martedì 29 aprile 2014

Forse pensano


Forse pensano
(sulle voci che dicono che Rajoy sta per proporre a Mas un’offerta che non potrà rifiutare).


Forse pensano che migliorando le condizioni di finanziamento della Catalogna sarà sufficiente.
Forse pensano che migliorare il finanziamento della Catalogna equivale a concedere lo stesso regime (concierto) economico del Paese Basco.
Forse pensano che il “concierto” economico basco sarà sufficiente.
Forse pensano che in cambio di pochi denari annulleremo la consultazione.
Forse pensano che qualsiasi proposta che arriverà da Madrid sarà gestita dagli uffici e negli uffici.
Forse pensano che questo possa essere concordato nei corridoi del Congresso.

Forse pensano che questo si può risolvere con un pranzo nel palazzo della Moncloa.

Forse pensano che ciò sta succedendo perchè Artur Mas è diventato pazzo.

Forse pensano che è soltanto una cosa del partito CDC che si è radicalizzato.

Forse pensano che se distruggono Mas distruggeranno anche il processo.
Forse pensano che Junqueras (del partito alleato ERC) tradirà Mas.
Forse pensano che quelli di Iniciativa (ex-comunisti) sono manipolati e non pensano con la propria testa.
Forse pensano che quelli della CUP (partito di estrema sinistra indipendentista) sono quattro pazzi.
Forse pensano che la Via Catalana è stata una grigliata.
Forse pensano che con il discorso della paura i cittadini non avranno voglia di andare a votare.

Forse pensano che i due terzi della popolazione che vuole il referendum dimenticherà questo desiderio.

Forse pensano che questo sia uno scherzo che è sfuggito di mano.
Forse pensano che neanche illegalizzando l’ANC questo finirebbe.
Forse pensano che prima pagina dopo prima pagina inizieranno a tremare le gambe.
Forse pensano che inviando ispezioni della Finanza a tappeto a tutti gli imprenditori catalani che si sono dichiarati sovranisti, gli imprenditori si tireranno indietro.

Forse pensano che i deputati sostenitori della consultazione e quelli contrari sono metà e metà. 
Forse pensano que stiamo bleffando.
Forse pensano che tutto finirà in niente.
Forse pensano che nessuno voterà su nulla.
Forse pensano che questo non va sul serio.
Forse pensano,.... o peggio... forse non pensano.


 Jofre Llombart – el Singular Digital 




Commenti dei lettori

Fine modulo

Lluís Costa - 02/04/2014 10:58 

Cosa ne pensi ? 

Quim - 02/04/2014 09:07 

Credo che hanno PENSATO durante questi ultimi due anni che la cosa non andava sul serio e adesso si rendono conto che ci avevano sottovalutato. Alla fine tratteranno, vedrete. 

bet.cat - 02/04/2014 08:41 

Io credo che pensano troppo, e che lo fanno con la solita mentalità spagnola, non catalana.

Jordi Cortacans - 02/04/2014 01:49 

Forse il fatto di pensare che non pensano sia pericoloso. Dobbiamo diffidare della fiera anche se l’abbiamo presa per il collo. Dobbiamo spingere ancora fino a quando esalerà l’ultimo respiro. 

Gesta Comitum 

02/04/2014 01:23 



La Castiglia confidava negli "altri catalani", sperando si rivoltassero contro la terra che li ha accolti, ma è successo l’opposto. Tutti i catalani con origini diverse ci siamo messi d’accordo sul fatto che la Catalogna è la nostra terra e vogliamo il meglio per questa terra e per le nostre famiglie.

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lunedì 28 aprile 2014

I due grandi dati nascosti nell’ultimo sondaggio CEO


Forse lo ripeto troppo, ma conviene insistere ancora una volta sulle idee chiavi dell’ultimo studio Òmnibus del CEO (Centre d’Estudis d’Opinió – Generalitat de Catalunya) che, tra le altre risposte, indicava quella di un 59,7% dei catalani (sull’insieme del censimento elettorale), che sono a favore che il nostro paese diventi un nuovo Stato d’Europa. La maggioranza degli opinionisti hanno insistito sull’importanza di questo dato e sulla tendenza sostenuta alla crescita (che prosegue) del numero di indipendentisti.

Tutte le campagne della paura, gli insulti ed il discredito verso il nostro intero paese, verso le persone e le istituzioni che lanciano continuamente, hanno effetti controproducenti. Tutti hanno evidenziato anche (perchè è molto importante) il fatto che fino ad un 87% degli intervistati affermano che sono disposti ad accettare il risultato derivante dalla Consultazione del 9 novembre: in breve, significa che oltre alla logica divisione di pareri esistente in qualsiasi società democratica matura, non c’è praticamente in Catalogna (eccetto in alcuni settori marginali di bassissima istruzione) nessun tipo di frattura sociale, come invece predica instancabilmente (ed erroneamente) il dipendentismo.

Ma, a mio parere, la solidità del processo si basa anche, con straordinario vigore, su altri due dati: il primo lo deduco io stesso dai dati dello studio; il secondo, l’ho trovato su twitter attraverso un tweet interessante del politologo Sergi Castañé. 

I sostenitori che la Catalogna diventi un nuovo Stato di Europa tra quelli che hanno studi universitari arriva al 67,7%, una cifra veramente stratosferica. Ciò significa que quelli che hanno più possibilità di indicare tendenze, di costruire il “mainstream”, di delimitare le correnti centrali del paese, hanno molto chiaro quale deve essere l’obiettivo di futuro da raggiungere. E’ un dato importantissimo. 

Lo è anche un altro dato: fino al 32%, circa un terzo, di quelli che si considerano sia spagnoli che catalani, sono per una Catalogna come nuovo Stato di Europa. E’ un’indicazione chiara del fatto che, a differenza del nazionalismo essencialistico spagnolo, nella Catalogna delle identità plurali si riesce a distinguere perfettamente tra la propria identità (individuale e non trasferibile) e le dipendenze politiche che si preferisce stabilire, il modo concreto come si desidera essere governato come cittadino residente di questo paese. 

Si tratta di notizie molto potenti per l’ottimismo.



Miquel Perez
Dottore in Storia, Archivista

Altri articoli dello stesso autore:
Catalonia: Spearheading Constitutionalism in Europe
A Constitution that “imprisons” Democracy
The Catalan Language Needs Its Own Country

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Margallo: "Una Catalogna indipendente vagherebbe per lo spazio esclusa dall’UE nei secoli dei sécoli"





Il ministro di Affari Ésteri spagnolo, José Manuel García-Margallo, ha avvertito oggi che una dichiarazione unilaterale d’indipendenza da parte della Catalogna la “condennerebbe a vagare per lo spazio senza un riconoscimento internazionale e ad essere esclusa dall’Unione Europea nei secoli dei secoli”.

García-Margallo si é espresso cosí durante il colloquio posteriore alla conferenza da parte del viceprimer ministro e ministro dell’Economía e dello Sviluppo Sostenibile della Georgia, Giorgi Kvirikashvili, durante una colazione organizzata da Nueva Economía Fórum.

Il presidente della diplomazia spagnola ha chiesto agli indipendentisti catalani che imparino le “lezioni” delle secessioni unilaterali dei territori georgiani d'Abkhazia e Ossetia del Sud, che sono soltanto riconosciuti dalla Russia, il Venezuela, il Nicaragua e "tre micropaesi del Pacífico". Questi due territori, ha aggiunto, sono in una specie di “limbo giurídico” che impedirebbe loro, se avéssino nessun problema di débito púbblico, accedere al Fondo Monetario Internazionale e ad altre organizzazioni internazionali.

García-Margallo ha riconosciuto che la possibilità di una dichiarazione unilaterale d’indipendenza da parte della Catalogna “preoccupa molto” il Governo spagnolo. Comunque, caso mai fosse presentata, sarebbe “specialmente grave” per la Catalogna, perché farebbe “retrocedere” questa comunità “per molto tempo”. “É arrivata l’ora che tutto questo sia riconosciuto, dichiarato e fatto púbblico per sapere quali sono i rischi ai quali si sta sottoponendo una popolazione che é essenzialmente europea”, ha sottolineato.

Il ministro ha enfatizzato che il diritto a decidere si esercita pure “sempre dentro della norma”, ed ha ricordato che la dottrina delle Nazioni Unite tan solo riconosce la preeminenza del diritto d’autodeterminazione con rispetto al principio dell’integrità territoriale degli stati in tre casi: territori coloniali, sottomessi ad invasione militare o sempre che i diritti fondamentali dei suoi cittadini non venissero riconosciuti.

Perció, ha continuato, la Catalogna non sarebbe riconosciuta dalla comunità internazionale, e cosí l’UE non potrebbe neanche “considerare” un’eventuale richiesta della Catalogna per entrare a far parte dell’UE, perché l’articolo 49 del Trattato dell’Unione “dice che i territori che volessero integrarsi nell’Unione Europea" devono essere "Stati riconosciuti internazionalmente".

Inoltre, il fatto di accettare una richiesta d’ingresso nell’Unione da parte di in nuovo Stato dev’essere approvata per unanimitá dai 28 soci europei. L’unanimitá é anche necessaria per andare avanti in ogni capitolo di negoziazione, cosí come per l’adesione finale, ha ricordato.

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domenica 27 aprile 2014

Un esperto dice che non è scritto da nessuna parte che la Catalogna resterebbe fuori dall’UE

I trattati dell’Unione Europea non contemplano la sucessione di Stati e, pertanto, non è scritto da nessuna parte cosa dovrebbe succedere quando nasce uno stato da un altro stato che fa parte dell’UE. Questa è la riflessione fatta dal Docente di Diritto Internazionale Pubblico dell’Università di Barcellona ed ex-giureconsulto, Dott. Gregorio Garzón, che questo pomeriggio ha partecipato come relatore nella Commissione del Diritto a Decidere del Parlamento della Catalogna. 

“Rispetto ad una virtuale secessione della Catalogna e la sua integrazione nell’Unione Europea è imprudente tanto essere ottimista quanto essere eccessivamente pessimista”, ha detto Garzón dopo una lunga, densa e dettagliata resoconto giuridico dei costumi, dell’esperienza e dei trattati dell’Unione. Infatti, Garzón ha lasciato aperto ogni scenario in questo senso, pur avvisando che una negoziazione per l’entreta nell’Unione è lunga, a dei “meccanismi per accelerarlo”. Il consiglio dell’ex-giureconsulto ai deputati catalani è stato di non frugare sulla via giuridica ma sulla via politica, dell’accordo politico. 

D’altra parte, Garzón ha insistito che a Bruxelles il processo catalano viene considerato nello stesso pacchetto di Scozia o Fiandre e non come un caso Kossovo. Precisamente, Garzón ha utilizzato l’esempio kossovaro per spiegare la volontà politica che commanda in queste decisioni internazionali. “Non tutti gli stati integranti dell’UE lo riconoscono e, invece, si sta trattando con il Kossovo un accordo di adesione attraverso la strada del trattato di stabilizzazione e successione”, ha affermato Garzón.


Quico Sallés - Nació digital.cat

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venerdì 25 aprile 2014

Una rosa per Sant Jordi



È il giorno pieno di rose e di libri, meraviglioso. Una tradizione che unisce la leggenda di uccidere un drago e donare una rosa del colore del sangue (ovviamente, quella che è cresciuta dal sangue del mostro) a una principessa, e che non sia triste quando il suo eroe se ne va.

Grazie alla rosa rossa che è il simbolo dell’amore, abbiamo anche il giorno degli innamorati. Ed è molto bello. Le rose per le donne e i libri per gli uomini, così il regalo non provoca dubbi. 

E quelli che non sono innamorati? Ricordatevi che è solo un giorno all’anno che ci porta a fare questa riflessione. A tutti quelli che hanno paura di innamorasi o semplicemente non hanno ancora trovato la loro media arancia gli consiglio di fare una passeggiata tra le rose e i libri, fate delle belle foto, comprate libri interessanti per voi stessi e pensate a che fortuna avete di non far parte del gruppo più grande (almeno così dicono le statistiche): quello delle persone che ricevono una rosa per San Jordi e fiori neri durante tutto l’anno. 

Forse un giorno vi troverete nel gruppo della minoranza: quello dei felici.

Spero che tutti abbiate passato un gradevole momento!


Anita Janczak

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martedì 22 aprile 2014

Spagna, lasciaci fare il nostro cammino: ne abbiamo tutto il diritto del mondo


Mi chiamo Rita Bocca, sono nata il 25 novembre 1967 a San Sebastiano Po, un paesino in provincia di Torino dove ho frequentato la facoltà di Scienze Politiche. A 25 anni sono venuta a vivere in Catalogna, a Castelldefels (Barcellona), dove grazie alle lingue che conosco (italiano, francese, catalano e spagnolo) “fin’ora” non era mai stato difficile per me trovare un lavoro. Ora da 10 anni vivo a Calafell (Tarragona). 

Dal luglio 2013 collaboro con www.helpcatalonia.cat (faccio traduzioni di articoli dal catalano/spagnolo all’italiano su quanto sta succedendo in Catalogna). Dall’ottobre 2013 sono socia a pieno diritto dell’Assemblea Nacional Catalana (ANC) e collaboro con i “traduttori per l’indipendenza”. Dal dicembre 2013 ho l’incarico di tesoriera territoriale per la campagna SIGNA UN VOT (FIRMA UN VOTO) dell’ANC. 

Mentre vivevo in Italia, praticamente, non sapevo che esistessero ne la Catalogna ne il Catalano. Nel 1993 ricordo che guardavo la televisione e non sapevo se parlavano in catalano o spagnolo, non conoscevo nessuna delle due lingue. Ho un interesse speciale per le lingue, per questo ho avuto il DELE (Diploma de Español como Lengua Extranjera) e il livello C di catalano.

È soltanto da un paio d’anni che mi sono detta “basta, non ne posso più”. Ero stanca di ricevere notizie di ogni tipo sulla Catalogna e sulla sua relazione con la Spagna che non mi convincevano. Mio marito (catalano del Nord di Perpignan) dice sempre che la Catalogna è l’ultima colonia della Spagna e io pensavo: “Che esagerato! Che cosa dice? Non è possibile”. Realmente è così: l’estate scorsa ho letto “Delenda Est Hispania” di Albert Pont e non ci potevo credere. Non potevo credere che un Paese che si definisce “democratico” come la Spagna potesse mentire addirittura manipolando i libri di storia. La storia che si impara in Catalogna non è la stessa che si impara nel resto dello Stato spagnolo. Logicamente, la Nostra è la non “obiettiva”, secondo l’opinione della Spagna.

Quando ho saputo che la Lingua catalana è stata proibita, non 100 anni fa, ma da molti meno, ho pensato: ciò è troppo. Conoscere una lingua può solo essere una ricchezza e, inoltre aiuta a imparare altre lingue…! Questo lo dicono gli esperti e lo posso dire io per esperienza diretta. 

Però il tema della lingua non è il solo fatto che mi ha reso indipendentista. Sono un’amante degli animali e non posso sentirmi parte di un Paese dove ci siano torture come le “corridas”. Quelli che dicono che queste cose fanno parte della storia e della cultura, io sempre gli rispondo: in Italia, perché non si è continuato con le lotte tra i gladiatori o tra uomini e leoni e tigri? Non è storia e cultura, anche questo? Credo che, per fortuna, i paesi evolvono, o almeno dovrebbero evolvere! 

Per finire, credo sia chiaro che ho deciso di dare una mano per tradurre articoli dal Catalano all’Italiano per Help Catalonia perché voglio che nel mio Paese di origine si sappia quanto sta succedendo qui. 

Perché per me è così importante la Catalogna? Perché voglio fare tutto quanto è nelle mie possibilità perché la Catalogna sia lo Stato indipendente e democratico come si sta reclamando, perché per me la Catalogna è molto di più che il mio paese di accoglienza, mi sento a CASA MIA e voglio lottare perché, per me, ha tutto il diritto, come minimo, di poter tornare ad essere lo Stato che è stato. Nella mia testa non posso capire perché non ci vogliono lasciare decidere. Questa è democrazia? Non chiediamo nient’altro che ci lascino LIBERI, siamo già abbastanza maturi per potercela sbrigare da soli. 

Per me, la Catalogna è un Paese meraviglioso, non solamente per le sue montagne o il suo mare, ma perché ci sono anche Persone eccezionali. Per esempio, sono stata operata di un tumore alla pelle all’ospedale di Bellvitge (Barcellona) e vi assicuro che ho trovato persone e professionisti fantastici con i quali non mi sono mai sentita un numero, e questo non ha prezzo e lo aprezzeró per tutta la mia vita. 




Catalogna ti amo!!! Viva la Catalogna libera!!!


Rita Bocca











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martedì 15 aprile 2014

Il Partito Verde Europeuo annuncia il suo supporto al referendum


Il Partito Verde Europeo ha espresso il suo supporto perqué si celebri il referendum in Catalogna. Questo lunedì mattina, Ska Keller, la candidata dei Verdi alla presidenza della Commissione Europea, si è compromessa,  nel caso risulti eletta, a dare supporto in ambito europeo al referendum sulla indipendenza della Catalogna, previsto per il prossimo 9  novembre, e ha fatto appello al dialogo.
"Voglio assumere oggi il mio compromesso personale che, se sono eletta presidente della Commissione Europea, difenderò che la Catalogna possa decidire il suo futuro politico e la sua relazione con la Spagna mediante un referendum", ha detto la politica tedesca.
Ska, che è stata a Barcelona all'inizio dell'anno per visitare il Centro d'Internamento di Immigranti, ha fatto l'annuncio in una conferenza stampa a fianco di  Joan Herrera e Dolors Camats, liders del partito Iniziativa dei Verdi di Catalogna (ICV), di Ernest Urtasun, capolista di questa formazione alle europee del 25 maggio, e dell'eurodiputato Raül Romeva.
Alla domanda sul rifiuto di Mariano Rajoy a permettere il referendum sulla indipendenza, Keller ha risposto che il governo spagnolo  dovrebbe iniziare un processo di dialogo per poter fare il referendum, e ha precisato che se eletta presidente della Comissione Europea farà appello a questo dialogo.
Ernest Urtasun, d'altro canto, ha dato un "grande valore" al compromesso di Keller di dare supporto al referendum sulla indipendenza se eletta presidente della Commissione Europea perquè, ha spiegato, bisogna cercare alleati in Europa per difendere il diritto all'autodeterminazione dei Catalani. "Che una famiglia politica europea importante come i Verdi si comprometti (a difendere il referendum) è fondamentale. Abbiamo fatto un passo avanti a favore del diritto di decidere", ha aggiunto il candidato d'ICV alle europee.
È stato il primo partito d'ambito europeo che si è pronunciato a favore del referendum. Iniciativa considera questo gesto, o quello di Esquerra Unida anch'esso a favore del referendum, più importante che non il condividere un punto comune del programma elettorale con il partito catalano di centrodestra Convergencia i Unió (CiU). 



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lunedì 14 aprile 2014

Vi darò la mano.....


E’ molto interessante, da un punto di vista psicologico –anche se prevedibile, trattandosi di un popolo sottomesso da tre secoli– la reazione che hanno avuto molti catalani davanti al rifiuto dell’imprenditore Àlex Fenoll a stringere la mano di Filippo di Borbone, principe ereditario della corona spagnola (durante la visita di quest’ultimo alla Fiera di Barcellona Mobile World Congress). 

E’ interessante perchè indica con quanta forza è radicata la convinzione che il sottomesso vive meglio dell’insubordinato. Il sottomesso si accomoda facilmente nella condizione da inferiore che il padrone le assegna e, per non contrariarlo, evita sempre di adottare degli atteggiamenti impropri della sua condizione. Il padrone lo può sfruttare, sgridare, dileggiare, angariare, insultare, umiliare... Non importa, il sottomesso ha ben chiaro qual’è il suo ruolo e subisce i colpi con la rassegnazione di un individuo modello. E’ il sottomesso modello; il sottomesso che ride a tutte le battute del padrone, che fa la riverenza quando questi si degna di farle visita e che sorride contento quando li stringe la mano mentre qualcuno scatta una fotografia. 

L’insubordinato, ovviamente, non fa niente di tutto questo. Non le piace essere sfruttato, sgridato, dileggiato, angariato, insultato ed umiliato, sorride soltanto alle persone che lo rispettano e non ammette che il padrone lo usi per farsi fare delle fotografie che mascherano la realtà; fotografie che dicano al mondo quanto sono contenti i sottomessi di averlo come padrone.

---¿Perchè non mi dai la mano? –chiede Filippo di Borbone ad Àlex Fenoll, quando lo vede stoico e silenzioso.

---Perchè non ci riconoscete il diritto di votare –risponde Fenoll.

---A allora non salutarmi –dice il Borbone, visibilmente turbato.

---Vi darò la mano quando ci lascerete fare la consultazione.

Superato lo stupore, il principe riflette, si avvicina nuovamente e dice:

---Per educazione dovresti darmi la mano. 

---Per educazione dovreste lasciarci votare –replica Fenoll-; per educazione dovreste difendere le nostre garanzie democratiche.

---Dovresti darmi la mano comunque –insiste il Borbone, in catalano. E subito, attendendo il ringraziamento per aver cambiato lingua, aggiunge-: Adesso me la darai, vero, amigo?

---Non siamo amici. Vi darò la mano quando ci lascerete votare.

---Non dipende da me.

---Certo che sì!.


Questo è stato il breve dialogo tra l’erede della corona spagnola e l’imprenditore Àlex Fenoll. Dopo, quest’ultimo ha stretto la mano di altre persone al seguito, tra le quali quella del presidente Mas, del consigliere catalano per l’Industria, Felip Puig, e del sindaco di Barcellona, Xavier Trias, capendo che alcune strette, accompagnate da occhiate d’intesa, sono state più forti del solito. Incluso l’abbraccio di una persona responsabile del protocollo. Lo stesso Fenoll ha spiegato che alcuni imprenditori si sono dileguati per non dover salutare il principe, ma lui considerava che mantenersi fermi in un momento come quello era un atto di autostima catalana e di coerenza con sè stesso. “Siamo in un momento in cui abbiamo bruciato le navi e dobbiamo farglielo capire, dobbiamo dirglielo in faccia. Devono saperlo: se non rispettano le nostre garanzie democratiche, non siamo amici loro.”



Sono parole dette dalla dignità, e anche dalla libertà propria di qualcuno che non è subordinato alle servitù della politica. Voglio dire con questo che una cosa è l’atteggiamento amabile e protocollare del presidente Mas o di un consigliere in qualità di ospitante, comportamente del tutto comprensibile, ed un’altra è quello di un cittadino qualsiasi che, inoltre, non partecipa al Mobile World Congress per vedere un principe. Cioè, è quest’ultimo che si presenta all’improvviso ed impone la sua presenza. E dico ‘impone’ perchè non si limita a fare una visita allo stand, ma ordina agli imprenditori che sfilino davanti a lui e facciano la riverenza con un gesto che possa servire da promozione per la casa reale spagnola. E, guarda caso, davanti ad un imprenditore insubordinato, il principe PRETENDE la stretta di mano: “Dovresti stringermi la mano lo stesso”. In realtà sta dicendo: “Io sono il tuo principe, il tuo superiore e, ti piaccia o no, devi stringermi la mano”. 

Di fronte a questa arroganza, è ovvio che il Sig. Fenoll ancora si sia sentito più legittimato a non stringere la mano. Sapeva che se l’incidente fosse capitato un bel pò di anni addietro, gli antenati di questo Borbone lo avrebbero frustato per abbassarle la cresta. Oggi, però, il principe non ha avuto altra scelta che mandare giù il rospo.

Qualcuno dirà che la cortesia non esclude il coraggio e che un cittadino può stringere la mano del Borbone senza rinnegare le proprie idee. Ma questa è una tesi truffaldina. E’ la giustificazione del cittadino che non ha il coraggio di dire al principe cosa pensa di lui. Si potrebbero fare delle liste infinite con le sottomissioni che si fanno in nome del buon senso, della prudenza, della cortesia e dell’educazione. Il problema è che il buon senso, la prudenza, la cortesia e l’educazione sono soltando dal basso verso l’alto, dal sottomesso al padrone e mai dall’alto verso il basso, dal padrone al sottomesso. Per questo, mentre si considera una mancanza di rispetto non stringere la mano del principe, non viene percepita la violenza istituzionale che suppone la negazione del diritto a decidere del popolo catalano. E ancora si trattasse solo di questo! La corona spagnola, fedele alla tradizione anichilitrice borbonica, arriva perfino al punto di benedire la negazione dell’identità nazionale della Catalogna. E dunque, no. Decisamente, non possiamo riverire qualcuno che dice che tu non sei tu, che sei soltanto una sua proprietà.

Questo incidente è molto simile a quello protagonizzato, cinque anni fa, dal giocatore irlandese di rugby Ronan O’Gara e la regina d’Inghilterra. In quell’occasione, O’Gara, una star della selezione irlandese, campione del Torneo delle Sei Nazioni, mantenne le mani in tasca davanti alla regina. L’evento ebbe luogo in Belfast, Irlanda del Nord, e O’Gara spiegò che era stato leale alla tradizione degli uomini di Cork, iniziata nel 1920, dopo l’ordine britannico di sparare a qualsiasi uomo che tenesse le mani in tasca nel passare davanti al Castello di Macroom. Era il modo britannico di dire a quel territorio che non sarebbero ammessi dei gesti che questionassero la loro autorità. Come sappiamo, l’Irlanda del Nord è ancora oggi sotto dominio britannico e O’Gara pensò che si trattava di una questione di principio non riverire la massima rappresentante di quell’autorità.

Trecento anni fa, la nazione catalana fu massacrata dalle truppe borboniche ed è molto comprensibile che ci siano dei catalani che non sono disposti a ridere le battute di nessun Borbone che non chieda perdono e che si rifiuti di derogare il Decreto di Nuova Planta che ne scaturì. Come dicevamo all’inizio, non sono mancati i catalani sottomessi che sono andati in soccorso del principe dicendo che il referendum catalano non dipende da lui. Formalmente, certo che no. Ma concettualmente, si. L’erede della corona spagnola rappresenta la Spagna, uno Stato che nega la personalità giuridica della Catalogna, e se lui personalmente non condivide questa oppressione la prima cosa che deve fare è dirlo. Si sa che chi tace acconsente. Ci mancherebbe che oltre a mantenere una casa reale restaurata da un dittatore e nemica dei nostri diritti nazionali, dovessimo riverirla.

Su questa questione, il notaio Juan José López Burniol ha detto che una cosa è considerare il principe un avversario ed un’altra un nemico. Stringerli la mano significa accettare le regole del gioco e trattarlo come avversario. Rifiutare la stretta, invece, significa trattarlo da nemico. Per Burniol, quindi, Àlex Fenoll “si è comportato come un nemico”. Devo dire che il gioco di parole del notaio per squalificare l’imprenditore mi sembra l’artificio di qualcuno che cerca di mascherare di buon senso la propria ideologia nazionale spagnola. Di quale gioco e di quali regole si sta parlando? Si direbbe, ascoltando il Sig. López Burniol, che il conflitto tra la Catalogna e la Spagna è un conflitto tra pari, tra due stati che giocano una partita e che accettano le regole vigenti tutelate da un arbitro imparziale. Ma non è così. La partita alla quale si riferisce il Sig. Notaio è manipolata fin dall’inizio e non è tra pari. E’ una partita tra un dominatore ed un dominato, con delle regole fatte dal primo e con un arbitro che non è altro che lui stesso.

Diciamo, infine, che uno dei tratti idiosincratici del sottomesso è che non ne ha abbastanza con il comportarsi secondo le proprie idee, ma ha bisogno che tutti agiscano come lui. Mentre Àlex Fenoll non ha criticato quelli che hanno preferito stringere la mano del principe spagnolo, intendendo il gesto come una decisione libera e personale, i catalani sottomessi, mediante articoli o dibattiti mediatici, si sono affrettati ad incolparlo o a disdegnarlo e non vogliono tollerare che abbia preso una decisione libera e personale.

Hanno reagito con la logica di quelli che hanno la coda di paglia. Tuttavia, diciamolo chiaro, l’irriguardoso non è stato Àlex Fenoll ma Filippo di Borbone, che non ha ammesso che la riverenza è un atto volontario e non obbligatorio ed ha osato rinfacciare al Sig. Fenoll che non lo abbia fatto.

Per fortuna siamo nel XXI secolo, e adesso sono i cittadini quelli che fanno abbassare la cresta ai principi. Senza parole, il cittadino insubordinato ha fatto capire al suo interlocutore che non è Filippo di Borbone chi porta il piatto in tavola ad Àlex Fenoll, ma è Àlex Fenoll che lo porta a Filippo di Borbone. Grazie, Àlex. Tra la sottomissione e la dignità, tu hai scelto la dignità.


@valex_cat

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