venerdì 29 agosto 2014

Operazione seduzione

Quando questo processo sarà finito, la strategia della ‘seduzione’ dello Stato spagnolo verso la Catalogna dovrà essere studiata in tutte le Facoltà di Scienze Politiche su “come non si dovrebbe affrontare un conflitto territoriale” se quello che si desidera è che quel territorio rimanga all’interno dello stesso stato.

Questa settimana abbiamo avuto due nuovi esempi (ma in realtà da mesi ce ne offrono quasi uno al giorno). Con soltanto due giorni di differenza, il ministero dei Lavori Pubblici e quello della Pubblica Istruzione e Cultura, hanno aggiunto altre due decisioni per aiutare -ironicamente, si intende- a rendere più attraente per i catalani la continuità della Catalogna in Spagna.

Il primo di questi “gesti di marketing” emozionale è quello perpetrato dal ministero dei Lavori Pubblici, quel ministero gestito dalla grande amica della Catalogna e promotrice del dialogo intergovernativo, Sig.ra Ana Pastor. Il ministero, attraverso “Puertos del Estado” (con sede nella bella città portuale di Madrid), ha deciso di redistribuire il guadagno dei porti dello Stato in modo che quelli più redditizi aiutino quelli con disavanzo. Nel caso del porto di Barcellona, uno dei più redditizi di Europa, la cosa dovrebbe andare così: la metà del guadagno per il Porto di Barcellona, l’altra metà per aiutare gli altri porti dello Stato. Anche se finora abbiamo comunque dato: il Porto cedeva un 4 per cento del proprio fatturato all’ente (Puertos del Estado con sede a Madrid) e un altro 4,5 per cento al detto fondo di solidarietà per gli altri porti. A quanto pare, ciò è insufficiente e adesso la frustata viene triplicata. Nel 2013 il Porto cedette 10 milioni di euro, ma con la nuova normativa nel 2014 saranno 37 milioni di euro. Non è un meccanismo nuovo, si tratta di applicare ai moli quello che già si fa con la redistribuzione fiscale e che si traduce nelle inique e famose bilance fiscali conosciute da tutti. Quello che succede ora è che lo troviamo scritto in forma di decreto evidenziandone la sfacciataggine.

Due giorni dopo questo annuncio, l’amico José Ignacio Wert (Cultura) ci ha comunicato che interromperà (ancora una volta) il ritorno delle mal nominate “Carte di Salamanca”. (Mal nominate perchè si tratta delle Carte “a” Salamanca – si tratta di tutti i documenti degli archivi della Generalitat della Catalogna e di altri enti politici, culturali e privati rubati nel 1939 da Franco e portati a Salamanca. Dalla morte di Franco c’è un tira e molla tra la Generalitat e i successivi governi spagnoli per riavere queste “carte”) . Wert si è inventato una nuova formula per evitare e ridurre la, già di per sè, lenta restituzione di questi documenti. La truffa consiste nella seguente villania: finora il Ministero della Cultura restituiva i documenti alla Generalitat ed essa si incaricava di discernere tra documenti dell’amministrazione e documenti privati (con eredi ai quali consegnarli). In caso di non trovare eredi passavano a far parte dell’Archivio Nazionale della Catalogna nella cittadina di Sant Cugat). Dunque, adesso si sono inventati un altro decreto che consiste nel non restituire alla Catalogna i documenti che non possono accreditare un proprietario. Pertanto, da Salamanca decideranno se una carta ha un proprietario. Se lo trova, il Ministero lo restituisce e se non lo trova resterà eternamente a Salamanca. E fa lo stesso se questi amanti della legislazione ad oltranza se ne fregano di una legge approvata in parlamento con il conseguente accordo tra il governo spagnolo e quello catalano. E se non ti piace, arrangiati.

Quando questo processo sarà finito, si potranno scrivere romanzi o sceneggiature cinematografiche su “cosa sarebbe successo se lo Stato spagnolo avesse agito in un altro modo durante l’effervescenza indipendentista”. 

Immaginate cosa sarebbe successo se, al posto di sbattere la porta in faccia, Rajoy avesse risposto a Artur Mas che era disposto –non a concedere- ma a studiare quella “cosa” del patto fiscale? E se la legge Wert (sul catalano nella scuola) non fosse mai esistita? E se lo Stato, insieme alla Generalitat, fosse andato in Europa a lottare per il corridoio Mediterraneo con un tracciato mediterraneo? (invece di boicottarlo?). E se non avesse mai proposto la chiusura della tv catalana “TV3”?

Insomma, cosa sarebbe successo se lo Stato avesse visto la Catalogna come uno dei suoi pilastri invece che una proprietà alla quale disprezzare, maltrattare e non rispettare mai gli accordi tenuti con essa? 

Di sicuro le cose sarebbero andate diversamente, ma ora è troppo tardi. La risposta l’avremo soltanto nei film di fantascienza.


El Singular Digital – 25.06.14 -

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martedì 26 agosto 2014

La Spagna in stallo

La Spagna si trova in un vicolo cieco, ma fa finta di non saperlo. La ferma posizione della maggioranza della società catalana chiedendo una consultazione –petizione che, contrariamente a quanto succedeva all’inizio, comincia ad avere ora un buon supporto internazionale– ha portato il governo spagnolo a un impasse.


Ma Rajoy, i suoi ministri ed il suo partito in Catalogna continuano a guardare dall’altra parte. Come se tutto quanto non li riguardasse. Si, è vero che finalmente Rajoy riconosce che la “questione catalana è di grande importanza”, e che non è più una “gabbia di matti”, ma nè lui nè il suo partito offrono delle soluzioni. Rajoy fischia, mente e fa orecchie de mercante. O, almeno, così sembra perchè mi pare impossibile che, a questo punto, non si sia reso conto che il suo “wait and see”, –stare a guardare– praticato negli ultimi tempi non funziona.


Non vedono che i catalani non ci sposteremo neanche un centimetro dal nostro cammino. Che, contrariamente a quanto credono o sperano, non accetteremo saldi dell’ultimo minuto mediante terze strade che si sono già rivelate non operative. Che questa volta, trecento anni dopo la sconfitta contro Filippo V (forse litigando tra noi per molte questioni secondarie ma, trovandoci d’accordo su una cosa fondamentale): non ci lasceremo sfuggire questa opportunità storica. E’ adesso o mai più che vogliamo decidere la nostra strada.


Per questo, in tutto il processo, a parte la spinta colossale della società civile, è molto importante la fermezza che sta dimostrando il presidente Artur Mas. Una sicurezza che, diversamente da quanto molti auguravano e continuano ad augurare – qui e là–, persiste nel tempo e crea sconcerto nel governo spagnolo.


Questa è la chiave di tutto quanto. Perchè, a differenza de quel che successe con lo Statuto del 2006, il leader di CDC ha capito molto bene quale fu il mandato del popolo nelle ultime elezioni. Soltanto la maretta che provoca, un giorno dopo l’altro, il suo socio Duran i Lleida interbolisce una strada complicata ma con una uscita ben chiara. Mentre a Madrid si sono intestarditi a proseguire in un vicolo scuro e cieco.


Tempo al tempo.




Miquel Riera, 'Avui'

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sabato 23 agosto 2014

Lo Stato sconcertato

Molti analisti coincidono nell’evidenziare i costanti errori di valutazione –e di azione- commessi dal governo Statale nei confronti della situazione politica catalana. Si ha l’impressione che le cause principali della cattiva lettura del processo catalano siano state, in particolare, di due tipi. Da una parte, quelle derivate da una concezione rigida, monolitica e gerarchica del potere, incrementata dalla superbia e l’autocompiacimento propri di che sente quel potere come un patrimonio esclusivo e permanente. Dall’altra parte, quelle derivate dalla scarsa qualità dell’informazione disponibile, specialmente durante le tappe iniziali, e dall’incapacità d’interpretarla adeguatamente e senza pregiudizi inquinanti.


Questa incapacità analitica di fronte al cambiamento sociale e politico avvenuto in Catalogna si sposa bene con le spiegazioni di alcuni giornalisti che, dalle delegazioni barcellonesi dei media di Madrid, si lamentano della linea editoriale imposta su queste tematiche: non si tratta di non poter capire quello che sta succedendo -dicono-, è che non lo vogliono capire. Non sono disposti a un ripensamento; nè a mettere nulla in dubbio. E’ il rifiuto drastico ad ammettere una realtà che non rientra nelle loro convinzioni... Anche se questa realtà si è già imposta con tutta evidenza e incisività –perfino sulla stampa internazionale più distratta.


Il nazionalismo spagnolo politico e mediatico si è sforzato di strafare, distorcere, confondere e mascherare il processo catalano. Ha fatto tutto il possibile perchè i loro utenti e clientele non si accorgessero di nulla e non avessero la tentazione di cercare qualche chiarimento. España va bien.


Sarebbe la Catalogna –guarda caso- quella che, ingannata e consunta dall’egoismo e l’addottrinamento nazionalista, avanzerebbe impazzita verso l’abisso. Per rendere chiaro che lo Stato è il paradigma della solvenza e la buona salute politica, hanno diagnosticato che il tumore perverso è il sovranismo. E per questo hanno screditato le ragioni e le aspirazioni catalane; ne hanno messo in discussione la legittimità; le hanno vincolate con altre esotiche realtà; hanno danneggiato la reputazione di persone e di organizzazioni; hanno accusato di intransigenza e di generare tensione proprio a quelli che chiedono democrazia. Hanno minacciato, hanno disprezzato, hanno inventato teorie cospiratorie... Hanno fatto figuracce in forma persistente e, in più, hanno ottenuto dei risultati controproducenti.


L’unionismo più pasticcione ed impositivo ha provocato rifiuto ed ha fatto spostare il parere di molte persone inizialmente scettiche sui vantaggi della scelta dell’indipendenza.


Fa parte dell’igiene democratica formulare dubbi e interrogarsi su delle opzioni di futuro che comportano, inevitabilmente, molte incertezze. Ed è comprensibile che alcuni, malgrado l’evidente cattiva volontà dello Stato, ancora temano di più la prospettiva di una improvvisa libertà verso l’ignoto rispetto all’abitudinaria sottomissione a chi afferma di essere una parte imprescindibile di noi. Si può capire che l’insicurezza o la mancanza di fiducia ci provochino reazioni conservatrici e che sia difficile scrollarsi di dosso le inerzie vissute durante molti anni come risultato degli unici possibili comportamenti assennati. Ma non erano gli unici, e non erano per sempre. E se vogliamo e mobilitiamo le proprie forze e capacità, non dovranno esserlo mai più.


La fragilità delle classi dirigenti catalane è diventata più evidente per la mancanza di risposte e proposte contro la crisi economica ed il cambiamento di modello di vita legato alla rivoluzione tecnologica ed alla globalizzazione. Il vuoto relativo nella leadership sociale catalana ha reso specialmente percettibili, fluide e precoci le variazioni nella coscienza sociale e politica della cittadinanza.


Per questo si è accelerata così tanto l’ascesa del sovranismo progressita e la sua capacità di auto-organizzarsi. Sintomi principali di una trasformazione che corrisponde ad un cambiamento d’epoca. In Catalogna, poco prima e con più intensità rispetto all’Europa prossima, la maggior parte della gente ha usufruito dello spazio e dell’agilità mentale per guidare la propria coscienza spostandola. La società civile ha dissentito dallo Stato e dal sistema; ha superato i tabù e si è ribellata; ha perso piano piano la paura, ha preso l’iniziativa ed ha formulato delle proposte. E questo ha sconcertato lo Stato.


L’onda della nuova coscienza collettiva copre tutti gli aspetti: gli atteggiamenti, lo stile di vita, l’ideologia, la partecipazione in politica e nella cultura, il cambiamento nei gusti e dei valori. Ricorda l’accumulo di svolte e rotture che avevano accompagnato l’avvento della modernità borghese.


Ma questa volta, in Catalogna, la spinta rifondatrice e rinnovatrice appartiene ad altri settori sociali.



Joan M. Treserras, 'Ara'

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martedì 19 agosto 2014

La polizia spagnola, oggi come durante il franchismo

Rafael Martí Faixó denunciò di essere stato aggredito da 8 agenti per aver portato una bandiera stellata sulle spalle. La risposta del direttore della polizia spagnola, Ignacio Cosidó, fu: 'Dalle informazioni pervenutemi, la polizia ha agito correttamente.' Il ministro Jorge Fernández Díaz ratificava dicendo che quando la polizia voleva identificarlo, Rafael Martí aveva opposto resistenza.


Tutti abbiamo visto le immagini di Rafael Martí, con evidenti ematomi e lesioni prodotti dalle botte che, come dichiarato, ricevette in faccia quando fu picchiato nei bagni dello stadio di Mestalla da un gruppo di otto poliziotti, solo per portare un simbolo che rappresenta una determinata posizione politica: l'indipendentismo.


Capitano spesso anche –e in questi giorni ne abbiamo avuto delle prove—incidenti con poliziotti spagnoli che riprendono i cittadini quando questi si rivolgono a loro in catalano, lingua ufficiale riconosciuta dalla costituzione e dagli statuti del paese valenziano, delle Isole Baleari e della Catalogna. In tutti i casi, il rapporto della polizia sui fatti dice che il cittadino o la cittadina li ha insultati o si è resistito alla loro autorità. Il ministro ed il capo della polizia non pensano sia strano che i cittadini si rivolgano ai corpi di sicurezza insultandoli? Non hanno mai pensato, le alte cariche della polizia, che hanno un problema? Ancor più quando i cittadini denunciano che i membri dei corpi di sicurezza li hanno rimproverato, obbligandoli a parlare in castigliano rivolgendosi a loro come 'catalani di merda' o 'io sono il rappresentante della Spagna e qui si parla spagnolo'. Varianti del classico 'Parlate in cristiano' o 'Il catalano, in cucina'.


Questi costanti e ripetuti incidenti dimostrano che esiste un atteggiamento di certi membri dei corpi di polizia che sono refrattari al riconoscimento della legalità vigente, la quale riconosce la nazionalità catalana e la nostra lingua come lingua ufficiale. Loro sono deputati a garantire l’esercizio dei diritti linguistici e della libertà di espressione.


La prima cosa che mi chiedo è perchè doveva essere identificato un ragazzo che va ad una partita di calcio con una bandiera stellata. Soltanto questo già mette in evidenza un abuso di autorità commesso dalla polizia, che ha il dovere e la funzione di non importunare la vita dei cittadini e di garantire la libera espressione delle proprie idee. Libertà che include anche quella di esibire i simboli di un determinato pensiero politico, come nel caso della stellata di Rafael Martín.


Le risposte del ministro e del signor Cosidó in questo caso –come nella moltetudine di casi che si succedono reiteratamente dal franchismo in qua—sono simili a quelle che dava il governatore franchista Tomás Pelayo Ros all’abate Cassià Just, che si era interessato per i maltrattamenti a Jordi Carbonell. Carbonell fu detenuto nel 1974 e torturato dalla polizia perchè si era rivolto a loro in catalano. Lo misero in osservazione psichiatrica in prigione, trattandolo da matto. Il governatore negò i maltrattamenti e non ammise nessuna responsabilità, dicendo che dal 12 dicembre si trovava a disposizione giudiziaria, anche se le torture furono inflitte prima, durante l’arresto nel sinistro palazzo della Via Laietana.


Sorprende che la polizia ed i loro responsabili politici, in una società che si ritiene democratica, agisca come quelli del franchismo, coprendo le azioni dei funzionari contro i diritti fondamentali dei cittadini, tollerando gli atteggiamenti contrari alla diversità e che considero xenofobi; o nel caso di Rafael Martín, viste le evidenti torture. Il loro atteggiamento dovrebbe essere, invece, di 'tolleranza zero'.


Le Nazioni Unite definiscono la tortura in questo modo: 'Atto con il quale si infligge intenzionatamente un intenso dolore o sofferenza, fisica o mentale, su istigazione di un funzionario pubblico, ad una persona ai fini di ottenere –da lui o da una terza persona-- una informazione o confessione, per punirlo per qualche fatto commesso o per intimidarla --a lei o ad altre persone.'


E’ chiaro che, nel caso di Jordi Carbonell come in quello di Rafael Martín ci sono state forti aggressioni di funzionari della polizia nei confronti di cittadini arrestati per infliggere loro dolore e per oltraggiarli. Jordi Carbonell fu torturato per aver parlato in catalano e Martín per aver portato i segni del proprio pensiero indipendentista. In ambedue casi furono torturati anche con lo scopo di intimidire in forma generica tutti i cittadini che parlano catalano e che hanno determinate idee politiche perfettamente legittime.


In tutti questi casi, sia il governatore civile franchista che i responsabili della polizia attuali, si sono limitati a dire che la polizia aveva agito correttamente. Ma le aggressioni sono state commesse in un momento in cui dovevano garantire l’incolumità fisica dei cittadini che erano detenuti in luoghi chiusi e sono rimaste evidenti tracce delle aggressioni subite, le quali sono state coperte con attestati negativi. Hanno il dovere di aprire un’inchiesta, e disporre i mezzi per non tollerare atteggiamenti come questi per far compiere la legalità vigente in materia linguistica e di libertà di espressione.


Ricordo che il governo spagnolo già fu condannato per il Tribunale dei Diritti Umani di Strasburgo per non aver aperto un’inchiesta sulle torture denunciate dopo gli arresti voluti dal giudice Baltasar Garzón con l’occasione dei Giochi Olimpici del 1992 a Barcelona.


Oggi Jorge Fernández Diaz, come nel 1974 Pelayo Ros, continua a tollerare le torture ed il disprezzo alla lingua ed ai simboli catalani da parte di molti poliziotti spagnoli. Invece di questo, dovrebbe esserci tolleranza zero contro qualsiasi violazione dei diritti dei cittadini.





Josep Cruanyes i Tor, avvocato, storico e presidente della Commissione della Dignità.
 

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sabato 9 agosto 2014

Rajoy amplifica il caso catalano davanti al mondo




Il mondo non è precisamente entusiasta della comparsa di una nuova frontiera all’interno dell’Unione Europea. 

Ma proprio per questo, il mondo non capisce nemmeno che il governo spagnolo preferisca impegnarsi in una frenetica caccia internazionale di streghe catalane piuttosto che dedicarsi a fare quello che fanno gli stati seri, cioè, sedersi per risolvere i problemi, soprattutto se riguardano una regione fiorente ed europeista, la cui capitale è Barcellona. 

Gli atteggiamenti da “nobiltà offesa” propri dei romanzi cavallereschi con i quali Rajoy prepara la prossima riunione con il presidente catalano Mas, mal si collegano con quello che il mondo democratico ed economico si aspettano da un leader del Xxi secolo. 

Di fatto, la cronicizzazione dei problemi secondo lo “stile Rajoy” ha fatto diventare il caso catalano una storia perfetta per i media internazionali.

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domenica 3 agosto 2014

Essere liberi di decidere, decidere di essere liberi








Ricordo una volta un’intervista ad un insigne imprenditore catalano che ha sempre tenuto molto presente la responsabilità sociale corporativa che spesso si utilizza come mero strumento di marketing privo di anima. Quell’imprenditore assicurava che “noi esseri umani siamo condannati ad essere bravi ragazzi”. Mi è venuta in mente, in questi tempi particolari che sta vivendo il mio paese, la mia autentica madre Patria: la Catalogna. Questa nazione mediterranea ed europea, che conta più di mille anni di storia, sta reclamando, fino alla noia, di poter esercitare il paradigma della democrazia, ossia di poter decidere liberamente il proprio futuro. Ma la Spagna si rifiuta di concederglielo. Sì, la Spagna si rifiuta, senza sapere, a quanto pare, che noi esseri umani, oltre ad essere bravi ragazzi, siamo condannati ad essere democratici. E dico esseri umani e non stati, paesi o nazioni perché dopotutto che cosa sono questi se non una collettività di esseri umani?


Che cosa vogliamo in realtà, in ampia maggioranza, noi catalani? Decidere di essere liberi o, se preferite, essere liberi di decidere senza che ciò comporti niente di più dell’essenza della democrazia: votare. Se io mi riconosco libero, ho la capacità di decidere e, se decido, metto in pratica il fatto di essere libero. A partire da ciò quello che si decide dipende solo dalla libertà, sia esso mantenere un’unione con la Spagna o recuperare la sovranità che ci fu strappata con le armi esattamente 300 anni fa.


Molte volte ci ammoniscono dicendoci che i problemi non si risolvono con letture semplici e che abitualmente occorre approfondirne l’analisi. Certamente. Ma molte volte è proprio la lettura semplice, la riflessione elementare, che chiarisce e illumina la situazione davanti a fatti di un’oggettività, direi, quasi universale. Se la Spagna non permette alla Catalogna di votare sul suo futuro è perché la Spagna considera la Catalogna un ente inferiore, allo stesso modo in cui, nel corso dei secoli, una maggioranza di bianchi ha considerato i neri finché non ha riconosciuto loro l’uguaglianza dei diritti. È così semplice!


Ma la Catalogna è stufa. Perciò ora, come fece la cittadina nera Rosa Parks nel 1955, quando salì sull’autobus e si sedette su un sedile riservato ai bianchi perché aveva deciso di essere libera di mettere il suo sedere dove le pareva, e si sentì libera di decidere proprio questo, la Catalogna porta a termine il suo processo di emancipazione. La Catalogna agisce così perché non si sente, né si riconosce, inferiore e de facto sta già trattando con la Spagna da pari a pari.

Il potere spagnolo vede le urne come se fossero carri armati, ma, parafrasando Ramon Muntaner, autore di una delle grandi cronache medievali che descrivono gli eventi politici, familiari e militari di alcuni tra i più insigni re catalani, noi catalani “con allegria e gioia andiamo in battaglia allo stesso modo in cui gli altri vanno per forza e con timore”. Questa frase assume un gran significato. Sostituite “battaglia” con “urne” e avrete la descrizione esatta di ciò che succede in Spagna in pieno 2014. In realtà possiamo dire che gli spagnoli non vanno nemmeno alle urne se il tema non interessa loro.

E questo si decide a Madrid e precisamente alla Camera dei Deputati, dove le bevande alcoliche che ingeriscono le signorie loro sono sovvenzionate dallo Stato spagnolo. Sì, lo stesso luogo da cui si ripete fino alla nausea che senza rispetto della Costituzione Spagnola, la quale consacra l’unità territoriale con il concorso dell’esercito, non c’è democrazia, dimenticando che il Regno Unito, senza costituzione, permette alla Scozia di indire un referendum sull’indipendenza il prossimo 18 settembre 2014. E dimenticando anche che, parlando di nuovo di costituzioni nel 1714, tutto il sistema costituzionale catalano saltò in aria ed i pochi esemplari delle ultime costituzioni approvate nel 1706, che sopravvissero, furono bruciati in pubblico a scherno dei catalani. I catalani dunque avevano una costituzione che fu letteralmente annichilata dagli antenati di coloro che oggi presumono di averne una come se si trattasse delle Sacre Scritture.


Dico ciò perché l’abdicazione del re Juan Carlos I di Borbone a favore di Filippo VI – a proposito, colui che annichilò la Catalogna nel 1714 era Filippo V di Borbone – ha messo la Spagna davanti allo specchio e questa si è vista veramente brutta e orribile. E qui non si è potuto dare la colpa ai catalani perché è stata una parte del popolo spagnolo a reclamare un referendum per ratificare la monarchia o istituire una repubblica. Ed è stato proprio in questo momento che il Governo spagnolo ha risposto ai suoi cittadini come fa con i catalani, e cioè che la Costituzione Spagnola consacra una monarchia e non c’è altro di cui parlare. A proposito, sicuramente non l’avrete notato, ma il 19 giugno, giorno della coronazione di Filippo VI, si commemorano i 307 anni da quando il suo predecessore, Filippo V, rase al suolo e bruciò interamente la città di Xàtiva, nell’antico Regno di Valencia, per poi ribattezzarla come Nuova Colonia di San Filippo, per aver difeso le leggi e le costituzioni. Tutta una dichiarazione d’intento, non vi pare?



David de Montserrat Nonó
giornalista

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sabato 2 agosto 2014

Solidarità dal Friûl e dal Veneto


 

Autodeterminazione delle Nazioni Friulane e del Litorale (A.N.F.e.L.), movimento nenato per l'autodeterminazione dei popoli della regione Friuli-Venezia Giulia dall'Italia, esprime la sua solidarietà allo sciopero della fame del prof. Jaume Sastre in difesa del diritto all'insegnamento della lingua catalana nelle Isole Baleari.

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