martedì 28 maggio 2013

Catalanismo prioritario



E’ già ora che la Catalogna la smetta di essere un secondo piatto ideologico e passi ad essere il primo. Mi spiego. Durante la Guerra Civile si “consigliò” al catalanismo di rinunciare a rivendicare la piena sovranità per diffendere la Repubblica. Bene, d’accordo: legittimo, logico e necessario. Lo stesso durante l’opposizione al franchismo. Durante la transizione, si chiese “responsabilità” al catalanismo per consolidare la democrazia e la Costituzione che, per inciso, sacralizzò l’unità indissolubile della Spagna con l’avallo dell’esercito. E va bene, tutto vada per la democrazia, compagni. Più tardi, la scusa fu l’entrata nella CEE (1986), dopo furono i Giochi Olimpici e, successivamente, l’entrata nell’euro. Adesso è l’uscita dalla crisi. Sempre apellandosi al nostro buon senso, sempre chiedendo che il catalanismo rinunci al discorso di rottura per “il bene comune”, per “l’interesse generale”, o per l’irritante “senso di Stato”. Questo sarebbe giusto se questa lealtà fosse stata reciproca. Ma, in cambio, ricevemmo la TAV solo 20 anni più tardi, e la lotta contro la lingua catalana, l’espoliazione fiscale ed un’autonomia politica che, al massimo, ci permette di scegliere due festività annuali.

Diversi fattori possono aver influito a questi freni. Per esempio, la buona fede europeista del presidente Pujol. Non possiamo imputargli nessuna cattiveria. Credeva che un nazionalismo controllato, avrebbe favorito l’entrata in Europa dello Stato, e con questo della Catalogna. Certo che ci furono delle rinunce (la prima fu il patto fiscale del 1978) ma i diversi governi spagnoli (a cominciare da quelli dell’UCD passando per quelli di Felipe Zapatero a quelli di Aznar) seppero approfittare di questo senso del dovere che aveva il Presidente Pujol. Adesso, perfino lui si è accorto dell’inganno e si è dichiarato indipendentista per eliminazione. E con lui, il partito di cui fu fondatore e dirigente: Convergenza Democratica. Nell’altro asse, e come secondo fattore, c’è stata anche una sinistra che si è dimostrata timorosa del potere della sinistra spagnola. Sempre con ... ahi,ahi,ahi,.... “insieme, che arriva la destra”. Era questo il loro “adesso non è il momento” particolare, questa volta mascherato con la giacca di velluto a coste. Questa sinistra che si è sempre fidata (quasi sempre in forma benevola anche) che dall’altra sponda del fiume ci fosse una sinistra spagnola che l’attendeva con le braccia aperte e con la chitarra a tracolla. Una sinistra che, però, è stata prima di tutto spagnola prima che sinistra, e che non ha mai perso il senso univoco dello Stato, che non si è mai creduta il federalismo, o almeno, non ha mai preso nessuna misura in questo senso mentre ha governato (dal 1982 al 1996 e dal 2004 al 2011). I Bardem e i Victor Manuel sono capaci di fare uno sciopero della fame per il Fronte Polisario e tacere davanti alla vergonya aberrante della Lapao o del reportage di Telemadrid.

Ebbene, sia pure per giustizia ma soprattutto, per una questione d’intelligenza, dignità e sopravvivenza, adesso sarebbe ora che la destra e la sinistra del nostro paese restituissero alla Catalogna questo debito ideologico. Non succederebbe niente, anzi, sarebbe uno sperimento molto salutare, che le destre e le sinistre nazionali si mettessero d’accordo su quello in cui già sono d’accordo: che la Catalogna ha il diritto a decidere ed ha il diritto –se così lo vuole, la maggioranza- di formare un nuovo Stato. E dopo, una volta raggiunto questo stadio, potremo tornare alle liti ideologiche. Torneremo a discutere su quante imposte ci devono essere, sul grado d’intervento dello stato, sulle prestazioni della sanità pubblica o se si devono chiudere le centrali nucleari. Ah!, ed anche sulla scelta del numero di festività annuali.

Jofre Llombart
@Jofrellombart

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