Tra pochi giorni, la
presidentessa della Junta di Andalusia andrà in Catalogna per fare una campagna
contro il referendum convocato dal governo della Generalitat da tenersi il
prossimo novembre. Insieme a Rajoy e Rubalcaba, la Sig.ra Susana Díaz completerà
il tridente del “PPSOE” che tenterà di convincere i catalani, tutti gli
spagnoli e l’Europa intera che l’aspirazione dei catalani di decidere per conto
proprio non può assolutamente materializzarsi.
Alla nostra Susana sembra che l’Andalusia stia stretta e il fatto di dedicarsi
ai problemi andalusi non soddisfi più le sue aspirazioni. Por questo, da quando
ha fatto un salto nell’apparato del suo partito verso il centro dei riflettori di
questa farsa che è diventata la politica, si sta dedicando a ottenere protagonismo
dentro e fuori il PSOE esercitando un giacobinismo spagnolistico che in codesto
partito ha una lunga tradizione. Dato che l’idea di un "nuovo modello
produttivo" sembra abbandonata ed il futuro andaluso torna a proiettarsi
nel continuare ad essere un paese subalterno, quasi una colonia interna, con un’economia
basata sull’estrazione mineraria e l’edilizia (oltre, dovremmo supporre, al
turismo), alla signora presidentessa le rimane un sacco di tempo per avvolgersi
nella bandiera spagnola e dedicarsi a "diffendere la Spagna". E lo
farà nella, oggi, terra di missione, la Catalogna, come una nuova Agostina di
Aragona per “spagnoleggiare” rifiutando il diritto a decidere della
cittadinanza catalana.
Supponiamo che farà della propaganda per questa opzione federale che adesso
si è messo a difendere il suo partito e che nessuno, fuori e persino dentro di
esso, sa spiegare in cosa consiste. Ed oserà rivolgersi molto specialmente agli
andalusi che dovettero emigrare in Catalogna e che ora sono, loro ed i loro
figli, cittadini di questa nazione senza per questo dover rinunciare a sentirsi
andalusi (qualcosa che non capiranno mai quelli che confondono stato con
nazione ed integrazione sociale con perdita d’identità culturale) e che sono
gli stessi ai quali è stato rifiutato il diritto ad essere cittadini andalusi
oltre ad esserlo della Catalogna. Tenterà di convincerli affinchè adottino una
specie di “lerrouxismo” e si comportino come una quinta colonna spagnolista. Mi
sembra una manovra rozza e pericolosa.
Durante il biennio di destra della II Repubblica (anni 30), quando il
presidente della Generalitat, Lluis Companys, e altri dirigenti catalanisti
furono imprigionati nel carcere di El Puerto de Santa María per avere
proclamato lo Stato Catalano, Blas Infante ed i nazionalisti “liberali” andalusi
andarono a visitarli diverse volte e sostennero pubblicamente la loro causa.
Qualcuno dubita su quale sarebbe la posizione odierna di chi viene qualificato
da tutti come di "padre della
patria andalusa" sul diritto a decidere rivendicato da una indubbia maggioranza
di cittadini catalani? (Se qualcuno non è d’accordo sul fatto che si tratti di
una maggioranza, o non crede che molti di quelli che difendono tale diritto non
sono estrettamente indipendentisti, dovrebbe sostenere il referendum e così non
ci sarebbero più dubbi).
L’irruzione in Catalogna di Susana Díaz, che oggi non è soltanto una dei
dirigenti principali del PSOE (la qual cosa fa capire fino a che punto è
arrivato quel partito) ma anche la attuale presidentessa dell’Andalusia, non
risponde in alcun modo a interessi andalusi. Tra le altre cose, perchè ignora
che come popolo, come "realtà nazionale" (l’espressione la prendo dal
vigente Statuto di Autonomia), l’Andalusia ha lo stesso diritto di qualsiasi
altro popolo di porre sul tavolo, se ci fossero abbastanza andalusi disposti a
farlo, il proprio diritto a decidere (come adesso pretende di fare la Catalogna).
A decidere se, per fare le profonde trasformazioni di cui abbiamo bisogno:
economiche, sociali e politiche, ci conviene (o no) di avere strutture di stato
o confederali (come difendeva Infante) oppure basterebbe con l’attuale cornice
autonomica. Si può legittimamente discrepare su cosa sarebbe più adeguato e
cosa sarebbe un errore e si dovrebbe iniziare da studi rigorosi e apartitici
sulle conseguenze (e per chi) delle diverse opzioni, ma quello che non si può
rifiutare, per partito preso, a nessun popolo è il proprio diritto ad esprimere
liberamente l’opinione maggioritaria e che questa sia rispettata. Sia che si
tratti del Kosovo, del Sahara Occidentale, della Scozia, della Catalogna ... o
dell’Andalusia. Perchè ciò è, semplicemente, un diritto democratico (che, guarda
caso, il PSOE riconosceva prima della
riconversione durante la Transizione Politica).
Che la costituzione del 78 rifiuti il carattere plurinazionale dello Stato
Spagnolo è una povera argomentazione per squalificare il referendum del 9
novembre in Catalogna. Riflette soltanto le gravi insufficienze democratiche, in
questo come in altri temi, della propria Costituzione. E rivela il carattere
fortemente nazionalista di questa (nazionalista spagnolo). Se Zapatero e Rajoy
cambiarono in una notte uno degli articoli per soddisfare le esigenze del
capitale finanziario, che nessuno dica ora che non può essere riformata in un tema
come questo, che tocca a tutti i popoli peninsulari ed alla convivenza
reciproca tra di loro. Se non si propongono riforme legali per far sì che la
democrazia coincida con la legalità è perchè non lo si vuole fare. Anche su
questo, come in tante altre cose, l’unità tra il PP ed il PSOE è totale.
Isidoro
Moreno Navarro, docente di Antropologia Sociale e Culturale a
Siviglia. “Premio Andalusia di Ricerca Plácido Fernández Viagas su Temi Andalusi”
(2001) e “Premio Internazionale Etno-demo-antropologico Giuseppe Pitré” (2005) e
“Premio Fama” dell’Università di Sivilla
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