l’educazione. Grazie, ex-professore De la Fuente per l’informazione.

Quarto. Siccome sappiamo che De la Fuente ed i suoi aiutanti hanno fatto l’impossibile per rendere questo dato del deficit il più basso possibile (Montoro aveva confessato che l’obiettivo di questi conti era politico: cioè non voleva dare munizioni al sovranismo catalano!), sappiamo che l’avanzo della Generalitat indipendente sarebbe certamente molto superiorie a questi 8.455 milioni.

Quinto. Con l’indipendenza, i soldi addizionali che avrà la Generalitat non sono i soldi che avrà la Catalogna. Il motivo è che ci saranno molte più spese che saranno a carico della Generalitat e che prima pagava il governo di Madrid, spese che prima si facevano in Spagna e che a breve si faranno in Catalogna. La risposta alla domanda “quanti soldi addizionali avrà la Catalogna come paese in caso di indipendenza?” la risposta è “il saldo della bilancia fiscale calcolata con il metodo del flusso monetario”.

Siccome De la Fuente non ha fatto questi calcoli (e qui è dove quel economista onesto e rispettabile che era Angel perde la sua rispettabilità, perchè un accademico come lui non dovrebbe partecipare a dei programmi di occultamento di dati), possiamo utilizzare i dati della Generalitat: se la Catalogna fosse indipendente, il suo PIL aumenterebbe di 16 miliardi di euro perchè tutte le tasse che (facendo parte della Spagna) vanno via dalla Catalogna resterebbero nel paese.

Sesto. I calcoli di De la Fuente e dei suoi colleghi suppongono che le spese pubbliche non territorializzate e che si fanno a Madrid, portano beneficio a tutti i cittadini allo stesso modo. Porta vantaggi ai catalani il Museu del Prado? tanto quanto ai madrileni (che abitano vicino al museo e lo possono visitare più frequentemente)? e lo stipendio del re? porta beneficio allo stesso modo a un monarchico o a un repubblicano? e lo stipendio del ministro Wert? è un vantaggio per gli spagnoli che vogliono la scolarizzazione in castigliano nella Catalogna o per i catalani che vogliono la scolarizzazione in catalano?

La verità è che è impossibile sapere a chi porta vantaggio ogni euro speso dallo Stato. E, siccome è difficile, De la Fuente suppone ardita e arbitrariamente che tutta la spesa pubblica apporta un beneficio per tutti i cittadini allo stesso modo. E’ chiaro che questa premessa è gratuita, visto che lo stipendio del re non potrà mai beneficiare allo stesso modo un monarchico o un repubblicano e lo stipendio di un ministro che attacca la lingua catalana non avvantaggia allo stesso modo i catalani rispetto ai non catalani.

Ma, se facciamo come De la Fuente e supponiamo che la spesa pubblica beneficia i cittadini allo stesso modo, allora il 16% di tutta la spesa che si fa in Spagna si fa a favore dei catalani in quanto la Catalogna ha il 16% della popolazione spagnola. Che sia chiaro, è una tesi arbitraria malgrado che De la Fuente abbia voluto darle una natura scientifica imparziale che non ha. Sarebbe anche scientifico dire che le spese che non portano vantaggio ai catalani (come lo stipendio di Montoro o di Wert) non dovrebbero essere imputate alla Catalogna.

Settimo. I conti di Madrid sono una barzelletta. Dire, come ha fatto il presidente di quella comunità, che Madrid ne esce “doppiamente dannegiato” rispetto alla Catalogna dal sistema fiscale spagnolo è una farsa. Come ho già detto, i calcoli di De la Fuente assegnano la maggior parte delle spese che si fanno a Madrid alle altre comunità. Non importa se queste spese si fanno a Madrid, generano affari a Madrid e hanno un impatto macroeconomico a Madrid. La realtà è che, secondo De la Fuente, l’85% di queste spese si fanno “per i no residenti a Madrid” e, pertanto, non si assegnano a Madrid malgrado si facciano a Madrid. E, ovviamente, se i madrileni pagano le tasse che devono pagare e l’85% delle spese che si fanno a Madrid sono assegnate alle altre comunità, risulta che Madrid paga molto e riceve poco. Risultato? Un deficit della bilancia fiscale gigantesco, che porta a molti madrileni a dire che i più danneggiati sono loro! Una grande menzogna.

Sarebbe come se un grupo di 17 amici organizzassero una festa nel tuo ristorante. Prendi i soldi di tutti in proporzione alla nostra rendita e, siccome tu sei il proprietario del ristorante, sei il più ricco e sei quello che paga di più. L’amico catalano è il secondo più ricco e, pertanto, il secondo che paga di più. E così successivamente. Se soltanto guardiamo quello che ognuno paga senza tenere conto dell’afffare che si fa con la festa, ne uscirà che tu, il proprietario del ristorante hai pagato più di tutti. E questo è contabilmente certo. Ma quello che non puoi dire è che sei il più generoso e solidale perchè, oltre a pagare la tua quota, stai facendo degli affari stratosferici con la festa. Se tenessimo conto che questi affari si fanno nel tuo ristorante (e questo è il metodo del flusso monetario che De la Fuente e Montoro occultano), risulta che non sei più tanto generoso. E dunque, al deficit di Madrid succede esattamente questo: De la Fuente dice che l’85% dello stipendio di Wert deve essere assegnato a tutti gli spagnoli equitativamente anche se, in realtà, si spende a Madrid e avantaggia i suoi ristoranti e negozi.

Collocare il deficit di Madrid come se fosse paragonabile agli altri appare fatto solo per poter dire che il deficit catalano non è così grande come dicono. Di fatto, questa è stata la reazione della stampa affine. Ma, tra le comunità che non fanno affari con la festa della capitalità, i dati di De la Fuente confermano che la Catalogna è la più danneggiata della Spagna, con un deficit quattro volte più grande della seconda, il paese Valenziano, e quasi sei volte più grande della terza, le isole Baleari.

Riassumendo: dal punto di vista fiscale ed economico, la Spagna è sempre un cattivo affare per la Catalogna e questa realtà non cambia con la pubblicazione della bilancia fiscale di Montoro e di De la Fuente.

L’unica cosa che cambia con questa pubblicazione è che adesso possiamo prendere atto ufficialmente della disonestà intellettuale di chi si arrabatta per nascondere un deficit colossale.





Xavier Sala i Martin
Docente di Economia - Univ. della Colúmbia – USA

 

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martedì 11 novembre 2014

2.305.290 di catalani hanno partecipato al referendum simbolico





L'80,72 per cento degli oltre 2.305.290 di catalani che hanno partecipato al referendum simbolico sull'indipendenza della Catalogna ha votato "sì". Le domande poste erano due: la prima riguardava l'ipotesi di dare alla Catalogna lo statuto di nazione, la seconda se concederle l'indipendenza.

Il "sì" alla prima seguito dal "no" alla seconda domanda ha ottenuto il 10,07 % dei voti, il doppio "no" il 4,54 % e le schede bianche sono state il 0,56%.

La consultazione, organizzata dai militanti indipendentisti senza monitoraggi indipendenti né liste ufficiali di elettori, ha soltanto un valore simbolico e Madrid lo considera un esercizio inutile.

L'alta percentuale di "sì" si spiega con il fatto che a mobilitarsi sono stati quasi esclusivamente gli indipendentisti. I votanti sono stati circa un 43 % degli aventi diritto.

"Possiamo dire che la giornata di oggi è stata un pieno successo", aveva affermato in precedenza il presidente della Generalitat di Catalogna, Artur Mas, riferendosi agli oltre due milioni di catalani che hanno partecipato alla consultazione sull'indipendenza, dando "una lezione di democrazia".

In una conferenza stampa, dopo aver assicurato che "oltre due milioni di persone" hanno votato, Mas ha ammonito: "nessuno dimentichi e, meno di tutti lo Stato spagnolo, che la Catalogna vuole governare se stessa".


Sì-Sì: 80.76% (1,861,753)

No-No: 10.07% (232,182)

Sì-Bianche: 0.97% (22,466)

No: 4.54% (104,772)

Bianche: 0.56% (12,986)

Altro : 3.09% (71,131)

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sabato 8 novembre 2014

Manifesto unionista contro il Presidente catalano Mas e la consultazione


Un manifesto firmato da 50 intellettuali ed scrittori spagnoli chiede al presidente del governo spagnolo, Mariano Rajoy, che agisca con mano pesante contro il nazionalismo catalano e che non tratti su nulla con il presidente della Generalitat, Artur Mas, quando convocherà la consultazione del prossimo 9 novembre sull’indipendenza della Catalogna. I firmatari hanno creato una piattaforma anti-catalana chiamata “Libres e iguales”.

Il testo, presentato nel pomeriggio del 15 luglio alle porte del Congresso dei Deputati in un evento senza precedenti, fa un appello a evitare "la sconfitta democratica spagnola", che è il "primo obbligo dei partiti politici". Inoltre, secondo il manifesto, l'indipendentismo catalano “si accoppia con il populismo antieuropeo".

Tra i firmatari spiccano lo scrittore Mario Vargas Llosa e il direttore teatrale Albert Boadella oltre a Jorge Martínez Reverte, Jon Juaristi e Félix de Azúa (scrittori anch’essi), e i giornalisti Arcadi Espada, Carlos Herrera e David Gistau. Firmano il manifesto anche l’expresidente socialista della comunità di Madrid Joaquín Leguina, la deputata del PP Cayetana Álvarez de Toledo, l'exsegretario generale del Partito Socialista Basco Nicolás Redondo Terreros, e l'exsegretario generale del sindacato comunista CCOO José María Fidalgo.

Riunione Mas-Rajoy

Il documento anti-catalanista si preparava da due mesi e si rende pubblico ora, in coincidenza con la manifesta volontà di riunirsi espressa da Rajoy e Mas. Su questo incontro il manifesto considera che "la sfida secessionista non ha ricevuto la risposta che si merita".

I firmatari del manifesto chiedono che lo Stato spagnolo “applichi tutta la legge e avverta con chiarezza sulle conseguenze della sua violazione", riferendosi agli effetti che potrebbero ricadere sul presidente Mas se fosse convocata la consultazione del 9-N. "Nessuna infrazione legale può restare impunita e nessuna sentenza può essere violata", aggiunge il documento.

Impegno politico

Infine, il testo chiede a PP, PSOE e UPyD di dimostrare "il loro impegno con i fatti", e che su questa linea devono rivendicare la Costituzione spagnola, rifiutare qualsiasi trattativa limitante la sovranità ddell’insieme dei cittadini e organizzare un evento pubblico di unità di azione contro il secessionismo che garantisca la decisione di sottomettere a referendum "qualsiasi alterazione delle basi costituzionali".

Bernat Vilaró

 

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mercoledì 5 novembre 2014

Rajoy e l’assurdo

Il “si” all’indipendenza vincerebbe la consultazione, secondo un’inchiesta dell’azienda Metroscopia pubblicata il 20 luglio sul quotidiano 'El País'.

Con una partecipazione del 70%, il sondaggio prevedeva che il sostegno alla secessione avrebbe superato il 50% dei sufragi. E’ uno dei primi sondaggi che si fanno sulle domande della consultazione prevista per il mese di novembre e conferma un progressivo consolidamente del sovranismo.

Lo stesso quotidiano madrileno riconosceva che l’indipendentismo è vissuto con normalità nella società catalana. Per questo appare sempre più contradittorio l’atteggiamento bloccato del governo spagnolo.

Un giornale può chiedere ai catalani sull’indipendenza mentre il governo o il Parlamento catalani non hanno diritto a farlo?

Ma non si rendono conto che ad ogni giorno che avanza, l’immobilismo dell’esecutivo spagnolo e del PSOE appaiono sempre più assurdi?

El Singular. Cat - Editorial

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