venerdì 6 dicembre 2013

«Rimanere nello Stato spagnolo comporta anche le sue conseguenze»



L’uscita dall’Unione Europea di una Catalogna indipendente ha monopolizzato una parte del dibattito di questa settimana. Dopo la scorsa “Diada”, siamo in una nuova fase del dibattito?

A nostro parere, stiamo entrando nella fase finale. Si tratta di qualcosa che avevamo previsto mesi fa. Adesso non ci sono dubbi sul fatto che la consultazione si farà, o una votazione. Quello che si sta scatenando adesso è una fase di forti tensioni tra la Catalogna e lo Stato spagnolo, con l’intensificazione della campagna della paura.

La paura, ad esempio, alla non appartenenza all’UE?

Dal “Circolo Catalano di Affari” (Cercle Català de Negocis) ci siamo chiesti sugli argomenti che si stanno utilizzando per continuare in Spagna, e gli unici che abbiamo trovato sono la paura ed i vincoli familiari e sentimentali. Nella precedente campagna della paura, dopo l’undici settembre 2012, si agitò lo spettro delle pensioni non pagate. E’ ormai assodato che era un argomento falso.

Adesso si tratta dell’Unione Europea. E’ innegabile che uno Stato che oggi esiste e ieri no, ha un ‘punto zero’. Fosse anche solo per un istante, quello Stato non sarà un membro dell’UE.

Ma in nessun punto del Trattato dell’UE se ne parla (sarà dentro o fuori?). Dipenderà dal fatto che si tratti di una separazione, dove le due unità hanno lo stesso trattamento, oppure di una segregazione.

Tutto sembra indicare che, da parte dello Stato spagnolo, sarà la seconda opzione. Per cui allora si rimane fuori?

Guardate: tutte le dichiarazioni istituzionali dell’UE di questi ultimi giorni possono essere spiegate con le pressioni ricevute dallo Stato spagnolo. Ma, quando arriverà il momento, l’UE farà una legge “ad hoc” per il caso catalano. Nel caso della Slovenia, per esempio, sia l’UE che i principali paesi dell’Unione ripetevano continuamente che non avrebbero riconosciuto la Slovenia indipendente. Ma, come ben sapete, ciò non accadde.

Il Governo spagnolo ha detto che porrà il veto per sempre all’ingresso di uno Stato catalano nell’UE.

Ancora gli argomenti della paura. Se l’indipendenza della Catalogna avviene a partire da una segregazione, ciò significa che lo Stato spagnolo non riconosce lo Stato catalano. Ma significa anche che lo Stato catalano non sarà obbligato a pagare il debito contratto dallo Stato spagnolo.

Insomma, se non c’è accordo, la Catalogna non pagherà neanche un centesimo di un debito firmato dallo Stato spagnolo. Non vi pare?

Sí. Ma a nessuno sfugge che, senza i catalani, la Spagna non può pagare il debito. Per cui, il buon senso dice che, alla fine, con la pressione delle urne, dovrà trattare.

Il buon senso non è una tradizione in Spagna. Sapete: «Meglio l’onore senza le navi che le navi senza l’onore».

Probabilmente la Spagna oggi continua ad agire con la stessa mentalità, certamente. Ma... chi comanda oggi nello Stato spagnolo? Con un atteggiamento così, addio al credito internazionale. Lo Stato spagnolo fallirebbe automaticamente e la Catalogna tratterebbe sullo stesso piano di uguaglianza con l’Europa. E non dico che ciò non possa accadere, ma è il fatto meno probabile.

Ma, immaginiamo la peggiore delle ipotesi. Non siamo nell’UE e non ci lasciano entrare. Cosa sucede alla nostra economia?

Succede che, a livello economico, essere o non essere dentro l’UE non è così importante. Quello che è più condizionante è l’euro e l’adozione di una moneta è una scelta assolutamente libera per uno stato.

E cosa succede con lo spazio Schengen per la libera circolazione delle persone e delle merci?

Non esiste alcun trattato che dica che, dopo l’indipendenza, dobbiamo rimanere fuori dallo spazio Schengen. Ma, anche se fosse, per entrare in esso non c’è bisogno di maggioranze assolute. Alla fine, la domanda che dobbiamo farci è: perchè si è costituita l’UE? Per avere un mercato più vasto. Per quale motivo dovrebbe prescindere di un mercato così importante come quello catalano? Questo va contro natura. Mettere tasse doganali, come proclamano alcuni con il discorso della paura, è antinaturale.

I promotori di BCN World non hanno parlato nè di euro nè di Schengen, ma dell’UE. Rimanere fuori è la loro linea rossa, il limite.

Bisogna ascoltare bene le dichiarazioni che ha fatto il Sig. Xavier Adserà, perchè lui dice precisamente che non è concepibile che la Catalogna esca dall’UE, non quello che hanno scritto i titolari dei giornali. E se gli investitori internazionali avessero paura dell’indipendenza della Catalogna, non saremmo (come siamo adesso) la seconda regione europea con più investimenti stranieri.

Il Cercle Català de Negocis è formato da piccole e medie imprese, dirigenti e professionisti. Le grandi imprese non si sono pronunciate su questo “processo”. Come interpretare questo silenzio?

Vero. Noi gestiamo numerosi studi. I sondaggi che sono stati fatti agli imprenditori, disegnano una maggioranza per l’indipendenza tra le piccole e medie imprese con una piccola minoranza che vuole rimanere così com’è. Sulle grandi imprese non lo sappiamo, perchè non si sono pronunciate. Ma abbiamo alcune tracce, come le dichiarazione del Sig. Joaquim Gay de Montellà [presidente della Confindustria “Foment del Treball Nacional”, che dipende dalla CEOE], il quale disse che bisognerà rispettare quello che deciderà la maggioranza.

Ma “Foment” non ha aderito al Patto Nazionale per il Diritto a Decidere.

Vedremo adesso. Non sfugge a nessuno che Foment, che è nella CEOE, riceve molte pressioni da determinate imprese spagnole, che formano una lobby.

Pochi anni fa, gli indipendentisti erano un gruppo relativamente piccolo. Quale ruolo ha avuto la ragione in questo salto sociologico? Si può essere indipendentista senza essere nazionalista?

Il salto che descrivete è dovuto soprattutto a una questione economica. Molti, quando hanno capito lo espolio fiscale subito, sono diventati indipendentisti e vedono l’indipendenza con pragmatismo. Ma adesso, nella fase che attraversiamo, gli argomenti non saranno più razionali ma emozionali.

La paura citata prima?

Si, ma questa paura non va solo in una direzione. Perchè rimanere nello Stato spagnolo ha anche delle gravi conseguenze. Decidere per la rimanenza nello Stato spagnolo significa restare nel peggior paese dell’Europa in disoccupazione. Esiste solo uno Stato nell’UE con un 27% di disoccupazione: la Spagna. E questo può provocare paura. Anche questo è da valutare.

C’è chi parla di dialogo. Oltre alla paura, potrebbe arrivare un’offerta in forma di accordo economico. Arriverebbe in tempo?

Si, una parte della popolazione potrebbe cedere davanti a una proposta del genere. Ma, in ogni caso, devono farla questa offerta e allora decideremo. Mi auguro che la grande maggioranza della gente non ci creda. Ma anche in questo caso, rimarremmo nel peggior Stato dell’UE. Di fronte a questo, noi proponiamo un progetto carico di speranza, qualcosa di completamente nuovo. Come fummo capaci di fare non solo dei Giochi Olimpici al primo colpo, ma i migliori Giochi della storia, adesso saremo capaci di fare questo. Dobbiamo infondere illusione per fare un nuovo paese e lavorare con sforzo per renderlo il miglior paese del mondo.

E’ la speranza di fronte alla decadenza.






Joan Canadell 
CCN – Cercle Català de Negocis
 
 
 
 
 
 







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