sabato 15 marzo 2014

“Spagnoleggiare” in Catalogna

Tra pochi giorni, la presidentessa della Junta di Andalusia andrà in Catalogna per fare una campagna contro il referendum convocato dal governo della Generalitat da tenersi il prossimo novembre. Insieme a Rajoy e Rubalcaba, la Sig.ra Susana Díaz completerà il tridente del “PPSOE” che tenterà di convincere i catalani, tutti gli spagnoli e l’Europa intera che l’aspirazione dei catalani di decidere per conto proprio non può assolutamente materializzarsi.

Alla nostra Susana sembra che l’Andalusia stia stretta e il fatto di dedicarsi ai problemi andalusi non soddisfi più le sue aspirazioni. Por questo, da quando ha fatto un salto nell’apparato del suo partito verso il centro dei riflettori di questa farsa che è diventata la politica, si sta dedicando a ottenere protagonismo dentro e fuori il PSOE esercitando un giacobinismo spagnolistico che in codesto partito ha una lunga tradizione. Dato che l’idea di un "nuovo modello produttivo" sembra abbandonata ed il futuro andaluso torna a proiettarsi nel continuare ad essere un paese subalterno, quasi una colonia interna, con un’economia basata sull’estrazione mineraria e l’edilizia (oltre, dovremmo supporre, al turismo), alla signora presidentessa le rimane un sacco di tempo per avvolgersi nella bandiera spagnola e dedicarsi a "diffendere la Spagna". E lo farà nella, oggi, terra di missione, la Catalogna, come una nuova Agostina di Aragona per “spagnoleggiare” rifiutando il diritto a decidere della cittadinanza catalana.
Supponiamo che farà della propaganda per questa opzione federale che adesso si è messo a difendere il suo partito e che nessuno, fuori e persino dentro di esso, sa spiegare in cosa consiste. Ed oserà rivolgersi molto specialmente agli andalusi che dovettero emigrare in Catalogna e che ora sono, loro ed i loro figli, cittadini di questa nazione senza per questo dover rinunciare a sentirsi andalusi (qualcosa che non capiranno mai quelli che confondono stato con nazione ed integrazione sociale con perdita d’identità culturale) e che sono gli stessi ai quali è stato rifiutato il diritto ad essere cittadini andalusi oltre ad esserlo della Catalogna. Tenterà di convincerli affinchè adottino una specie di “lerrouxismo” e si comportino come una quinta colonna spagnolista. Mi sembra una manovra rozza e pericolosa.

Durante il biennio di destra della II Repubblica (anni 30), quando il presidente della Generalitat, Lluis Companys, e altri dirigenti catalanisti furono imprigionati nel carcere di El Puerto de Santa María per avere proclamato lo Stato Catalano, Blas Infante ed i nazionalisti “liberali” andalusi andarono a visitarli diverse volte e sostennero pubblicamente la loro causa. Qualcuno dubita su quale sarebbe la posizione odierna di chi viene qualificato da tutti come di  "padre della patria andalusa" sul diritto a decidere rivendicato da una indubbia maggioranza di cittadini catalani? (Se qualcuno non è d’accordo sul fatto che si tratti di una maggioranza, o non crede che molti di quelli che difendono tale diritto non sono estrettamente indipendentisti, dovrebbe sostenere il referendum e così non ci sarebbero più dubbi).

L’irruzione in Catalogna di Susana Díaz, che oggi non è soltanto una dei dirigenti principali del PSOE (la qual cosa fa capire fino a che punto è arrivato quel partito) ma anche la attuale presidentessa dell’Andalusia, non risponde in alcun modo a interessi andalusi. Tra le altre cose, perchè ignora che come popolo, come "realtà nazionale" (l’espressione la prendo dal vigente Statuto di Autonomia), l’Andalusia ha lo stesso diritto di qualsiasi altro popolo di porre sul tavolo, se ci fossero abbastanza andalusi disposti a farlo, il proprio diritto a decidere (come adesso pretende di fare la Catalogna). A decidere se, per fare le profonde trasformazioni di cui abbiamo bisogno: economiche, sociali e politiche, ci conviene (o no) di avere strutture di stato o confederali (come difendeva Infante) oppure basterebbe con l’attuale cornice autonomica. Si può legittimamente discrepare su cosa sarebbe più adeguato e cosa sarebbe un errore e si dovrebbe iniziare da studi rigorosi e apartitici sulle conseguenze (e per chi) delle diverse opzioni, ma quello che non si può rifiutare, per partito preso, a nessun popolo è il proprio diritto ad esprimere liberamente l’opinione maggioritaria e che questa sia rispettata. Sia che si tratti del Kosovo, del Sahara Occidentale, della Scozia, della Catalogna ... o dell’Andalusia. Perchè ciò è, semplicemente, un diritto democratico (che, guarda caso,  il PSOE riconosceva prima della riconversione durante la Transizione Politica).

Che la costituzione del 78 rifiuti il carattere plurinazionale dello Stato Spagnolo è una povera argomentazione per squalificare il referendum del 9 novembre in Catalogna. Riflette soltanto le gravi insufficienze democratiche, in questo come in altri temi, della propria Costituzione. E rivela il carattere fortemente nazionalista di questa (nazionalista spagnolo). Se Zapatero e Rajoy cambiarono in una notte uno degli articoli per soddisfare le esigenze del capitale finanziario, che nessuno dica ora che non può essere riformata in un tema come questo, che tocca a tutti i popoli peninsulari ed alla convivenza reciproca tra di loro. Se non si propongono riforme legali per far sì che la democrazia coincida con la legalità è perchè non lo si vuole fare. Anche su questo, come in tante altre cose, l’unità tra il PP ed il PSOE è totale.

Isidoro Moreno Navarro, docente di Antropologia Sociale e Culturale a Siviglia. “Premio Andalusia di Ricerca Plácido Fernández Viagas su Temi Andalusi” (2001) e “Premio Internazionale Etno-demo-antropologico Giuseppe Pitré” (2005) e “Premio Fama” dell’Università di Sivilla

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