mercoledì 31 luglio 2013

“Il Barça può giocare dove vuole”





Intervista a Jordi González, membro di “Barcellonisti per la indipendenza” e socio del F.C.Barcelona. E’ stato relatore alla conferenza “Il Barça nella Catalogna indipendente”.

Dove potrebbe giocare il Barça se la Catalogna diventasse uno Stato indipendente?


Penso che potrebbe giocare dovunque volesse, la Catalogna dovrebbe avere un suo campionato, perché così dicono le federazioni, quindi dovremmo creare una struttura sportiva di stato. Ma il Barcellona come entità privata, teoricamente, può giocare dove vuole.


Per esempio…


Per esempio, il Barça può chiedere alla Lega inglese di giocare. A questo punto, la lega inglese dovrebbe valutarlo, ma come entità possiamo farlo. Infatti, potremmo farlo anche oggi. L’importante è che i soci sappiano quello che vogliono, dobbiamo decidere noi dove vogliamo giocare. L’obiettivo finale è quello di poter decidere, e io sono sicuro che decideremo.


Potrebbe essere meno interessante per tutti gli appassionati di calcio che il Barcellona smetta di giocare nella Lega spagnola…

Penso che la Lega Catalana alla fine potrebbe equilibrarsi, ma la Lega Scozzese è soltanto una squadra, il Celtic di Glasgow.



Ma questo potrebbe avere effetti sull’economia del club…


Evidentemente, soltanto giocando la lega catalana non si potrebbero pagare i giocatori, né lo stadio. Ma certamente quello che da i soldi è la Champions League, e il Barcellona dovrebbe giocarla. Ci saranno di situazioni causa-effetto, ma si potranno dominare. Dobbiamo capire che lo sport è una questione di stato, e quindi si dovrà risolvere.


Come potrà partecipare il Barça alla Champions, una volta che la Catalogna sia indipendente?


Per poter partecipare alla Champions, c’è bisogno di avere una Federazione o di appartenere a una federazione, come succede nel caso di Monaco. A Monaco non c’è una federazione, ma la squadra gioca nella lega francese quindi appartiene alla federazione francese, e se vince il campionato può giocare la Champions comè è successo già diverse volte. E Monaco è un paese indipendente! Quindi abbiamo già un esempio.


Un’altra opzione è quella di creare una federazione, come nel caso di Andorra. Andorra ha il suo campionato, e la squadra che vince può rappresentare il paese nella Champions. C’è un club che si chiama Futbol Club Andorra che gioca nella lega catalana, che se avesse un livello più alto potrebbe giocare la Coppa del Re.


C’è anche una squadra catalana della Vall d’Aran che gioca nella lega francese, invece di farlo nella spagnola o nella catalana, perché in inverno è più facile per loro andare a giocare in Francia. Quindi di situazioni speciali ce ne sono tante.







Pensi che la federazione spagnola potrebbe lasciare andare il Barcellona dal campionato spagnolo?


Non lo so, tutto dipende da quello che sarebbe più positivo per loro. Noi lo sappiamo. Il Barcellona non smetterà di essere quello che è. Sarà il club più rappresentativo della Catalogna, e con la previsione che a mezzo-lungo termine si faccia una lega Europea, come si fa con la NBA americana oppure la National Hockey League, l’ FCBarcelona sarà dentro questa lega, ed appartenere a questa lega significa essere uno dei grandi.


Se la federazione spagnola lascia andare il Barça, potrebbe esserci un boicottaggio da parte di qualche settore spagnolo per non lasciare entrare il Barcellona in altre competizioni europee?


Adesso si è creata la federazione di Gibilterra e la Spagna ha detto che non giocherà mai contro la Nazionale di Gibilterra, ma io vi dico un caso ipotetico: finale della Coppa del Mondo tra Gibilterra e Spagna. La Spagna non giocherebbe la finale? È un caso ipotetico ma può accadere! Un altro caso, la Spagna non riconosce ufficialmente il Kosovo, ma se devono giocare contro di loro, non ci andranno? È una questione di Stato, una questione di Paese, una questione di soldi e una questione di sostenitori.


Intervista: Txell Parera

Inglese



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lunedì 29 luglio 2013

Rajoy: oltre a non lasciar votare, è accusato di ricevere bustarelle





Dopo settimane piene d’informazioni che possibilmente vincolano al Partido Popular (PP) e a vari dei suoi massimi dirigenti, inclusi Mariano Rajoy e Maria Dolores de Cospedal, con una trama di finanziamento illegale, e lo stesso giorno in cui Luis Bárcenas, ex gerente ed ex tesoriere del PP affermava che esisteva un sistema di bustarelle e di pagamenti in nero nel partito, il presidente del governo Mariano Rajoy continua con la sua strategia di evitare far fronte ai problemi, senza dare risposte e lasciando passare il tempo.

Il presidente del Governo non solo non ha accettato la petizione di comparire pubblicamente sollecitata dall’opposizione e da gran parte dei cittadini, sino che si è limitato a negare tutte le evidenze approfittando di una domanda durante una conferenza stampa con il primo ministro polacco.

L’attitudine da evasore e la poca attenzione alle richieste dei cittadini non sono comunque una novità. Da mesi, addirittura prima delle elezioni autonome del 25 novembre del 2012, milioni di cittadini catalani chiedono poter celebrare un referendum per decidere il futuro della Catalogna come nuovo stato. Le risposte ricevute da Madrid sono semplicemente negative e brillano per l’assenza di contenuti, oltre ad avere come obiettivo disprezzare la volontà del popolo catalano tramite minacce, umiliazioni e addirittura bugie.

Il Capo del Governo spagnolo cerca di prendere tempo ignorando i problemi e le petizioni del popolo che a lui non convengono. Un’attitudine inutile e controproducente in quanto l’indipendentismo catalano continua a crescere ed è ogni volta più solido. Ciò che si sta riducendo è la ormai quasi inesistente possibilità di evitare un conflitto politico fra Catalogna e la Spagna.

@IndepCast

Spagnolo

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Montblanc trascina il resto della Catalogna verso l’indipendenza


Questa settimana continua ad essere infarcita dalle pillole informative di Luis Bárcenas. E in Catalogna il Caso Palau e le dichiarazioni dei presidenti [ladri] delle casse di risparmio (Serra, Todó...), hanno centrato la nostra attenzione in attesa della famosa lettera del nostro Presidente a Rajoy.

Ma la notizia veramente rilevante del giorno è accaduta a Montblanc: il comune di Montblanc, guidato dal deputato repubblicano Josep Andreu, ha formato un governo di coalizione indipendentista con i 13 consiglieri del consiglio. Incluso quello del PSC (partito restio). Una situazione insolita che si pretende di allungare fino al 2015 oppure fino alla proclamazione dell’indipendenza.

Prendete nota: in Catalogna ci sono 947 municipi. 669 di questi hanno aderito all’Associazione di Municipi per l’Indipendenza insieme a 28 consigli comarcali, 2 diputazioni, 1 consorzio e 5 EMD. D’altra parte, 197 municipi si sono dichiarati "Territorio catalano libero" (insieme a 5 consigli comarcali). E ancora più cifre: 36 municipi hanno fatto un passo più in là ed hanno esercitato la sovranità fiscale. Altri 152 comuni, ne hanno approvato la mozione previa e sperano di esercitarla anche loro.

Con più di mezzo paese già indipendizzato, chi non crede che la sequenza logica sia che questo movimento riesca a trascinare il resto del territorio?

Vi dirò chi vuole non farcelo credere: il Grupo Godó (La Vanguardia), che si sta sforzando di porre il veto alla giornalista Mònica Terribas per presentare “el Matí di Catalunya Ràdio” della prossima stagione, la lobby del Puente Aéreo (tutti quelli che hanno interessi economici a Madrid), la UDC, e altri outsider come Pere Navarro.

Ma non vi preoccupate. Se sono solo questi, vinceremo.



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sabato 27 luglio 2013

Mandate qualche carro armato, per cortesia



Adesso non si sentono più tanto sicuri. Stanno cominciando a dubitare della loro strategia. Il quotidiano El Pais faceva un appello in un editoriale dello scorso 14 a dialogare e trattare con la Catalogna. E’ un atteggiamento inedito, perchè finora si era limitato a fare come La Razón o El Mundo: minacce, costituzione, minacce, costituzione... Il 'quotidiano globale in spagnolo', faro del progressismo in occidente, si corregge dopo aver visto come alcuni teorici dello spagnolismo avvertivano dalle pagine dello stesso quotidiano che il “diritto a votare” è una “tesi imbattibile' e che la Catalogna può andarsene dalla Spagna senza violare la costituzione (Javier Pérez Royo, 'Referéndum permanente'). Il Concerto per la Libertà ha fatto vedere loro che quel 'disordine' dell’Undici di Settembre non era un 'soufflé' e cominciano a tremare le loro gambe.

Il cambiamento di percezione lo ha insinuato il PP catalano quando fece la prova dello scherzetto propagandistico del 'diritto di sapere'. Non era la cantilena della paura abituale, tentavano di argomentare. Il problema è che proclamarono un paio di affermazioni talmente ridicole che l’economista Sala i Martín li mandò all’angolo degli ignoranti. Twitter fu ancora più crudele i non hanno più tentato di argomentare una terza volta.

Il governo spagnolo ed il PP hanno basato la politica catalana sullo sfogo maleducato e le falsità e, dopo un anno, si accorgono che non hanno fatto altro che aggiungere benzina al processo. E facendo brutta figura: i titoli accademici non saranno riconosciuti, vi espelleranno dall’Europa, non potrete pagare le pensioni, perderete gli aiuti all’agricoltura dell’UE, avrete una disoccupazione del 30%, il valenziano viene dall’ibero, LAPAO 'maravillao'...

La strategia della paura è stata, in realtà, una faccia amabile. Sotto sotto circolavano le fogne. Il punto primo del loro piano era Artur Mas. Erano convinti che facendolo cadere il pocesso si sarebbe liquefatto. Cominciarono con una mini-cospirazione tra il direttore di El Mundo ed il ministro dell’Interno pubblicando una 'soap opera'. Ripescarono tutti i dossier degli ultimi anni e ci misero tutta l’immaginazione possibile, e soltanto fecero cadere Oriol Pujol. Finalmente, tutto è schizzato contro loro stessi. Le schermaglie dei rapporti e le spie hanno pugnalato alla schiena la presidentessa del PP in Catalogna, che si è scoperto era intima amica ed istigatrice dell’accusatrice di Jordi Pujol Ferrusola.

L'indomani delle elezioni catalane, la caverna intera –anche quella di Barcellona– dichiarava defunto Artur Mas ed il movimento indipendentista. Ma qualche mese e qualche sondaggio più tardi il 'rigor mortis' si è impossessato degli unionisti: Alicia Sánchez-Camacho, Josep Antoni Duran, Pere Navarro sono più che colpiti. Anche quelli che non remavano nella direzione giusta quando era necessario: Carod-Rovira, Joan Puigcercós, Lluís Recoder... E risulta che i politici meglio rivalutati sono quelli 'radicali' (Junqueras, Fernàndez i Mas), e gli altri sono stati letteralmente sepolti dalla demoscopia.

La strategia spagnola fu delineata da Aznar: 'Se vogliono rompere la Spagna bisognerà rompere la Catalogna.' L’idea consisteva nel far alzare l’hinterland di Barcellona (notoriamente operaria e migrante) con la bandiera 'rojigualda'. Alcune sindachesse del PSC ci hanno provato, ma si sono trovate in una posizione poco elegante votando insieme a Plataforma per Catalunya (estrema destra) contro un diritto democratico, e non hanno più insistito. Le hanno provate tutte: la legge Wert per dividere i catalani tra loro, manipolare il voto all’estero, diffamare la Generalitat in ogni ambasciata del mondo, strozzare (economicamente) il consigliere catalano di economia Mas-Colell...

La grande messa in scena fu la manifestazione del Giorno della “Hispanidad”: 6.000 persone in piazza Catalogna di Barcellona. Volevano farne un’altra il Giorno della Costituzione e non se la sentirono più. Il confronto con il milione e mezzo dell’altra risulta troppo doloroso e preferiscono non fare conti.

Il punto culminante della strategia che hanno seguito –e la loro ultima risorsa– è la salmodia dei carri armati. Alcuni 'hidalgos' senza responsabilità di governo hanno difeso l’intervento della guardia civile o dell’esercito, il commissariamento dell’autonomia o l’inabilitazione del presidente della Generalitat. Ma, ricorrendo a questo linguaggio da caserma, non hanno le palle. Si capisce che perfino in una democrazia debole come quella spagnola, per dare vita ad un intervento bisogna avere un fondamento giuridico e parlamentare. Secondo la costituzione, è l’esecutivo chi mobilita le truppe. I militari non possono prendere la decisione da soli. E’ lecito pensare che ci sarebbe un dibattito parlamentare. E Rubalcaba, Chacón... addirittura Rosa Díez, voterebbero per sparare contro i catalani? Lo farebbe Rajoy? Che noi sappiamo, nè il Parlament (catalano) nè il consiglio esecutivo hanno mai violato i precetti costituzionali e nemmeno si sognano di farlo. Fare un referendum non va contro nessuna legge; di fatto, Jordi Hereu ne fece uno. E lo può organizzare l’AMI (l’associazione di municipi indipendenti). Inabiliteranno centinaia di sindaci? Adesso si sono costruiti un Tribunale Costituzionale su misura. E che ce ne importa?

E’ fattibile la proposta di Vidal-Quadras (vicepresidente della Commissione Europea) di una squadra della guardia civile occupando la Generalitat?. La domanda è: cosa farebbe il giorno dopo? Sospendere le libertà pubbliche 'ad aeternum'? Quanto tempo resisterebbe in borsa un’occupazione poliziesca? Dovrebbero vietare i diritti elettorali dei catalani, perchè ovviamente alle elezioni successive i partidari dell’indipendenza non sarebbero più 54% contro 23 %. Tutto questo è quello che a Madrid stanno valutando adesso quando vedono che il piano A sta fallendo. E sentono scendere sudore freddo.

Fuori non hanno molti amici, come si evidenziò con lo esproprio della Repsol YPF in Argentina. L’UE attraversa il peggior momento della sua storia. Finanziariamente, accumulano un fallimento dopo l’altro –in buona parte per colpa della Spagna– e se mancasse la colonna più essenziale, la convivenza ed i diritti umani, cosa resterebbe? L’Europa entrerebbe in una spirale irrecuperabile. E qui arriva l’avviso di David Cameron a Rajoy, che la volontà d’indipendenza dei popoli deve essere rispettata. Conoscendo gli spagnoli non possono permettere un’attuazione antidemocratica contro sette milioni e mezzo di cittadini europei. Un Kosovo nel meridiano di Greenwich? Bruxelles vigila perche sanno che questa gentaglia è capace non solo di affondare se stessa, come stanno dimostrando, ma di far affondare l’Unione intera.

Ogni generazione di catalani si è ribellata in un modo o nell’altro contro la Spagna e, tradizionalmente, lo avevano soluzionato bombardando Barcellona. Sono confusi perchè per la prima volta nella storia vedono che non possono fare niente contro un popolo unito, allegro e combattivo, per dirla alla valenziana. Se smettono di barare al solitario –e di credere ai racconti dei quotidiani di José Manuel Lara e di Pedro José Ramírez– si renderanno conto che questo è un movimento popolare che arriva dalla notte dei tempi e che sta trascinando i politici, e non viceversa. Se solo un 10% di quelli che si mobilitarono l’Undici Settembre scorso o durante le consultazioni popolari, scendesse ancora in piazza...

Di fatto, sarebbe fantastico che mandassero qualche carretto armato o che rompessero qualche urna. Sarebbe una gioia vedere bambini catalani posando garofani nella bocca dei cannoni, o delle nonnine mostrando la scheda del SI davanti alle camere della CNN. Sarebbe la spallata definitiva per la nostra lotta. Già che ci siamo, chiediamo che lo mandino verso l’autunno, perchè l'agenda degli 'happenings' sovranisti è un pò vuota tra l’Undici di Settembre e San Giorgio. La primavera e l'estate sono già pieni con concerti musicali ed eventi all’aria aperta.

Hanno bruciato la polvere da sparo della guerra sporca ed a Madrid si trovano, in questo momento, con qualche problemino interno. Il Concerto per la Libertà ha mostrato loro che qui c’è ancora molta energia e iniziano ad avere le vertigini. Con la catena umana di settembre avranno una congestione digestiva.

Eugeni Casanova

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venerdì 26 luglio 2013

La letteratura catalana sará invitata alla piú importante fiera litteraria dei paesi nordici

La letteratura catalana é fortunata, sará invitata all'edizione del 2014 della Fiera di Göteborg, la mostra letteraria piú importante dei paesi nordici. La stessa settimana che inizia la Fiera del Libro a Parigi, alla quale Barcellona é l'invitata d'onore, la letteratura ha giá un nuovo appuntamento sul calendario.
Sotto l'ombrello di Voices from Catalonia, otto scrittori della lingua catalana tradotti allo svedese o altre lingue nordiche parteciperanno alla Fiera di Göteborg. Con lo sguardo verso al 2015, l'Istituto Ramon Llull stá lavorando perché la letteratura con illustrazioni infantili e giovanili sia l'invitata di onore alla Fiera del Libro infantile e Giovanile di Bologna.
Il vice direttore dell'Istituto Ramon Llull (IRL), Àlex Susanna, ha annunciato che stanno lavorando per raggiungere un'invito annuale a qualcuna delle grandi fiere Letterarie, per ottenere una visualizzazione efficace del patrimonio letterario passato e presente della Catalogna, che possiede un grande potenziale.
Il 2012, la letteratura catalana fu l'invitata di onore nel Salone del Libro del Quebec, il 2013 a Parigi, e posteriormente, sará a Göteborg.
Con l'obbiettivo di preparare l'appuntamento, il prossimo giugno otto editori e traduttori svedesi visiteranno Barcellona per prendere contatto con editoriali, agenti, autori e critici letterari per fare una immersione nella letteratura catalana e fare le loro scommesse con lo sguardo sul 2014. In questa occasione, sará soltanto per scrittori in lingua catalana. Per Susanna é essenziale che gli autori catalani siano conosciuti nei paesi nordici, soprattutto in Svezia.

 

 

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giovedì 25 luglio 2013

La strategia vincente del referendum unilaterale sull’indipendenza

Penso che, per la maggior parte della gente che segue più o meno la politica catalana, sia molto chiaro che in nessun caso ci sarà un accordo tra il governo catalano e quello spagnolo per la convocazione di un referendum sull’indipendenza della Catalogna. Il patto per la libertà tra CiU e ERC raccoglieva questo tentativo impossibile e, in fondo, non era così mal progettato, se si fossero rispettati i tempi e le procedure dettagliati in quel patto. Cioè, facendo uso della legge sui referendum approvata dal Parlamento (catalano) nel 2010 che obbligava ad un accordo parlamentare di convocazione del referendum che includesse la domanda –la definizione della domanda è uno dei passi chiave del processo d’indipendenza- e posteriormente fare una petizione formae al governo spagnolo. Tutto quanto entro il primo semestre del 2013 che, personalmente, mi sembra un periodo più che sufficiente per realizzare il dibattito parlamentare su quale deve essere la domanda più adeguata. Sfortunatamente, non si è fatto nulla. Semplicemente arrivati alla data limite e non avendo iniziato la procedura parlamentare per fare la petizione, nè avendo dibattuto sulla domanda, hanno preferito inviare una lettera al governo spagnolo che non ci farà fare altri passi in avanti oltre alla costatazione di qualcosa che già sapevamo, che lo Stato spagnolo non tratterà mai per un referendum d’indipendenza, per quanto possa essere molto democratico.
 
Conoscendo dunque l’impossibilità di un accordo con lo Stato per la convocatoria del referendum, se veramente vogliamo raggiungere la liberazione nazionale, bisogna studiare una "road map" che prenda un’altra strada. In generale, inizia a riscontrarsi consenso sul fatto che bisognerà convocare il referendum al di fuori della legalità spagnola. Una prima opzione, che è sopra il tavolo da tempo, è l'approvazione della legge per le consultazioni popolari per via non referendaria. Malgrado questa legge abbia iniziato la sua tramitazione durante la passata legislatura, in questo momento, e dopo più di 6 mesi di nuova legislatura, ancora non abbiamo una data per la sua approvazione finale. In ogni caso, penso che questa legge non sarà lo strumento che ci porterà alla convocatoria di una consultazione per l’indipendenza. La prima ragione è semplice, la legge così com’è redatta attualmente, incornicia l’oggetto della domanda delle consultazioni dentro le competenze della Generalitat. E’ evidente che non rientra nelle competenze della Generalitat chiedere se la Catalogna deve essere indipendente. Pertanto, questa legge potrebbe portare al massimo a una convocatoria per una consultazione con una domanda totalmente ambigua per poterla far rientrare nella legalità spagnola. Se vogliamo il riconoscimento internazionale del risultato, non possiamo prendere questa strada, quindi. La seconda ragione che mi fa credere che questa legge non porterà da nessuna parte è per il fatto che una volta approvata, e questo è anche molto evidente, il governo spagnolo ipso facto la impugnerà presso il Tribunale Costituzionale (TC) e questi la sospenderà senza dare l’opportunità al nostro Parlamento di convocare nessuna consultazione per mezzo di questa legge.
Quindi, dato che le due strade che attualmente abbiamo più o meno in corso, dal mio punto di vista non hanno molta possibilità di successo, è necessario pensare ad una nuova proposta con più garanzie. All’interno della legalità spagnola, tenendo presente la volontà politica che hanno i partiti maggioritari spagnoli sulla questione, è impossibile convocare un referendum o consultazione sull’indipendenza. Non c’è dubbio che quello che bisognerà fare è romperla. E qui entra la proposta di promuovere una legge di convocatoria di un referendum unilaterale, da parte del Parlamento della Catalogna, che incorpori la data e la domanda nel proprio enunziato. Avallata dalla Dichiarazione di Sovranità che già fu approvata, molto correttamente, lo scorso mese di gennaio, permetterebbe –sotto lo sguardo della comunità internazionale- di esercitare la democrazia che, posteriormente, non potrebbe essere ignorato da nessuno. Inutile dire, che il governo spagnolo, per nessun motivo riconoscerebbe questa legge. Non solo, ma farebbe tutto quello che sarebbe nelle sue mani per evitare che i catalani possano votare sull’indipendenza. La chiave di volta per il successo du questa azione sarebbe l’impegno del governo catalano e dei gruppi parlamentari che la sostenessero è quello di portare a termine la consultazione fino alle ultime conseguenze. Malgrado la possibile sospensione della legge, la minaccia di sospensione dell’autonomia, di cessazione del Presidente o, perfino, di portare la Guardia Civil a ritirare le urne da parte dello Stato spagnolo, tenendo presente il contesto attuale, questa è una strategia vincente. Possono succedere soltanto due cose. O si riesce a portare a termine il referendum ed il popolo catalano vota, come riflettono tutti i sondaggi e lo stesso risultato delle passate elezioni del 25 Novembre, per la liberazione del nostro paese e la consecuzione di uno Stato indipendente. Oppure otteniamo uno scontro politico tra la decisione democratica della Catalogna di permettere al popolo di votare e la decisione del governo spagnolo di evitarlo mediante gesti poco democratici come la sospensione dell’autonomia o addirittura il ritiro delle urne.
Ed è qui che bisognerebbe arrivare, per il culmine del processo d’indipendenza del nostro paese e poter ricevere il sostegno maggioritario della comunità internazionale. Uno scontro di leggitimità che dia visibilità al conflitto politico che stiamo subendo e che ci permetta di esercitare nel diritto internazionale una Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza che è già stata garantita dal Tribunale Internazionale dell’Aia.

  Arnau Padró

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martedì 23 luglio 2013

Un giudice della Costituzionale viola la Costituzione.

Incredibile ma vero, il presidente della Corte costituzionale spagnola, Francisco Pérez de los Cobos, ha pubblicamente ammesso di recente che aveva militato nelle file del PP quando era già magistrato del TC, concretamente tra il 2008 e il 2011. Ha prestato giuramento come giudice della Corte costituzionale il 29 dicembre 2010.

La legge spagnola vieta l'appartenenza politica dei giudici e dei magistrati. Legalmente si considera una causa di incompatibilità nell’esercizio della funzione il fatto di essere un membro attivo di un qualunque partito politico. Nel fatto specie si mette in pericolo l'imparzialità del giudice e la giustizia perde la sua essenza.

Ciò lo stabilisce tanto l'articolo 127 della Costituzione (la regola suprema dello Stato Spagnolo), l'articolo 395 della Legge organica del Potere Giudiziario e la 19 della legge della Corte Costituzionale: "Non potranno i giudici e i magistrati appartenere a partiti politici, mentre sono attivi. "Inoltre, lo stesso articolo 19 della LOTC dice che nel caso di incompatibilità, il magistrato avrà di  cessare nell'attività incompatibile e nel caso di non farlo entro 10 giorni si considererà che non accetta il carico di magistrato del riferito tribunale.

Come può essere quindi che un giudice del Tribunale Costituzionale (il supremo interprete della CE) sia militante attivo in un partito politico durante più di un anno e non lasci il suo incarico? E inoltre, che lo renda pubblico e che non si obblighi a dimettersi?




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lunedì 22 luglio 2013

Sanitas nega l’ingresso urgente di una paziente perché l’informe medico era in catalano





Dopo cinque ore hanno rimediato traducendo l’informe in spagnolo.

La mutua Sanitas ha negato la scorsa settimana l’ingresso all’ospedale ad una donna che pativa un’infezione ed aveva bisogno di attenzione urgente. Il motivo della negazione era che l’informe del medico era in lingua catalana. Secondo il programma “8 al Dia” di 8TV, l’episodio si è verificato all’Ospedale Quirón di Barcelona, dove alle 19.16 era stato ordinato il ricovero della paziente. Dopo quasi cinque ore d’attesa e del peggioramento dell’infezione, Sanitas allegava che negavano l’ingresso alla paziente per questioni linguistiche.

Finalmente, il medico responsabile ha dovuto bloccare il pronto soccorso, tradurre l’informe e sollecitare il ricovero in castigliano. Nel primo informe, in catalano, si usavano testualmente le seguenti parole: “sembla observar-se col·lecció preuterina en contacte amb histerorràfia”. Alle 23.50 si sollecitava il ricovero in spagnolo, con una pessima traduzione del diagnostico: “parece observar-se col·lección preuterina en contacto amb histerorrafia”.

Vilaweb

Inglese

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Come la Lituania e come l’URSS


La Spagna sta raggiungendo il collasso istituzionale. Il modo in cui il presidente spagnolo, Mariano Rajoy, affronta il caso Bárcenas, con il suo far finta di niente senza far fronte ai problemi, sta deteriorando in forma severa l’immagine dell’esecutivo.
Rajoy è vittima di una lotta interna al PP con Esperanza Aguirre e José María Aznar che vogliono smontarlo con l’aiuto di un quotidiano. La monarchia si trova anch’essa in un brutto momento, dopo il viaggio del re Juan Carlos a Botswana ed il pasticcio del caso Nóos. Ed il capo dell’opposizione, l'ex-filippista Alfredo Pérez Rubalcaba, lidera un PSOE in cattiva forma che non riesce ad agglutinare il malcontento sociale. La Spagna si trova alle porte di una crisi politica di grandi proporzioni, ed i suoi attori non fanno niente per evitarlo. Tutto quanto è un disastro. Si diceva, al momento delle indipendenze baltiche, che la Catalogna era come la Lituania ma che la Spagna non era come la URSS. E, certamente, allora era così. Ma adesso, nel 2013, non si può più dire che la Spagna non sia come la URSS collassata dalla quale si indipendizzarono la Lettonia, l’Estonia e la Lituania. Questo è il grande cambiamento di paradigma, e ogni giorno che passa è più evidente.
 
El Singular Digital
 

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domenica 21 luglio 2013

Diritto di sapere




L’altro giorno mi trovavo in un negozio di abbigliamento di Barcellona quando, di colpo, entrò un rapinatore incapucciato. Dopo aver puntato la commessa con un fucile, si portò via 100 euro in contante. Uscì di corsa con il bottino ma, invece di fuggire, si nascose, si tolse il cappuccio e tornò in negozio. Questa volta senza rapinare e senza minacciare nessuno, spese i 100 euro acquistando un paio di pantaloni. Pagò e se ne andò.

Poco dopo apparve la polizia, capitanata dal vice-ispettore Camacho. La commessa denunciò il furto di 100 euro. Ma il vice-ispettore l’accusò di esagerare visto che non aveva tenuto conto dei 100 euro che aveva incassato con la vendita dei pantaloni. Per convincere la commessa, il vice-ispettore mostrò un foglio di carta dove scrisse in caratteri cubitali: "l’incapucciato ci ruba?"

Di seguito, disegnò un grafico nel quale apparivano la commessa ed il rapinatore. Con una freccia rossa che partiva dalla commessa verso il rapinatore, apparivano i 100 euro che il ladro aveva rubato al mattino. E su una freccia verde in direzione contraria, appaarivano i 100 euro che erano tornati tramite la vendita. Sommando le due frecce, della stessa magnitudine ed opposte, il vice-ispettore concluse che non c’era stato nessun ladrocinio: i soldi della rapina erano stati compensati dai soldi della vendita!, diceva Camacho. Pertanto, la risposta implicita alla domanda "l’incapucciato ci ruba?" era NO.

La povera commessa non capiva niente e diceva:

"Senta, caro vice-ispettore, io questa mattina avevo 100 euro in contanti PIU’ un paio di pantaloni che costavano 100 euro. Cioè, avevo 200 euro. Dopo la rapina, io avevo soltanto i pantaloni e, pertanto, mi avevano rubato 100 euro. E adesso, dopo l’acquisto, sono tornati i 100 euro ma sono scomparsi i pantaloni che costavano 100 euro. Mi hanno rapinata e la somma di quanto hanno preso è esattamente 100 euro. Cioè,
la rapina è stata di 100 euro indipendentemente dall’acquisto dei pantaloni"!


Inutile dire che la donna aveva tutte le ragioni del mondo. Non c’è bisogno di essere un luminare per vedere che l’errore del
vice-ispettore Camacho è che non aveva tenuto conto del valore delle merci che si era portato via il rapinatore. Cioè, nel grafico non c’era il valore dei pantaloni con una freccia che partisse dalla commessa al rapinatore. Questo è un errore banale di contabilità nazionale... è lo stesso errore che commette il Partito Popolare nella sua nuova campagna "Il Diritto di Sapere". Una campagna che, secondo il PP, pretende smentire alcune delle affermazioni che si lanciano dal "nazionalismo catalano".

Xavier Sala i Martin è docente universitario di Economia alla Columbia University.
@Xsalaimartin

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sabato 20 luglio 2013

Barcelona ricorda i nomi delle famiglie espulse dagli spagnoli nel 1714



L’artista Frederic Perers ha fatto pendere dai balconi degli edifici adiacenti al Mercat del Born di Barcelona i cognomi delle famiglie espulse dalle forze d’occupazione spagnole nel 1714. Trecento anni fa gli eserciti spagnolo e francese irrompierono nella capitale catalana fra fuoco e sangue. Aveva resistito a uno degli assedi più lunghi della storia moderna d’Europa solo schierando forze civili. Una volta occupata la città, l’ 11 settembre del 1714, iniziò una feroce repressione. Oltre agli omicidi e le espropriazioni, furono espulse le famiglie che avevano guidato la resistenza catalana.
Fra le varie azioni repressive, nel 1714 furono fatte crollare mille case, eliminando un 17% della superficie che aveva Barcelona all’epoca. I proprietari furono obbligati a demolire i propri immobili, e circa cinquemila vicini furono espulsi. Buona parte della resistenza catalana si rifugiò in Austria.
L’omaggio, cha ha contato con l’aiuto volontario dei vicini, rimarrà esposto fino a dopo la prossima Diada (Giornata Nazionale della Catalogna), l’11 settembre 2013. I balconi delle case intorno al mercato saranno decorati fino ad allora con settanta teli che avranno stampato il cognome di queste famiglie, e creeranno insieme un grande mosaico verticale che occuperà diverse facciate. Separati unicamente dal tempo, Perers ha chiesto ai vicini del 2013 che si solidarizzassero simbolicamente con quelli che vissero la sconfitta del quartiere. Con un ricordo austero, sereno e silenzioso, senza slogan ne consegne. Il progetto richiedeva che i cittadini attuali ricordassero alla Ribera i cognomi delle famiglie espulse e li esponessero pubblicamente dai propri balconi.

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venerdì 19 luglio 2013

La precisione di Miguel Angel Gimeno




 

Il presidente del Tribunale Superiore di Giustizia della Catalogna (TSJC), Miguel Angel Gimeno, ha dichiarato nel programma 'Aquí parlem' della RTVE, che la Costituzione spagnola parla dell’unità della Spagna ma che questa unità "può essere interpretata". "L’argomento è prettamente politico, e l’aspetto giuridico in ogni caso arriverà dopo", ha aggiunto.


Le parole di Gimeno, che oltre a presiedere il TSJC è un riconosciuto giurista, dimostrano l'errore del governo spagnolo nel basare la propria strategia verso la Catalogna soltanto sulla chiusura di tutte le porte ad una consultazione, sulla lotta giuridica e sulla Costituzione come argomento chiuso. La logica è certamente l’opposto: prima bisogna cercare una soluzione politica, e dopo, questa si articola giuridicamente.


Vedremo cosa fa il presidente spagnolo, Mariano Rajoy, quando nella seconda metà di questo mese riceverà la petizione formale di convocazione di un referendum. Se continua ad ignorare il grido che arriva dalla Catalogna con l’atteggiamento di “tirare a campare” commetterà un errore di grandi conseguenze.


Il professore universitario Javier Pérez Royo ha già studiato che la crisi delle istituzioni politiche spagnole è un riflesso del grande movimento politico che si è prodotto in Catalogna con il processo sovranista. Rajoy farebbe meglio a prendere sul serio la petizione catalana.

El Singular Digital –Editoriale

 

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mercoledì 17 luglio 2013

L’ANC vuole che la catena umana dell’11S2013 sia la soglia dell’indipendenza

La Via Catalana percorrerà il litorale del Paese, passando per 86 municipi del Principato e superando i 400 kilometri.

L’Assemblea Nazionale Catalana (ANC) ha presentato questo mercoledì la Via Catalana verso l’indipendenza, la catena umana che percorrerà la Catalogna il prossimo Undici di Settembre. L’obiettivo politico della mobilizzazione è quello di accelerare la convocazione della consultazione ed internazionalizzare la volontà dei catalani, convertendo la catena umana nella soglia dell’indipendenza.

La presidentessa dell’ ANC, Carme Forcadell, ha spiegato che “la manifestazione della passata Diada (Giornata Nazionale della Catalogna) è stata perfetta” e che “quest’anno bisogna fare un passo in più”. “La Via Catalana è una sfida politica e logistica”, ha aggiunto. Forcadell ha sottolineato poi che la “Via Catalana rappresenta la unità del popolo catalano a favore della propria indipendenza” ed ha reclamato che i catalani possano “votare la indipendenza in una consultazione il prima possibile”.

Il percorso, che seguirà il litorale catalano ed andrà d’Alcanar a La Jonquera, permetterà anche al resto dei Països Catalans (Paesi Catalani) sommarsi al progetto simbolicamente, anche se fuori della comunità autonoma Catalana non sarà festivo. Il percorso della catena supererà i 400 kilometri e passerà per 86 municipi del Principato. La catena s’ispira nella via Baltica dell’anno 1989, che ha unito Vilnius con Tallin, passando per Riga, e che è stata l’anticipo dell’indipendenza dei Paesi Baltici.




Inglese


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martedì 16 luglio 2013

Gioco sporco


Degni rappresentanti della Federazione di Associazioni per la Lingua “Escola Valenciana” si sono riuniti ieri con il ministro della Pubblica Istruzione, Cultura e Sport (!). Invano.

Avevano presentato una richiesta giusta e concreta.

Siccome il ministero ha fatto un versamento per accantonare cinque milioni di euro annui per pagare la scuola privata ai genitori catalani che chiederanno la scolarizzazione dei loro figli in lingua castigliana, in cambio giustamente sperano in un gesto identico per i genitori valenziani che vogliono scolarizzare i propri figli in catalano. Cioè, un accantonamento simile ma che raggiunga i 100 milioni. O forse di più, in quanto la richiesta interessa più di 100.000 alunni.

Il ministro Wert li ha scaricato con molta gentilezza adducendo che “ciò che Loro chiedono è di competenza autonomica”. Esatto. Tanto competenza e tanto autonomica quanto la decisione di convertire il castigliano in una lingua veicolare della scuola in Catalogna.

O no? Oppure il castigliano è una questione di Stato, da preservare e difendere fino alla morte, mentre il catalano lo difend
a chi vuole semprechè lo faccia per scherzo?

Gioco eternamente sporco.



Vicent Sanchis
Avui

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lunedì 15 luglio 2013

Gli elettori premiano il sovranismo e puniscono il federalismo, secondo un nuovo sondaggio ufficiale







Il barometro del CEO (organismo pubblico catalano di sondaggi) pubblicato il 20 giugno scorso, conferma il sondaggio del quotidiano El Periódico della precedente settimana. Il blocco sovranista è sempre più maggioritario. All’interno di questo blocco, il barometro rivela una tendenza al rialzo dei partiti con un discorso più fermo in favore dell’indipendenza. Il federalismo è il chiaro perdente. La traduzione elettorale che rappresenta tutto questo sarebbe una scossa enorme, nella quale ERC supererebbe CiU e la CUP salirebbe tanto quanto scenderebbe il PSC.


Si consolida il blocco sovranista
I dati che offre il barometro sono questi: ERC (sinistra indipendentista) duplicherebbe quasi la propria rappresentazione in Parlamento, e passerebbe da 21 seggi a 38 o 39; CiU (il partito di centro sovranista attualmente al potere) avrebbe un crollo considerevole e, invece dei 50 seggi attuali ne otterrebbe tra 35 e 37; il PSC (I socialisti federalisti vincolati al PSOE) scenderebbe da 20 a 16; il PP (conservatori unionisti, al potere a Madrid), da 16 a 13 o 14; ICV (sinistra alternativa favorevole all’autodeterminazione) manterrebe tra 13 o 14 deputati; Ciutadans (partito unionista radicale) crescerebbe da 9 a 12; e la CUP (sinistra alternativa indipendentista) duplicherebbbe i seggi da 3 a 6.
Il blocco sovranista, dunque, guadagnerebbe peso, perchè con questo risultato la somma dei partiti chiaramente sovranisti (CiU, ERC e la CUP) raggiungerebbe tra 79 e 82 deputati (la maggioranza assoluta è di 68), alcuni di più rispetto a quelli attuali, che oggi sono 74. E il blocco sovranista supererebbe di gran lunga i due terzi della camera se aggiungessimo ICV-EUiA, i quali non si pronunciano in maniera definitiva sul si o sul no all’indipendenza ma, comunque, scommettono chiaramente per l’esercizio del diritto all’autodeterminazione.
 El sondaggio del CEO chiede anche ai cittadini sul voto se domani si svolgesse un referendum per decidere sull’indipendenza della Catalogna. E il risultato dice che I favorevoli all’indipendenza crescono rispetto al mese di febbraio scorso. Se, allora, il si raggiungeva un 54,7%, adesso sale ancora fino al 55,6%, quasi un punto in più rispetto a quattro mesi fa e 4,5 punti in più rispetto a un anno fa.


L’opzione federalista perde sempre più forza
Secondo il sondaggio, circa un 80% degli elettori considera che l’autogoverno della Catalogna è attualmente insufficiente. I socialisti sono i grandi difensori dell’approfondimento dell’autogoverno trasformando la Spagna in uno stato federale, un’opzione che loro presentano come più realista rispetto all’indipendenza. Alcuni dirigenti moderati di CiU, minoritari, come il democristiano Duran i Lleida, difendono anche una soluzione confederata. Ma, il barometro del CEO indica che da più di un anno, il federalismo ha sempre meno sostenitori in Catalogna, in beneficio dell'opzione per uno stato indipendente.
Se si potesse scegliere tra tutti I modelli di Stato, un 47% vuole che la Catalogna diventi uno stato indipendente; un 22,8%, una comunità autonoma della Spagna (situazione attuale); un 21,2%, uno stato federale e un 4,6%, una regione della Spagna (cioè, senza quasi autonomia).
Questo, forse, si collega al fatto che a Madrid non si avvistano molti partidari di una trasformazione della Spagna in uno Stato federale: il PP è chiaramente contrario, E scommette piuttosto per la ricentralizzazione (vedere il progetto per la “semplificazione dell’amministrazione” presentato il 21 giugno in Consiglio dei Ministri). I partiti di sinistra sembrano più aperti da poco tempo, ma timidamente e con molte sfumature. I sondaggi mostrano, inoltre, che la popolazione spagnola fuori dalla Catalogna, vuole ricentralizzare lo Stato, come si evince dal rialzo di un partito chiaramente ricentralizzatore e nazionalista spagnolo come UPyD.
Se teniamo conto che la trasformazione in Stato federale richiederebbe la maggioranza dei 2 terzi del Parlamento spagnolo e la ratifica degli elettori mediante elezioni e referendum, sembra che la soluzione federale è tanto o più complicata di quella sovranista.
Pettanto, dal sondaggio osserviamo all’interno del blocco dei partiti in favore del diritto a decidere, un movimento degli elettori che tendono a spostarsi verso i partiti con un discorso più chiaramente favorevole al sovranismo. I voti persi da CiU vanno quasi tutti a ERC interamente, il quale raccoglie anche voti da altri partiti di sinistra. Il dissanguamento di voti del PSC non va verso Ciutadans ma finisce in astensione o verso ICV. E nell’insieme, ICV non cresce: pur mantenendo una scommessa più decisa per il diritto a decidere rispetto al PSC, una parte dei suoi votanti passano a CUP, che è più chiaramente indipendentista. 





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