domenica 3 agosto 2014

Essere liberi di decidere, decidere di essere liberi








Ricordo una volta un’intervista ad un insigne imprenditore catalano che ha sempre tenuto molto presente la responsabilità sociale corporativa che spesso si utilizza come mero strumento di marketing privo di anima. Quell’imprenditore assicurava che “noi esseri umani siamo condannati ad essere bravi ragazzi”. Mi è venuta in mente, in questi tempi particolari che sta vivendo il mio paese, la mia autentica madre Patria: la Catalogna. Questa nazione mediterranea ed europea, che conta più di mille anni di storia, sta reclamando, fino alla noia, di poter esercitare il paradigma della democrazia, ossia di poter decidere liberamente il proprio futuro. Ma la Spagna si rifiuta di concederglielo. Sì, la Spagna si rifiuta, senza sapere, a quanto pare, che noi esseri umani, oltre ad essere bravi ragazzi, siamo condannati ad essere democratici. E dico esseri umani e non stati, paesi o nazioni perché dopotutto che cosa sono questi se non una collettività di esseri umani?


Che cosa vogliamo in realtà, in ampia maggioranza, noi catalani? Decidere di essere liberi o, se preferite, essere liberi di decidere senza che ciò comporti niente di più dell’essenza della democrazia: votare. Se io mi riconosco libero, ho la capacità di decidere e, se decido, metto in pratica il fatto di essere libero. A partire da ciò quello che si decide dipende solo dalla libertà, sia esso mantenere un’unione con la Spagna o recuperare la sovranità che ci fu strappata con le armi esattamente 300 anni fa.


Molte volte ci ammoniscono dicendoci che i problemi non si risolvono con letture semplici e che abitualmente occorre approfondirne l’analisi. Certamente. Ma molte volte è proprio la lettura semplice, la riflessione elementare, che chiarisce e illumina la situazione davanti a fatti di un’oggettività, direi, quasi universale. Se la Spagna non permette alla Catalogna di votare sul suo futuro è perché la Spagna considera la Catalogna un ente inferiore, allo stesso modo in cui, nel corso dei secoli, una maggioranza di bianchi ha considerato i neri finché non ha riconosciuto loro l’uguaglianza dei diritti. È così semplice!


Ma la Catalogna è stufa. Perciò ora, come fece la cittadina nera Rosa Parks nel 1955, quando salì sull’autobus e si sedette su un sedile riservato ai bianchi perché aveva deciso di essere libera di mettere il suo sedere dove le pareva, e si sentì libera di decidere proprio questo, la Catalogna porta a termine il suo processo di emancipazione. La Catalogna agisce così perché non si sente, né si riconosce, inferiore e de facto sta già trattando con la Spagna da pari a pari.

Il potere spagnolo vede le urne come se fossero carri armati, ma, parafrasando Ramon Muntaner, autore di una delle grandi cronache medievali che descrivono gli eventi politici, familiari e militari di alcuni tra i più insigni re catalani, noi catalani “con allegria e gioia andiamo in battaglia allo stesso modo in cui gli altri vanno per forza e con timore”. Questa frase assume un gran significato. Sostituite “battaglia” con “urne” e avrete la descrizione esatta di ciò che succede in Spagna in pieno 2014. In realtà possiamo dire che gli spagnoli non vanno nemmeno alle urne se il tema non interessa loro.

E questo si decide a Madrid e precisamente alla Camera dei Deputati, dove le bevande alcoliche che ingeriscono le signorie loro sono sovvenzionate dallo Stato spagnolo. Sì, lo stesso luogo da cui si ripete fino alla nausea che senza rispetto della Costituzione Spagnola, la quale consacra l’unità territoriale con il concorso dell’esercito, non c’è democrazia, dimenticando che il Regno Unito, senza costituzione, permette alla Scozia di indire un referendum sull’indipendenza il prossimo 18 settembre 2014. E dimenticando anche che, parlando di nuovo di costituzioni nel 1714, tutto il sistema costituzionale catalano saltò in aria ed i pochi esemplari delle ultime costituzioni approvate nel 1706, che sopravvissero, furono bruciati in pubblico a scherno dei catalani. I catalani dunque avevano una costituzione che fu letteralmente annichilata dagli antenati di coloro che oggi presumono di averne una come se si trattasse delle Sacre Scritture.


Dico ciò perché l’abdicazione del re Juan Carlos I di Borbone a favore di Filippo VI – a proposito, colui che annichilò la Catalogna nel 1714 era Filippo V di Borbone – ha messo la Spagna davanti allo specchio e questa si è vista veramente brutta e orribile. E qui non si è potuto dare la colpa ai catalani perché è stata una parte del popolo spagnolo a reclamare un referendum per ratificare la monarchia o istituire una repubblica. Ed è stato proprio in questo momento che il Governo spagnolo ha risposto ai suoi cittadini come fa con i catalani, e cioè che la Costituzione Spagnola consacra una monarchia e non c’è altro di cui parlare. A proposito, sicuramente non l’avrete notato, ma il 19 giugno, giorno della coronazione di Filippo VI, si commemorano i 307 anni da quando il suo predecessore, Filippo V, rase al suolo e bruciò interamente la città di Xàtiva, nell’antico Regno di Valencia, per poi ribattezzarla come Nuova Colonia di San Filippo, per aver difeso le leggi e le costituzioni. Tutta una dichiarazione d’intento, non vi pare?



David de Montserrat Nonó
giornalista

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