giovedì 28 novembre 2013

Tutti quelli che ci lasciarono per non lasciarci mai


Domenica, 20 ottobre: 35° Incontro del “Colle de la Manrella”, in ricordo e in omaggio al Presidente Companys e a tutti gli esiliati e vittime della guerra del disastro nazionale.
L’anno 1945, Francesc Trabal, dal Cile, scrisse delle righe perfette, forse il miglior riassunto per farci capire cosa fu una patria strappata e la tragedia del grande esodo di un popolo. Tutto l’esilio in una sola lettera. Dice così:
“Un giorno, Anna Maria, comprenderai perchè ti parlo di queste cose, cose che forse avrai visto oppure no, ma chissà se ti sarai accorta che sono tutte Catalogna, la stessa Catalogna che un giorno di un mese di gennaio lasciavamo porgendo la schiena alla Francia, al di là di Agullana (...). La lasciavamo e non sapevamo se era per sempre. E ci siamo fermati prima di dirle addio.

Eravamo un gruppo di catalani che lasciavamo tutte quelle cose per difenderle. Eravamo muti allora perchè sapevamo che un grido, una parola pronunciata in catalano avrebbe provocato una catastrofe: saremmo caduti in ginocchio, chissà, senza il coraggio di voltare la schiena. Nessuno pronunciò parola. Dritti, sopra la cima, i capelli ricevendo l’ultima carezza dei nostri Pirenei, avevamo le bocche chiuse, il cuore stretto, l’anima asciutta. Quanto tempo siamo rimasti così? Nessuno potrà mai precisarlo. Vedevamo le fiamme di un gruppo di paesini giù nella valle e sentivamo il suono delle bombe e le cannonate. Più vicino si sentivano già gli spari dei fucili. Nessuno proferiva parola. Guardavamo lontano, lontano... così lontano quanto il nostro sguardo permetteva. Tu non lo sapevi ma in quell’istante ti abbiamo vista, ti vedevamo. Tu non lo sapevi, non potevi sospettare nulla, non avresti compreso niente. Ma lasciavamo la Catalogna per te. Per difenderti. Per restiuirti la Catalogna che stavamo portandoci via. Non sapevamo andarcene. Stavamo zitti per poterti ridare la parola. Conservavamo la lingua, che stavano per strapparti. Non sapevamo se saremmo potuti tornare. Non sapevamo, non sappiamo se un giorno potremo tornare da te, ma sapevamo, sappiamo, che la lingua catalana sarebbe ritornata a te, che la lingua catalana sarebbe stata la tua lingua, che tu eri Catalogna e se ti lasciavamo era per non lasciarti. (...) Uno di noi si accuciò, si mise in ginocchio con calma e baciò la terra. Non ricorderai mai che in quell’istante la tua mano piccola aveva toccato le tue labbra e una sorta di pulviscolo dolce ti aveva sfiorato: tutti noi, quelli che andavamo via, che non sapevamo se era per sempre, avevamo appena baciato te. Era l’addio, era l’arrivederci? Affinchè un giorno tu potessi comprendere, ci disponevamo (...) a seguire la via della strada più lunga, se così potevamo salvare la tua voce.

In quel momento non sentivamo nostalgia. Dritti di fronte alla Catalogna, muti, conservando nel cuore il tesoro della nostra lingua sentimmo, questo si, una grande tristezza, un’infinita tristezza. Non avevamo l’impressione di lasciare la Catalogna, che sentivamo con noi, se eravamo o credevamo di essere noi. Ma mai come allora, come fino ad allora, ripetevamo con unzione e di cuore queste parole: «Dolce Catalogna... patria del mio cuore». Ogni lettera era una lacrima, ogni sillaba un pianto. Dolce Catalogna... Avremmo saputo conservarla degnamente? Avremmo saputo restituire la Catalogna che stavamo portando via alla Catalogna che rimaneva? Allora, Anna Maria, non sapevamo se saremmo stati degni di quella nostalgia. Scendevamo in terra francese, sacerdoti di una causa santa. Nessuna parola fu detta. Ma i nostri cuori ripetevano a bassa voce: «patria del mio cuore», «patria del mio cuore», «patria del mio cuore»...

Francesc Trabal, 1945. Dolce Catalogna, patria del mio cuore...Ad Anna Maria [sua nipote], perchè un giorno potesse comprendere.

Domenica renderemo omaggio al presidente Companys, ma anche a tutti i Franceschi  Trabal del mondo, tutti quelli che ci lasciarono per non lasciarci mai.

Quim Torra – El singular digital - 17/10/2013

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