giovedì 23 gennaio 2014

La grande virata riassunta in sei tempi – Le chiavi del processo




Come si è prodotto il cambiamento sociale che ha portato la Catalogna dove si trova adesso? Ci sono 6 momenti fondamentali che lo spiegano. Un rappresentante politico catalano sale sulla tribuna degli oratori del Congresso dei Deputati e pronuncia le seguenti parole: "Le carte sono sul tavolo, scoperte, non ci sono da parte nostra nè carte nascoste nè carte segnate, abbiamo parlato con voce chiara e ferma, pacificamente, democraticamente, rispettando le leggi. Adesso tocca a Voi onorevoli di parlare, Vi invito a farlo con senso dello Stato con la “s” maiuscola, lasciando da parte interessi di corto respiro". Ve lo ricordate? Questa scena fu protagonizzata dal presidente Artur Mas nel 2 novembre del 2005.

E’ molto importante, per capire quello che sta succedendo oggi, rivivere quella giornata di quasi dieci anni fa. E ricordare l’euforia ed il legittimo orgoglio che sentiva la popolazione catalana per il fatto che la sua classe politica era stata capace di mettersi d’accordo per redigere un nuovo Statuto che, in quel momento, iniziava il suo percorso nel Parlamento spagnolo con tre brillanti discorsi, quello di Mas, quello di Josep Lluís Carod-Rovira e quello di Manuela de Madre, tutti con un messaggio di mano tesa.

La Catalogna offriva un patto alla Spagna per chiudere delle vecchie ferite e camminare insieme almeno durante un’altra generazione ancora. La solennità di quelle parole, però, la grandezza del momento storico, non fece breccia nelle file del PP. In un momento del dibattito, Artur Mas avvertiva direttamente Mariano Rajoy sui rischi di chiudere la porta alla Catalogna. Lo avvisò guardandolo in faccia. Il politico galiziano fece lo gnorri perchè aveva già deciso che la Catalogna sarebbe stata la sua leva per tornare al potere. Rajoy, senza saperlo, quel giorno piantò il seme di una rivoluzione sociale senza paragone in Europa.

Seconda scena

Autunno del 2007, il caos dei treni pendolari catalani indigna la popolazione

Nella mattinata del 15 ottobre del 2007 gli utenti di Renfe (ferrovie dello stato) che aspettavano nella stazione di Bellvitge videro come una voragine provocata dai lavori per la TAV rendeva inutili tutti i binari eccetto uno. Il caos che si produsse a partire da quel momento, e che coinvolse centinaia di migliaia di persone, portò alla luce una realtà che fino ad allora era rimasta nascosta: lo stato penoso della rete (chiamata Rodalies = prossimità) dei pendolari catalani, soprattutto paragonandola con quella di Madrid.
Soltanto una cifra: nel 2009, con soltanto un 9% meno di popolazione, la rete catalana trasportava gli stessi utenti, 400.000, della madrilena... dell’anno 1989! Durante questi 20 anni Madrid aveva costruito gallerie e aveva raddoppiato tutte le ferrovie mentre in Catalogna circolavano ancora con catenarie degli anni 30, come riconobbe lo stesso Zapatero in Congresso. Dal catalano pieno di speranza si passava al catalano incavolato, che di colpo fu cosciente dell’abuso economico dello Stato nei confronti della Catalogna: autostrade a pagamento, baracche per le scuole, liste di attesa nella sanità.. L'opinione pubblica fece un giro di 180°. E tutto perchè Zapatero potesse inaugurare la TAV prima delle elezioni.

Terza scena

Un piccolo municipio della zona del Maresme inizia la rivoluzione

Il 4 giugno del 2009, la sessione plenaria municipale di una località del Maresme di 8.000 abitanti prese una decisione che, con il senno del poi, sarebbe diventata di vitale importanza. Arenys de Munt approvò di fare una consultazione nel proprio comune sull’indipendenza della Catalogna il 13 di settembre su proposta dei consiglieri della CUP. La notizia inizialmente rimase inosservata, ma la vicenda riprese importanza verso l’estate quando il gruppo di estrema destra Falange annunciò una manifestazione e il partito Ciutadans diede inizio ad un’offensiva legale contro la consultazione. Alla fine, il tira e molla giudiziario occupò le prime pagine e gli informativi dei mezzi di comunicazione spagnoli, facendo che il giorno della consultazione, arrivassero decine di giornalisti stranieri accreditati per seguire la giornata, nella quale si raggiunse una partecipazione del 41% del censo.
Le consultazioni comunali si diffusero rapidamente in tutto il territorio con diverse ondate fino ad arrivare al 10 di aprile del 2011 a Barcelona. Quella mobilitazione fu importante, fondamentalmente, per diversi motivi. Il primo, perchè mise in contatto molta gente che, più tardi, si sarebbe “arruolata” nell’Assemblea Nazionale Catalana. Il secondo, perchè diede visibilità internazionale al conflitto. Ed in terzo luogo, perchè per la prima volta l’indipendentismo osava, con un semplice parasole ed un’urna, di fare campagna nelle zone del hinterland di Barcellona, con popolazione maggioritariamente arrivata dal resto della Spagna e castiglianoparlante. E, contro i cattivi presagi di alcuni, non c’è stata nessuna frattura sociale.

Quarta scena

La sentenza dello Statuto: un’umiliazione collettiva

Una delle massime del generale Sun Tzu abitualmente ignorate dai politici spagnoli è: "Non pressare il nemico fino a farlo sentire in un angolo senza uscita. Quando le bestie selvatiche si sentono braccate lottano con disperazione". Secondo Tzu, perseguire la vittoria totale e l’umiliazione del nemico può ritorcersi contro te stesso . Questo è il messaggio che, in un modo o nell’altro, trasmise il presidente catalano di allora, Montilla, a José Luis Rodríguez Zapatero, nei mesi previ alla sentenza del Tribunale Costituzionale contro lo Statuto.
La tesi di Montilla, spiegata nel suo famoso discorso della "disaffezione", era che se dopo quattro anni di rumori e lotte intestine, un tribunale politicizzato e screditato alterava la volontà di un popolo espressa in un referendum, l’umiliazione collettiva che avrebbero sofferto i catalani sarebbe stata così grande che il problema sarebbe potuto diventare irrisolvibile. Nessuno lo ascoltò. E la massiccia manifestazione del 10 luglio del 2010 fu soltanto un assaggio de quella che sarebbe arrivata dopo, nella Diada del 2012.

Quarta scena

Un Governo asfissiato ed obbligato a tagliare, chiede il riscatto

Nell’estate del 2012 Artur Mas dovette prendere una decisione umiliante: richiedere il riscatto economico al governo spagnolo. La Catalogna, che rappresenta il 15% della popolazione spagnola, il 20% del PIL e il 25% delle esportazioni, e che vede come ogni anno vanno a Madrid tra i 12 e i 16 miliardi di euro senza tornare, doveva pagare gli stipendi dei propri funzionari. Tutto questo dopo aver fatto tagli sulla spesa sociale per un valore di oltre 5 miliardi.


Una delle chiavi di volta della rivoluzione catalana è che la crisi ha reso palese che l’autogoverno catalano, senza capacità autonoma di riscuotere le tasse, è una finzione. Se a questo si aggiunge la politica ricentralizzatrice dello Stato, che vuole la soppressione di organismi storici catalani come la “Sindicatura de Comptes” organo di controllo finanziario catalano, il cocktail diventa esplosivo.

Sesta scena

La società civile si posiziona sulla prima linea della rivendicazione

Si dice che uno dei principali errori di Hitler fu quello di sottovalutare il coraggio dei soldati americani. Allo stesso modo, Madrid non ha scoperto fino alla Via Catalana -la catena umana che ha percorso il paese da un estremo all’altro, con più di un milione e mezzo di persone per strada nell’ultimo 11 settembre- il potere organizzativo e di convocazione dell’Assemblea Nazionale Catalana.

Questa storia non si capisce senza personaggi come Ferran Civit e Ignasi Termes, capaci di creare un’infrastruttura necessaria per coordinare più di 25.000 volontari che parteciparono e che fecero diventare quella mobilitazione un esempio di civiltà e di disciplina collettiva senza precedenti.
Per un momento perfino sembrava che Madrid avrebbe reagito di fronte a quella esibizione. Ma fu un fugace miraggio.
Ara.cat

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