giovedì 28 febbraio 2013

I deliri dei nazionalisti spagnoli

Si è detto molte volte che la stampa nazionalista spagnola intossica, crea odio nei confronti dei catalani e fa disinformazione per creare conflitto. Qui riportiamo alcuni frammenti davvero deliranti, dei quali abbiamo fatto uno screenshot per mostrarvi che, nonostante possa sembrare uno scherzo di cattivo gusto, purtroppo è vero: 
Sapevate che la stella rossa a 5 punte, usata come simbolo dell’indipendentismo catalano, è un simbolo satanico? Secondo la chiesa satanica, questo è uno dei principali simboli satanici, insieme ai molti altri che ci circondano e di cui non ci rendiamo conto. È questo il caso della stella a cinque punte, passada di moda in Russia, ma usata negli anni in diverse bandiere e scudi di stati socialisti. Anche il giornale militare dell’Unione Sovietica si chiamava “Stella Rossa”, così come diversi club sportivi degli stati socialisti, che adottarono questo simbolo come stemma. Tra i più famosi ricordiamo “Stella Rossa Belgrado” (in serbo Crvena Zvezda) e “Stella Rossa Lipsia” (in tedesco “Roter Stern”).
Un’altra versione suggerisce che le cinque punte della stella rappresentano i cinque gruppi sociali che avrebbero reso possibile il passaggio al socialismo: i giovani, i militari, i lavoratori del settore industriale, i contadini e gli intellettuali. La stella rossa era, inoltre, il segnale di un nuovo ordine, sotto la conduzione del Partito Comunista.
Per i satanisti, la stella rossa a cinque punte è un pentagramma che Satana introdusse in maniera strategica come simbolo del socialismo e del comunismo, movimenti che giustificarono la scelta di quel simbolo come rappresentazione delle cinque dita della mano dei lavoratori. Altri ancora hanno ricondotto invece l’immagine della stella ai cinque continenti.
Quando non si mantiene una posizione chiara nella difesa di un simbolo è evidente che c’è qualcosa di nascosto, ma per i satanisti simboleggia la stella del mattino, nome con cui nella Bibbia si fa riferimento a Satana. La stella viene usata anche in alcuni rituali di stregoneria, per invocare spiriti maligni.
È curioso come i satanisti e i comunisti celebrino l’anniversario lo stesso giorno, il 1° maggio del 1776, e condividono gli stessi simboli satanici. Per i satanisti il primo maggio è sempre stato celebrato come la notte nella quale tutti i demoni, gli spettri e gli spiriti si presentano per mettere in atto le loro azioni malvagie.
Il simbolo più importante della chiesa di Satana è il pentagramma, o la stella a cinque punte, che rappresenta alla perfezione l’unione degli estremi e l’umanità, essendo molto simile alla celebre opera di Leonardo da Vinci che rappresenta l’uomo e l’umanità. Il numero 5 è stato considerato mistico e magico, essenzialmente umano. Quando vengono realizzati rituali occulti, infatti, è sempre presente questo simbolo.
Il marxismo, come un settore del “catalanismo”, ha mostrato attitudini sataniche sin dalle origini. I suoi membri, i primi ad esibire la ‘estelada’ (la bandiera indipendentista con la stella rossa), negli anni ’30 diventarono profondamente anti-religiosi. Durante la II Repubblica uno dei loro dirigenti, uno scrittore che non ebbe successo, in una delle sue poesie intitolata “Invocazione di un disperato”, scrisse: “Desidero vendicarmi con Colui che governa lassù” e, in un altro paragrafo dello stesso testo, “costruirò un trono fino in alto, una cima immensa e fredda”. Questo ci ricorda l’ardente desiderio di Lucifero: “Io salirò in cielo, eleverò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio” (Isaia 14:13).  
*Presidente di ‘Catalunya Desperta Ya! (CDY)


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Il Parlamento spagnolo vieta alla Catalogna di decidere il proprio futuro


Il 26 febbraio 2013 il Parlamento spagnolo ha bocciato le quattro mozioni presentate per chiedere il diritto all’autodeterminazione, riconosciuto dalle Nazioni Unite. Ai voti contrari dei partiti più importanti al governo, il PP e il PSOE, si sono aggiunti anche quelli degli ultra-nazionalisti dell’UPD.
La proposta che ha ricevuto più voti è stata quella presentata dalla CiU, con 60 voti su 350. Il motivo è che hanno inciso i voti di tutti i deputati catalani del PSOE, che hanno votato a favore disobbedendo agli ordini del proprio partito. Il testo propone di "chiedere al governo spagnolo di iniziare un dialogo con il governo della Generalitatper rendere possibile lo svolgimento di un referendum, in modo che i catalani possano decidere del proprio futuro". Né "iniziare", né "dialogo", né "referendum".La Spagna ha voltato le spalle a queste parole, negando alla Catalogna il diritto di decidere il proprio futuro. Un fatto rilevante, tuttavia, è che il 74% dei deputati catalani in Parlamento hanno votato a favore del diritto a decidere della Catalogna. Un voto di massa forte e chiaro, che dimostra che il veto posto dalla Spagna ha di fronte una maggioranza democratica.

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mercoledì 27 febbraio 2013

ANSA: Catalogna prepara 'nuovo stato nell'UE'



Convergènia i Unió e Esquerra Republicana de Catalunya, i due partiti della maggioranza di governo catalana - hanno redatto il testo della dichiarazione di sovranita' della regione, nel quale si esprime la ''volonta' di esercitare il diritto a decidere e a fare la costituzione di Catalogna in un nuovo Stato dentro l'Unione europea''.

Nel patto di legislatura siglato nelle settimane scorse, i due leader si sono impegnati a far svolgere entro il 2014 il referendum per l'autodeterminazione della Catalogna. Secondo gli ultimi sondaggi, un'ampia maggioranza di catalani appoggerebbe l'autodeterminazione (47 per cento contro il 40), ma il 73% ritiene che si debba svolgere un referendum. Contrari sono, ovviamente, il Re, il Governo e i maggiori partiti spagnoli, come PP e Psoe. Secondo il Governo - che cita la costituzione spagnola - l'autodeterminazione non e' prevista e nei referendum devono esprimersi tutti gli spagnoli.

L'Agenzia Nazionale Stampa Associata, comunemente conosciuta con l'acronimo  ANSA, è la principale agenzia di stampa italiana, fondata a Roma nel 1945.
 
Articolo a : ANSAmed

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martedì 26 febbraio 2013

Dispendio di 6 milioni di € per la casa dell'ambasciatore spagnolo a Rabat





Lo spreco di denaro pubblico da parte del Regno di Spagna non ha avuto alcun rallentamento nemmeno negli ultimi anni. L'opulenza è diventata il marchio di uno stato in decadenza. Esemplare è stata la residenza dell'ambasciatore spagnolo a Rabat (Marocco). Si tratta della residenza, non della sede dell'ambasciata.
Da come si può comprovare dal Bollettino Ufficiale dello Stato, la spesa approvata per la sopracitata residenza è di 6.369.197,28 . Sei milioni di euro per una casa è da solo un motivo sufficiente perché in Europa si chiedano se ha ancora senso continuare ad aiutare la Spagna, visto che è con i soldi degli europei che si finanziano tali opere faraoniche. Sarebbe molto facile continuare dicendo cosa si potrebbe fare con tanto denaro...

Leggi questo articolo in inglese, tedesco e spagnolo

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lunedì 25 febbraio 2013

#FreedomforCatalonia l’etichetta delle reti sociali, il motivo del Mobile World Congress

#FreedomforCatalonia. Questa è l’etichetta delle reti sociali sfruttando le visite a Barcellona di migliaia di persone di tutto il mondo, il motivo del Mobile World Congress (MWC), per mostrare la volontà di raggiungere uno stato propio per la Catalogna. Gli organizzatori della fiera tecnologica hanno messo schermi in posti strategici di Barcellona dove appaiono tutti i tweet accompagnati del testo #WelcomeMobile.
L’azzione, per la quale si chiede la partecipazione di tutti gli utenti delle reti sociali, è quella di aggiungere il già detto #FreedomforCatalonia al testo #WelcomeMobile, per mostrare, di forma continuata sugli schermi, il desiderio della libertà della Catalogna.

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domenica 24 febbraio 2013

Uno dei vicepresidenti del Parlamento Europeo chiede alla Spagna di autorizzare il referendum in Catalogna

“Madrid deve lasciare la decisione nelle mani dei catalani”, dice il tedesco liberale Alexander Álvaro
Alexander Alvaro

Uno dei vicepresidenti del Parlamento Europeo, il tedesco del Partito Liberale Alexander Álvaro, chiede alla Spagna di autorizzare un referendum per l’indipendenza di Catalogna. Nelle dichiarazioni a RAC1, Alexander Álvaro ha detto che nessun governo deve opporsi alla volontà del popolo e che i catalani devono avere il diritto di scegliere sebbene “personalmente” non capisce i motivi di Catalogna per volersi indipendizzare. “Se i catalani pensano che è un buon aproccio, Madrid deve lasciare la decisione nelle sue mani”, ha affermato il tedesco.
“Non penso sia troppo utile che Madrid provi ad opporsi a quello che la gente di Catalogna vuole”, ha aggiunto Alexander Álvaro, ed ha insistito che un governo “non può forzare mai la gente a prendere o no una decisione”.

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giovedì 21 febbraio 2013

Sul cammino verso il referendum per l’indipendenza dalla Spagna

La Catalogna compie il primo simbolico passo sul cammino verso il referendum per l’indipendenza dalla Spagna. Con 85 voti favorevoli, 41 contrari e due astensioni, il Parlamento della ricca regione autonoma spagnola ha approvato una dichiarazione che la proclama soggetto politico e giuridico sovrano.
Il presidente del Parlamento catalano Artur Mas ha sottolineato il carattere storico di questa dichiarazione, e prima del voto ha dichiarato: “Sarà un voto storico. Forse non risolverà i notri problemi in 24 ore, ma ci condurrà alla meta”.
I deputati dei due grandi partiti spagnoli rifiutano la dichiarazione. La leader del Partito Popolare locale Alicia Sanchez Camacho critica e accusa Mas di dividere i catalani: “La maggioranza dei catalani non vuole l’indipendenza, non vuole una divisione. State sfidando il governo spagnolo”.
Un accordo stipulato tra i due partiti al potere – nazionalisti – prevede un referendum nel 2014 per l’autodeterminazione della Catalogna. Una regione dove – come dimostrano le celebrazioni di settembre per la Diada Nacional de Catalunya – la crisi economica ha accresciuto la frustrazione nei confronti di Madrid, oltre al sentimento indipendentista.

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La Spagna vuole far tornare la Corrida in Catalogna


Il Presidente della Commissione Cultura del Congreso de Los Diputados, Juan Manuel Albendea (PP), ha spiegato giovedì scorso a Salamanca che tra Giugno e Settembre le corride dei tori saranno dichiarate Bene di Interesse Culturale e che, pertanto, torneranno in Catalogna.
Il plenum del Congresso discuterà martedì prossimo affinché la "festa" dei tori venga dichiarata Bene d'Interesse Culturale in Spagna.
"Quando la corrida sarà dichiarata Bene d'Interesse culturale in Spagna, le relative competenze saranno dello Stato Spagnolo e si derogherà alla legge approvata dal Parlamento Catalano che vieta le corse dei tori", ha argomentato Albendea Pabón, deputato spagnolo del Partido Popular. "Penso che la legge si possa approvare entro Giugno o, tutt'al più, tenendo in conto che non vi sono attività nei mesi di Luglio e Agosto, sarebbe pronta per Settembre", ha spiegato Albendea, che ha insistito sull'idea che "a Settembre tornerà la corrida in Catalogna, considerando che per quel momento sarà già stata dichiarata bene d'Interesse Culturale"

Con questo, il governo spagnolo si prepara un'altra volta a non rispettare la democrazia in Catalogna, dove la corrida è stata abolita per decisione democratica del Parlamento.

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domenica 17 febbraio 2013

Il diritto all’autodeterminazione del popolo catalano è una legge che la Spagna deve approvare

L’11 settembre 2012 due milioni di catalani sono scesi in strada per chiedere l’indipendenza. Io ero lì e quello che la gente chiedeva non ha un’altra interpretazione possibile. La risposta della classe politica spagnola è stata contundente e fondamentalmente basata su un unico argomento: l’indipendenza è illegale.

Quando si ricorda che il diritto all’autodeterminazione tutela i catalani, ci stanno dicendo che il diritto di decidere sulle questioni che riguardano la Catalogna è di tutti gli spagnoli, visto che la Catalogna non è altro che una parte della Spagna. Ci sono molti motivi per avallare el diritto dei catalani a decidere del proprio futuro: la sovranità esistita per più di 700 anni e revocata illegalmente attraverso i "Decretos de Nueva Planta" (decreti firmati tra il 1707 e il 1716 che abolirono le autonomie locali e imposero il castigliano come lingua ufficiale), l’unità territoriale e linguistica, la presenza – storica, ormai – di organismi di rappresentazione politica come la Generalitat (composta al suo interno da Parlamento e Governo), ecc.

Ciononostante, è proprio Costituzione spagnola a riconoscere per prima questo diritto. Questa argomentazione è già stata presentata in varie occasioni, ma è così importante che vale la pena spiegarla ancora una volta, andando nei dettagli e offrendo nuove sfumature. Non sono un giurista, sono ingegnere e proprio per questo sono abituato ad analizzare le cose usando la logica. Andiamo per passi.

È conosciuta come Carta Internazionale dei Diritti dell’Uomo (o in inglese International Bill of Human Rights, IBHR) l’insieme di tre trattati internazionali di grande importanza che furono redatti al termine della Seconda Guerra Mondiale ed entrarono in vigore nel 1976, proprio pochi mesi dopo la morte – in Spagna – del dittatore. Questi tre trattati sono:



1. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (famosa anche come DUDU o in inglese UDHR)
2. Il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (in inglese abbreviato in ICCPR)
3. Il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (in inglese ICESCR)


Questi tre trattati hanno valenza universale, vanno cioè applicati a tutti gli esseri umani e ai gruppi che questi costituiscono, ma – e non poteva essere altrimenti – furono ratificati dallo Stato spagnolo.

La DUDU fa riferimento principalmente ai diritti individuali e non menziona il diritto all’autodeterminazione, introdotto però dal Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, che all’articolo 1, articolo unico della Parte I, recita:

"Articolo 1
1. Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale.
2. Per raggiungere i loro fini, tutti i popoli possono disporre liberamente delle proprie ricchezze e delle proprie risorse naturali, senza pregiudizio degli obblighi derivanti dalla cooperazione economica internazionale, fondata sul principio del mutuo interesse, e dal diritto internazionale. In nessun caso un popolo può essere privato dei propri mezzi di sussistenza.
3. Gli Stati parti del presente Patto, ivi compresi quelli che sono responsabili dell’amministrazione di territori non autonomi e di territori in amministrazione fiduciaria, debbono promuovere l’attuazione del diritto di autodeterminazione dei popoli e rispettare tale diritto, in conformità alle disposizioni dello Statuto delle Nazioni Unite."

In altre parole, questo Patto Internazionale raccoglie il diritto alla libera autodeterminazione dei popoli e obbliga i firmatari – tra cui la Spagna – a rispettare e promuovere questo diritto. Se non fosse sufficiente, il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali riporta esattamente lo stesso articolo, anch’esso all’articolo 1 della Parte I.

Stando a due dei trattati internazionali più importanti firmati dalla Spagna, risulta quindi evidente che la Catalogna ha pieno diritto all’autodeterminazione. Nonostante l’evidenza, però, il Governo spagnolo e il più importante partito dell’opposizione sostengono che questo diritto vada contro alla legislazione spagnola e alla Costituzione. Analizziamo anche questo punto.

Nel 1977, nel pieno dell’epoca della transizione, ma prima dell’approvazione della Costituzione, l’accesso della Spagna ai vari patti della Carta Internazionale viene traslato alla legislazione spagnola. Ad esempio, nel BOE (la Gazzetta Ufficiale spagnola) n° 103 del 30 aprile 1977, pagg. 9337-9343, il Re si pronuncia in merito al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici:

"Juan Carlos I, Re di Spagna
[…] Con la presente approvo e ratifico quanto viene in esso disposto, lo approvo e prometto di compierlo, osservarlo e far sì che venga compiuto e osservato in tutte le sue parti. A questo fine, promulgo la presente come strumento di ratificazione da me firmato e timbrato.
"

E di seguito viene riportato letteralmente il testo del Patto, incluso il primo articolo. Nel BOE n° 103 appare quindi la frase: "Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale", che il Re si impegna a "far sì che venga compiuto e osservato".

L’anno successivo, nel 1978, viene approvata la Costituzione che all’articolo 10 parla di diritti degli individui, facendo un chiaro riferimento alla Carta Internazionale dei Diritti dell’Uomo e quindi anche ai tre trattati che la compongono. Al secondo paragrafo dell’articolo 10 si legge:


Le norme relative ai diritti fondamentali e alle libertà che sancisce la Costituzione verranno interpretate in conformità con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e con i trattati e accordi internazionali in materia di diritti umani ratificati dalla Spagna.
Più avanti, all’articolo 96, la Costituzione recita:


I trattati internazionali siglati, una volta pubblicati ufficialmente in Spagna, faranno parte dell’ordinamento nazionale. Quanto viene disposto nei suddetti trattati potrà essere derogato, modificato o sospeso nella maniera prevista dai trattati stessi o in accordo con le norme generali del Diritto internazionale.
Considerato che nessuno dei trattati della Carta Internazionale è stato derogato, modificato o sospeso dalla Spagna, i tre trattati sopraccitati fanno parte della legislazione spagnola, ovvero sono leggi che lo Stato spagnolo deve attuare.

L’unica conclusione logica che possiamo trarre è che la Spagna riconosce il diritto alla libera autodeterminazione dei popoli. Rimane solamente una domanda a cui dare una risposta: la Catalogna è un popolo, così come lo intende la Carta Internazionale dei Diritti dell’Uomo? Il Governo spagnolo sostiene che l’unico popolo che detiene il diritto di decidere è il popolo spagnolo nel suo insieme. Beh, il Governo dovrebbe leggere con molta attenzione la Costituzione, dato che già nel Preámbulo si sostiene che la volontà della Costituzione è quella di:
proteggere tutti gli spagnoli e i popoli della Spagna nell’esercizio dei diritti umani, delle loro culture e tradizioni, lingue e istituzioni.
Se consideriamo che il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali furono ratificati nel 1976, anno in cui si iniziò a redigere la Costituzione spagnola, sembra quasi impossibile non vedere il riferimento che a essi si fa nel paragrafo appena riportato. Infatti parla di ‘diritti umani’ e di ‘popoli di Spagna’, al plurale, e non di ‘popolo spagnolo’, al singolare. La Costituzione spagnola riconosce, usando esattamente la stessa nomenclatura usata dai trattati delle Nazioni Unite, che la Spagna è formata da diversi popoli, non da uno solo, e che a questi popoli è riconosciuto il diritto all’autodeterminazione; proprio per questo motivo la Spagna è obbligata, in virtù dei suddetti trattati, a rispettare questo diritto.

Se questo non bastasse, sul sito internet del Ministerio de Educación y Ciencia viene messo a disposizione dei cittadini il Diccionario Salamanca de la Lengua Española, non esattamente favorevole alle tesi che sostengono la sovranità. Cercando la parola "nazione" su questo dizionario on-line troviamo quattro accezioni, la terza recita:


3. Insieme di persone, di solito all’interno di un unico territorio, unite da vincoli storici, culturali, linguistici o religiosi che si sentono parte di una stessa comunità: la nazione catalana, la nazione basca, la nazione galiziana. Sinonimo: paese.
Un sito del Governo spagnolo riconosce che la Catalogna è una nazione! È quindi lo stesso Governo a riconoscere la Catalogna come nazione, un paese, un popolo e – di conseguenza – stando alle normative internazionali (tra cui i trattati precedentemente citati), il BOE e la Costituzione, la Catalogna ha diritto all’autodeterminazione.

Spesso si rifiuta il diritto all’autodeterminazione della Catalogna, nascondendosi in quella parte dell’articolo 1 della Costituzione che dice:


2. La sovranità nazionale appartiene al popolo spagnolo, da cui emanano i poteri dello Stato.
Non vi è alcuna contraddizione. L’autodeterminazione è un diritto e come tale può essere esercitato o no. Fintantoché il popolo catalano non lo ha esercitato, è stato integrato nel popolo spagnolo, unico soggetto politico e giuridico fino a quel momento, facendo parte della sua sovranità. Ma quello che permette il diritto all’autodeterminazione sancito dalla Carta Internazionale dei Diritti dell’Uomo è la proclamazione di un nuovo soggetto politico e giuridico sovrano; ed è proprio quello che ha fatto il Parlamento catalano il 23 gennaio 2013, approvando con 85 voti a favore, 41 contrari e 2 astenuti la Dichiarazione di Sovranità, che proclama che:


Il popolo catalano ha, per legittime ragioni democratiche, carattere di soggetto politico e giuridico sovrano.
A partire dal 23 gennaio esistono quindi due entità sovrane: il popolo catalano e il popolo spagnolo. Dato che la legge internazionale viene sempre prima di quella nazionale, l’articolo 1 della Costituzione deve essere interpretata soltanto come la descrizione della situazione giuridica e politica al momento dell’approvazione, ma che adesso viene modificata in virtù di un diritto all’autodeterminazione riconosciuto sia dalle leggi internazionali, sia dall’ordinamento giuridico nazionale della Spagna.

Risulta ora chiaro il motivo per il quale il Canada non si è opposto al diritto all’autodeterminazione del Quebec o il Regno Unito a quello della Scozia? La Spagna non solo può, ma deve trattare con la Catalogna l’indizione di un referendum, visto che è questa la volontà che ha espresso il popolo catalano, espressa anche alle urne lo scorso 25 novembre (quando sono stati votati partiti indipendentisti, tra cui il partito di maggioranza CiU e il partito di sinistra ERC). Speriamo che lo Stato spagnolo se ne convinca.

Leggi questo articolo in francese, tedesco, inglese o spagnolo


Cercle Català de Negocis

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sabato 16 febbraio 2013

Kosovo sì, Catalogna no. Assurdo!

I subgovernatori delle varie nazioni e i veri padroni del vapore UE sono nel panico e devono assolutamente trovare il modo di non riconoscere alcun valore alla volontà del popolo catalano.
A far loro paur
a non è tanto il destino di Barcellona e dintorni, ma l’effetto domino che si propagherà immediatamente sul resto d’Europa ad incominciare dal Veneto e dalle Fiandre. Naturalmente i camerieri di Bruxelles e gli scopini delle varie capitali sono all’opera per arginare il tutto, ma spesso la toppa è peggiore del buco e una delle frasi più demenziali pronunciate dai tecnocrati è che la Catalogna non è il Kosovo e non ha i requisiti per l’indipendenza.
Di fronte a questa scemenza assoluta molti tacciono e qui c’è da imbestialirsi perché occorrerebbe far presente che è il Kosovo a non avere nessuno diritto e se alla fine persino il Kosovo è stato accettato come stato autonomo, la Catalogna non si deve nemmeno discutere.
Perché? Perché i kosovari, immigrati di recente dall’Albania, si sono proclamati indipendenti su una terra non loro (fino alla fine degli anni ’60 il Kosovo era al 90% serbo) mentre i catalani chiedono la libertà della PROPRIA patria. Non basta? I kosovari albanesi, una volta autonomi han cacciato con la violenza tutte le minoranze, mentre i catalani non si sognano di farlo, così come Barcellona rimarrà sempre un centro di cultura e legalità europea mentre il Kosovo islamizzato è diventato una Tortuga, uno Stato-Mafia al centro di mille traffici illeciti. Eppure i delinquenti sono stati esaltati e aiutati e gli onesti sono osteggiati.
 

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martedì 12 febbraio 2013

I sindaci di Galiffa e Alella non pagano più le tasse a Madrid

 
In attesa del 23 gennaio, giorno in cui il Parlamento Catalano dovrebbe approvare il documento necessario ad indire il referendum d’indipendenza nel 2014, si vivono ore convulse.
Da un lato infatti la riunione di ieri tra i 5 partiti pro-referendum non ha prodotto neppure una bozza a causa delle bizze dei socialisti catalani e dovrà essere riprogrammata lunedì, dall’altro invece ci sono cittadini e sindaci ormai scatenati sulle orme del sindaco di Gallifa che già da tempo non versa le tasse comunali al governo centrale ma all’agenzia tributaria di Barcellona.
Stavolta con lui a Barcellona c’erano anche il primo cittadino di Alella, membro di ERC, che ha versato 43.000 € (nella foto all’agenzia tributaria) e una quarantina di cittadini che hanno deciso di emularlo seguendo i consigli di “La Catalogna dice basta” la cui pagina internet ricca di consigli sulla fiscalità alternativa e su altre forme di rivolta legale alla Spagna è ormai popolarissima.

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giovedì 7 febbraio 2013

Catalogna, secessione in corso

Con la “Dichiarazione di sovranità” della scorsa settimana, il Parlamento regionale catalano ha compiuto un altro passo verso la secessione dalla Spagna. Nulla di irreversibile, per ora: ma l’assommarsi di tanti piccoli passi rende sempre più difficile fare marcia indietro. Anche perché ormai a questo cammino ha legato interamente il proprio destino politico il presidente della Catalogna, Artur Mas, in carica dal 2010.

L’erede di Jordi Pujol, indiscusso capo della regione dal 1980 al 2003, guida un governo di coalizione tra il suo partito, Convergenza e Unione – nazionalisti (ex) moderati –, e la sinistra repubblicana, con l’appoggio esterno, tra gli altri, del Partito socialista catalano, branca locale del Psoe nazionale. Nell’autunno scorso era andato a elezioni anticipate, con il dichiarato proposito di ottenere una maggioranza forte a favore del suo progetto indipendentista.

Ai seggi la coalizione governativa ha invece registrato a sorpresa un leggero regresso, pur conservando la maggioranza: Mas, con una giravolta, ha dichiarato di ritenere comunque sufficiente l’investitura per procedere sulla sua strada, e ha annunciato un referendum indipendentista per il 2014. La “Dichiarazione di sovranità” del 23 gennaio ne è la premessa: il Parlamento di Barcellona (la Generalitat de Catalunya) si è proclamato unico titolare delle scelte in merito all’appartenenza nazionale dei catalani, considerando quindi l’appartenenza alla Spagna una condizione provvisoria e comunque revocabile.

Il gioco di Mas è arrivare a una secessione controllata, che consenta alla Catalogna di uscire dalla Spagna ma di rimanere al tempo stesso dentro l’Unione Europea e l’euro: un piano ambizioso che molti reputano fantasioso. Chiariscono per esempio i giuristi Francisco Sosa Wagner e Mercedes Fuertes: «L’indipendenza comporterà l’automatica esclusione dall’Unione Europea» con catastrofiche conseguenze sulla mobilità di persone e merci e l’immediata interruzione dei finanziamenti di Bruxelles, che condurrebbero la Generalitat alla bancarotta.
Intanto in Catalogna la secessione procede nei fatti. In tutta la ragione è pressoché impossibile trovare una singola scritta in spagnolo; alla castiglianizzazione di Stato degli anni Franco è seguita una volatile fase di equilibrato bilinguismo, e da anni ormai la catalanizzazione impera. Con non pochi problemi. Non esistono dati certi sui reali rapporti linguistici tra la popolazione delle quattro province; i catalonofoni sono comunque tutti bilingui, sebbene sempre più spesso facciano finta di non capire il castigliano.

Il problema linguistico investe in particolare l’ambito della pubblica amministrazione – dove in genere il catalano è unica lingua, specie a basso livello – e soprattutto della scuola. Dall’asilo all’università, chi vive in Catalogna fa molta fatica a trovare aule dove si parli la lingua di Cervantes, con effetti di fatto discriminatori sia nei confronti di chi proviene da altre regioni della Spagna, sia della significativa massa di immigrati stranieri, provenienti per lo più dai Paesi dell’America latina.

Per questo Barcellona contesta la nuova legge nazionale sull’educazione, che impone almeno un minimo di insegnamento del castigliano nelle scuole del regno. D’altro canto, la politica linguistica seguita dalla Generalitat ha consentito lo sviluppo di una fiorente editoria catalana, sia come produzione originale sia come traduzioni. La “catalanità” domina anche sul piano visivo: sono innumerevoli i balconi dai quali è esposta la bandiera catalana, nelle sue tre varianti – nazionale, indipendentista, comunista – e al tempo stesso quella spagnola è pressoché invisibile.

Tra i comuni catalani ha preso piede l’iniziativa di proclamarsi “liberi” dalla Spagna. Sono già quasi duecento – incluse città come Vic o Tortosa e anche uno dei quattro capoluoghi provinciali, Girona – i sedicenti “territori catalani liberi”: con delibera ufficiale, in questi comuni sono normali giorni lavorativi le feste nazionali del 12 ottobre (Giorno dell’ispanità) e del 6 dicembre (Giorno della costituzione), sostituiti da ricorrenze locali in altre date. Un po’ come se in Italia una Regione proclamasse non festivi il 25 aprile e il 2 giugno. La difficile congiuntura economica influisce sugli aneliti indipendentisti, ma in maniera non lineare né facilmente decifrabile.

Mas e compagni promettono che l’indipendenza farà da volano a un’impennata economica, soprattutto grazie al venir meno dei trasferimenti di risorse verso lo Stato centrale (la Catalogna paga di tasse più di quanto riceve da Madrid, sebbene abbia un bilancio in grave deficit). Ma se l’indipendenza comportasse – come pare probabile – l’esclusione dall’euro, allora le ricadute sarebbero gravi. Come anche le ultime elezioni regionali hanno dimostrato, questi continui strappi della politica paiono più trainare che seguire gli umori della popolazione.

Le strombazzate partite della “nazionale” di calcio catalana (sostanzialmente, il Barcellona con qualche innesto) attirano poco pubblico nonostante i campioni in campo. E per strada si sente parlare più castigliano che catalano anche nelle roccheforti nazionaliste come Girona. Il ricorso alla lingua locale appare anzi più radicato – per l’appunto con finalità politiche e identitarie – tra le classi più elevate. Non è raro che in famiglia o tra amici si parli correntemente in castigliano, per poi passare quasi automaticamente al catalano non appena ci si trova in contesti pubblici. 
È ancora presto per capire dove porterà la fuga in avanti di Mas, il cui governo è appannato da pesanti sospetti di corruzione che sfiorano lo stesso Mas e perfino lo storico “padre della patria”, l’ottuagenario Pujol. A Madrid il governo popolare di Rajoy lascia fare: il presidente ha liquidato la “Dichiarazione di sovranità” sostenendo che ha «zero effetti giuridici». Ha così evitato di sollevare la questione davanti alla “corte costituzionale” spagnola come pure chiedono con insistenza oltre il 70% degli spagnoli (secondo un sondaggio El Mundo/Sigma Dos) e vari settori del Partito popolare, che in Catalogna è rimasto l’unico convinto alfiere dell’unità spagnola. Intanto ha registrato la nuova richiesta di aiuti finanziari da parte della Catalogna: dopo aver ripianato l’anno scorso un debito di oltre cinque miliardi, quest’anno il conto è salito a nove.

Edoardo Castagna
Fonto:Avvenire

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venerdì 1 febbraio 2013

Intervista a Help Catalonia



TV Interview with two Help Catalonia volunteers in 'Al cap del dia' with Vicent Sanchis and Antònia Castelló. Vicent Sanchis is Professor in journalism at Ramon Llull University, Editor/Publisher of El Temps magazine, columnist and author. Full video:

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