domenica 16 febbraio 2014

Puerto Rico : Lasceranno votare i catalani?

Chi ha avuto occasione di dare uno sguardo alla stampa spagnola delle scorse settimane, in maniera particolare quella di Madrid, può aver avuto la sensazione di essere tornato indietro nel tempo, addirittura al 1898. I titoli dei giornali, poco imparziali e molto sensazionalistici, parlano di "minaccia del separatismo", non solo, i principali partiti politici si schierano da parte dello Stato che preannuncia una posizione "inflessibile" davanti a chi attenta contro "l’indissolubile unità della Spagna".

Questa volta, contrariamente a quanto successe nel 98, i separatisti non si trovano nel lontano Mar dei Caraibi, né in terra cubana, ma nella stessa penisola iberica: per essere più esatti in Catalogna. La minaccia percepita dai politici madrileni non viene dai machete sollevati dai mambises, i soldati cubani della guerra dell’indipendenza, ma dalla più democratica delle richieste: quella del voto. L’allarme ha raggiunto livelli d’isterismo quando i catalani hanno fissato una data per indire il referendum con il quale intendono decidere se continuare ad essere vincolati allo Stato spagnolo o se invece preferiscono organizzarsi come nazione indipendente. Dato che lo Stato centrale si rifiuta addirittura di parlare della questione, hanno deciso di convocare loro il referendum deliberativo.

La decisione è stata presa dai partiti politici che rappresentano la maggioranza dei catalani, quelli che, per di più, hanno oltre i due terzi dei deputati del parlamento della regione autonoma, fatto che ne garantisce l’approvazione. Dopo le trattative di rigore, hanno deciso di convocare il referendum il 9 novembre 2014. Ancora più importante di ciò che si è detto è che si sono messi d’accordo sulle domande che si faranno in occasione della consultazione popolare. In primo luogo si chiederà ai catalani se vogliono che la Catalogna sia uno Stato e, se la risposta è affermativa, si chiederà loro se vogliono che questo Stato sia indipendente.

Il processo di negoziazione interna che ha portato a fissare sia la data della consultazione popolare che il contenuto della domanda, è durato vari mesi. La maggior parte dei partiti appoggia l’indipendenza sebbene tra le file di Convergència i Unió, la coalizione oggi al governo, spicchi la figura del leader di uno dei partiti della coalizione, Unió Democràtica de Catalunya (UDC), che si inclina per una sorta di "libera associazione" con la Spagna. Proprio quest’ultima è la ragione della scelta di due domande, la prima che asseconda il volere di UDC e l’ultima quello degli indipendentisti.

Sebbene tale ambiguità possa dare adito a un esito non indipendentista – come ha fatto notare dall’Inghilterra un importante quotidiano londinese - la reazione del governo centrale è stata di assoluto rifiuto, negando di netto il diritto alla libera autodeterminazione. A questa posizione, che nega il principio di autodeterminazione dei popoli, si è unito il partito all’opposizione, Partido Socialista Obrero Español (PSOE), per cui davanti ai catalani si erge un vero e proprio fronte unito dei partiti nazionali spagnoli.

Tale muro di rifiuto, oggi più invalicabile che mai, è stato erto sin dal momento in cui i partiti catalani, incoraggiati dal referendum indipendentista accordato tra il Regno Unito e la Scozia, hanno preteso che gli venisse riconosciuto il "diritto a decidere" il loro futuro come nazione. Il muro innalzato a Madrid, finora non è stato in grado di frenare il processo indipendentista, semmai il contrario. Nonostante il governo centrale, di timbro palesemente conservatore, appoggiato dal PSOE, non abbia ceduto neanche un millimetro, i catalani hanno portato avanti il loro programma e ora si preparano a convocare unilateralmente il referendum indipendentista.

In Europa iniziano a farsi sentire voci che chiedono al governo spagnolo di adottare una posizione più conciliante, che riconosca la sua realtà multinazionale. Il Financial Times di Londra ha pubblicato un articolo prospettando quanto sopra indicato che ha avuto pochissima ripercussione in Europa e poca tra il governo spagnolo.

È curioso vedere come il Partito Popolare attualmente al governo sia il vero responsabile dell’attuale stato di totale disaccordo che si respira tra la Spagna e la Catalogna. Durante il 2004 e il 2005, quando il PSOE (Partito socialista) era al governo centrale, si portò aventi un processo molto serio che si concluse con l’approvazione di un nuovo statuto di autonomia per i catalani. Sebbene la legislazione approvata ovviamente non soddisfacesse gli indipendentisti, maggioritariamente raggruppati tra le fila del partito indipendentista Esquerra Republicana de Cataluña (ERC), rappresentava un passo avanti importante rispetto allo statuto precedente. Il nuovo testo riconosceva la nazione catalana e creava un quadro giuridico accettabile per la protezione e lo sviluppo della loro lingua, cultura e istituzioni storiche. Il processo, inoltre, fu molto partecipativo. Ebbe inizio nel seno del parlamento catalano, passò poi al Congresso dei Deputati, camera bassa delle Corti generali spagnole e, infine, fu approvato dai catalani attraverso un referendum.

Una volta terminato tale intenso processo, lo storico "problema catalano" è caduto nel dimenticatoio e tutto pareva indicare che lì sarebbe rimasto per molto tempo però, non appena approvato, lo statuto venne impugnato dal partito di destra all’allora all’opposizione (PP) e portato davanti alla Corte Costituzionale formata (allora come oggi) maggioritariamente da giudici conservatori che si preoccuparono di denaturalizzarlo, decretando la nullità di 14 articoli. Le disposizioni annullate furono proprio quelle vincolate alla lingua, la cultura e la nazione, unitamente ad altre che aumentavano le competenze del governo autonomo. Dopo quella sentenza il popolo catalano si sentì oltraggiato e il sentimento indipendentista divenne maggioritario. Si arrivò alla convinzione che non era possibile arrivare a un ragionevole accordo con Madrid e che le istituzioni catalane si potevano sviluppare soltanto a partire dall’indipendenza.

Com’è possibile vedere la degenerazione della situazione ha condotto all’attuale stato di cose. Oggi i catalani più che di autonomia, parlano d’indipendenza e la destra spagnola, che si è resa conto che la situazione è seria, è in preda all’isteria. Nessuno in realtà sa dove arriveranno. Durante il regime politico dittatoriale di Francisco Franco i carri armati avrebbero già circondato la Rambla di Barcellona, però ora la Spagna fa parte dell’Unione Europea e la soluzione militare non sarebbe ben vista. Per di più l’unica cosa che chiedono i catalani è che li si lasci votare e, di questi tempi, a una simile richiesta non si può rispondere imbracciando le armi.


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