domenica 16 febbraio 2014

Ultima mano tesa allo Stato per la consultazione

Il Parlamento approva con 87 voti su 135 -tre sono del PSC- di chiedere al Congresso dei Deputati spagnolo di poterla convocare, dopo un dibattito che mostra i due blocchi.


Minuti dopo la fine della seduta plenaria di ieri nel Parlamento catalano, e quando i corridoi ancora bollivano per la spaccatura socialista, la presidentessa della Camera, Nuria de Gispert, si è ritirata nel suo ufficio. Sopra la scrivania ha trovato una lettera, in catalano ed in castigliano, per il suo omologo del Congresso, Jesús Posada. L’ha firmata e vi ha allegato, anch’essa tradotta, una proposta di legge organica facendo appello all'articolo 150.2 della Costituzione per trasferire alla Catalogna le competenze per organizzare un referendum consultivo per decidere il suo futuro. L’iniziativa ha appena ottenuto il sostegno di 87 (su 135) deputati catalani. Quelli di CiU, ERC, ICV-EUiA e tre dissidenti del PSC, i quali hanno disobbedito alle indicazioni di voto del leader Pere Navarro e si sono aggiunti alle forze catalaniste per esaurire la strada dell’accordo. La lettera di De Gispert è l’ultima mano tesa.

Per i sostenitori del diritto a decidere, si tratta di un’offerta per accordarsi su un anelito maggioritario nel paese e, per il blocco del no (43 voti), e in particolare, per il capo dell’opposizione Alicia Sánchez-Camacho (PP), l'inizio di un "cammino politico di CiU e ERC" verso l’indipendenza. Mariano Rajoy torna ad avere l’ennesima richiesta di dialogo. Se continua a rifiutare perchè considera non negoziabile la "sovranità nazionale" non riceverà altre offerte formali.

I sostenitori della consultazione sono ancora disposti a trattare in qualsiasi momento e sanno che, se el processo prospera, ci sarà bisogno di dialogo con lo Stato, per esempio, al momento di dividersi gli attivi e passivi in caso d’indipendenza. Se, come si prevede, il PP e il PSOE si alleeranno e disattenderanno la richiesta per fare la consultazione sotto la legalità spagnola, i sostenitori del diritto a decidere si sentiranno più legittimati ad andare avanti unilateralmente. Il presidente Artur Mas ha sempre parlato de consultazione "concordata oppure tollerata". Rajoy non si siederà a parlare della prima possibilità e, sulla seconda, cioè una consultazione il 9-N con una legge catalana, ha lasciato un chiaro messaggio e cioè che, se Mas la convoca, non ci metterà "neanche un minuto" a portarla davanti al Tribunale Costituzionale, dove il precedente della proposta Ibarretxe (tentativo del Paese Basco) porta sicuri al veto.

E qui è dove appare la consultazione a tutti i costi con lo scontro dei treni ovvero le elezioni plebiscitarie e subito dopo la dichiarazione unilaterale di indipendenza, nel caso di maggioranza chiara.

Votare in ogni caso

Ieri il presidente del gruppo CiU, Jordi Turull, ha indicato che, quando si esaurisca il meccanismo "legale e concordato", ci sono altre quattro possibilità per garantire che venga esaudito il mandato democratico e l’accordo sulla data e la domanda. ERC, ICV-EUiA e la CUP hanno parlato di fare la consultazione in ogni caso. La segretaria generale di ERC, Marta Rovira, ha solennizzato che si tratta "dell'ultima opportunità di rispondere" da parte dello Stato perchè già le “abbiamo tentate tutte”. E se la risposta è negativa, ha detto: "Deve essere esplicita e fare il giro del mondo per caricare il nostro zaino di ragioni e legittimarci a continuare". "Esaurire la strada legale spagnola ci dà legittimità per continuare", ha detto la portavoce di ICV, Dolors Camats.

Il processo ha bruciato una nuova tappa e lo ha fatto, di nuovo, con ampia maggioranza.

Per Sánchez-Camacho, si tratta di poca cosa in quanto non si arriva ai due terzi, cioè i 90 deputati che, ad esempio, sono necessari per approvare uno Statuto. Questo però è questionabile, in quanto i tre deputati de la CUP non si sono astenuti rifiutando il processo ma, anzi, loro pensano che chiedere l’autorizzazione sia una perdita di tempo e serva solo a legittimare lo status quo della Transizione. "Vogliamo esserci e accompagnare ma non apparteniamo a questo mondo, siamo stati contro la Costituzione e gli statuti. Vedremo andare via il convoglio dell’accordo con Madrid e vi aspetteremo in banchina per proseguire il viaggio", ha ammesso Quim Arrufat.

Il dibattito ha indicato due blocchi molto definiti, e questo fa stare a disagio alcuni settori di ICV e di Unió. Il PSC ha iniziato la legislatura dicendo che si sarebbe astenuto su tutte le questioni riguardanti il diritto a decidere, sucessivamente aveva detto di sí alla sollecitazione di una trattativa tra governi per la consultazione e ieri ha detto no all’ultimo tentativo di forzarla. Il suo portavoce, Maurizio Lucena, ha messo in scena alla perfezione il giro di vite affermando che quelli che sono stati compagni di viaggio del PSC in precedenti governi, accordi di finanziamento, statuti o modelli linguistici non fanno altro che "rendere più difficile la consultazione". Per lui, è sufficiente una riforma federale con una consultazione che si farà quando "le condizioni [non specificate] in Catalogna e in Spagna lo permettano".

Il PSC arrivava, dunque, alla sessione spaccato. Per fortuna per il leader Navarro, nessuno ha infierito troppo, nè i vecchi compagni nè i nuovi, PP i C's. La tensione era al massimo. Il giorno prima il sindaco socialista della città di Lleida, Angel Ros, aveva consegnato le sue dimissioni da parlamentare e alcuni di quelli che obbedivano Navarro continuavano a esprimere contrarietà e discrepanza, come Rocío Martínez-Sampere. Tre deputati si sono schierati per il sí ed il primo segretario, che preferisce un partito unito ed allineato con il PSOE spagnolo più degli antichi –e adesso più difficili - equilibri tra le due anime, pretende che Joan Ignasi Elena, Núria Ventura e Marina Geli diano le dimissioni da deputati. Loro, però, attaccati agli impegni programmatici, dicono che rapprentano l’elettorato socialista e vogliono continuare a farlo.

Albert Rivera e Sánchez-Camacho esigevano i promotori della consultazione di lasciar perdere quando il Congresso dirà di no. Secondo la leader del PP, continuare implicherebbe fratturare la società, che già adesso "lo è come mai prima". Si è detta difenditrice dei catalani che hanno radici fuori dalla regione, alieni o contrari, secondo lei, al processo.

Arrufat l’ha accusata di "patrimonializzare" l’immigrazione. Nè lui nè gli 87 deputati che hanno votato sí getteranno la spugna.


Ferran Casas 
'Ara'

0 comentaris:

Posta un commento