domenica 16 marzo 2014

La lingua catalana nelle scuole. Quando i giudici vogliono sostituirsi al Parlamento.

L’ultimo giorno dello scorso mese di gennaio, il Tribunale Superiore di Giustizia (=Corte Suprema) lanciava una bomba di precisione nel bel mezzo del sistema educativo della Catalogna rendendo pubbliche cinque sentenze interlocutorie, relative alle cause intentate da cinque famiglie, che pretendono di modificare completamente il progetto linguistico delle scuole catalane.


La Catalogna, come riconosce chiaramente la cornice costituzionale spagnola, è una comunità con due lingue ufficiali –il catalano ed il castigliano (o spagnolo). Fin dai primi momenti del recupero delle istituzioni democratiche e di autogoverno –dopo la lunghissima notte della dittatura franchista-, le autorità catalane scelsero, con il supporto della grande maggioranza delle forze politiche, di sviluppare un sistema educativo che avesse il catalano come lingua propria, a partire dal modello conosciuto come “immersione linguistica” nelle tappe della scuola materna e primaria. E, se l’anno scolastico 1984-1985, erano già 408 scuole primarie ad aver adottato questo modello –l’istruzione avviene in catalano ed il castigliano si introduce progressivamente-, nell’anno scolastico 1995-1996, visto il grande successo, arrivano a 1.280. La legislazione educativa posteriore universalizzava il modello, arrivando a più di 2.800 scuole primarie sostenute da fondi pubblici. L’istruzione secondaria, professionale e superiore ha un modello linguistico basato sui progetti concreti di ogni centro scolastico e nell’uso che ne fa il corpo docente, partendo dalla competenza bilingue piena che raggiungono gli alunni che hanno finito la scuola primaria.


Il modello di immersione linguistica –nato in Québec nel 1965, in una situazione arcinota di co-esistenza di due lingue- è stato l’asse portante del sistema educativo catalano, a partire da premesse fondamentali: favorire l’innovazione educativa; puntare sulla coesione sociale; evitare la segregazione per motivi di lingua; e consolidare una sola linea scolastica. Cercando di incidere anche nella normalizzazione della lingua catalana, non solo debilitata dal franchismo –che ne aveva vietato l’uso pubblico e che mai volle introdurne l’uso ufficiale nelle scuole-, ma che si trova ad un livello di inferiorità diglossica di fronte ad un’altra lingua con più parlanti globali e che, inoltre, è l’unica considerata ufficiale a livello statale ed ha un uso sociale più consolidato.


I risultati del sistema catalano dell’immersione sono stati riconosciuti positivi dal Consiglio d’Europa e nessuna autorità accademica li ha mai messi in discussione, nè locale nè internazionale: con la progressiva introduzione della seconda lingua, gli alunni catalani finiscono l’istruzione primaria con una conoscenza e competenza adeguate in ambedue lingue, il catalano ed il castigliano. Una buona prova di ciò è che, in tutte le ultime valutazioni dei test PISA (Programme for International Student Assessment dell’OCDE), gli alunni catalani hanno ottenuto, per quanto riguarda le competenze conoscitive della lingua castigliana, dei risultati superiori alla media spagnola.


L’opposizione all’immersione linguistica è, quindi, strettamente politica. Così, se guardiamo la composizione dell’attuale Parlamento della Catalogna, le forze politiche che propugnano il mantenimento dell’immersione linguistica ricevettero 72,30% dei voti e quelle che sono contrarie il 22,30 –tralasciando, ovviamente, le formazioni minoritarie che non raggiunsero la percentuale minima ed i voti bianchi o nulli. Per quanto riguarda i seggi ottenuti, le forze favorevoli all’immersione hanno 107 deputati e le contrarie 28. La maggioranza sociale e politica è evidente.


Una parte del problema risiede nel fatto che, tra i contrari, c’è il Partito Popolare –la quarta forza del nostro Parlamento, ma con maggioranza assoluta nello stato. La sua proposta è quella che è stata seguita nelle altre comunità autonome che condividono lingua propria con la Catalogna e dove il catalano –con le sue varianti- è lingua ufficiale, anche lì, a fianco del castigliano. Nel paese Valenziano e nelle Isole Baleari il sistema educativo prevede linee separate per gli alunni che scelgono l’istruzione in catalano da quelli che la scelgono in castigliano. Il risultato è che non tutti gli alunni che finiscono la scuola primaria hanno competenza nelle due lingue, senza per questo, ottenere risultati migliori in lingua castigliana. Nel paese Valenziano il governo –del Partito Popolare- offre, anno dopo anno, molte meno linee nella lingua propria di quante siano richieste dagli alunni e dalle famiglie. E nelle Isole Baleari –governate dallo stesso partito- l’amministrazione ha approvato una proposta linguistica che, in pratica, pretende di sopprimere le linee in lingua propria, che erano –su richiesta delle famiglie- assolutamente maggioritarie.


L’opposizione all’immersione è dunque, politica, ideologica e corrisponde alla volontà di mantenere la lingua catalana come lingua pubblica e sociale inferiore: la volontà reazionaria e post-franchista di annullare tutto quello che significa pluralità ed è diverso dalla loro concezione di una Spagna monocromàtica, una sola idea ed una sola lingua. Per questo le cinque sentenze interlocutorie del Tribunale di Barcellona significano un siluro contro la linea di galleggiamento del sistema educativo –e della coesione sociale che vuole garantire. I giudici indicano che, se lo richiede un solo alunno in classe, bisogna abbandonare il modello di immersione ed impartire, qualunque sia l’anno in cui ci si trovi, un 25% delle materie in lingua castigliana. E obbligano i dirigenti scolastici a rispettare questa indicazione.


Sono sentenze ideologiche, senza alcun fondamento giuridico. Perchè la cornice costituzionale spagnola chiarisce che l’autorità educativa della Catalogna è il proprio governo catalano; perchè la legislazione e le norme educative in vigore mantengono la immersione linguistica come componente del sistema nell’istruzione primaria; perchè i dirigenti scolastici dei centri educativi –siano essi pubblici o privati sostenuti con fondi pubblici- devono rispettare le direttrici curricolari e pedagogiche dell’autorità educativa... Un giudice non può modificare una legge –ma deve vegliare perchè venga applicata, le piaccia o meno. Un giudice non è competente ad assegnare percentuali linguistiche o curricolari. E, men che meno, un giudice non può obbligare nessun ufficiale pubblico nè dirigente di un centro scolastico sostenuto con fondi pubblici a non applicare le istruzioni che l’autorità da cui dipende le ha ordinato di applicare.


Questo in Europa non succede –diciamolo. E’ chiaro che nello stato spagnolo il potere giudiziario non visse la transizione dal franchismo al nuovo ordine della monarchia costituzionale, e ne restò ai margini. E l’attualità è piena di esempi quotidiani di risoluzioni giudiziarie figlie di questa realtà, a cominciare dal rifiuto ad indagare sui crimini del franchismo per offrire una riparazione alle vittime.


Ma, in Catalogna, abbiamo chiaro che con la lingua non si può giocare. Non si può imporre da una minoranza. Non si può modificare un modello di successo per la richiesta delle famiglie di 5 –o di 10, 15, 20...- dei nostri oltre 800.000 alunni di scuola materna e primaria. Neanche per volontà di alcuni giudici. Con tutto il rispetto. E tutta la fermezza.



Josep Bargalló

@josepbargallo

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