sabato 16 marzo 2013

Teresa Forcades, una suora fuori dal comune


Teresa Forcades (Barcellona, 1966) è dottoressa in Medicina  e dottorata  in Teologia.

Nell'anno 1997 diventó religiosa e da allora ha vissuto nel monastero di Sant Benet, a Montserrat.
La chiamata di Dio e la vita contemplativa, tuttavia, non sono stati degli ostacoli per diventare figura pubblica e mediatica che tiene conferenze da tutte parti  e si muove facilmente attraverso il mondo digitale. La suora benedettina parla in modo chiaro, difende il processo verso l'indipendenza della Catalogna ogni volta che sia collegato a una maggiore giustizia sociale. La Catalogna gode di un momento di trasformazione. Si propone la richiesta di indipendenza entro il 2014. La Catalogna ha una relazione con il resto dello stato spagnolo, che non è certo “ideale”. In termini economici, si può dire che diamo più di quello che riceviamo e che il governo centrale ci maltratta.  Inoltre, la Catalogna ha una storia e la rivendicazione di voler fare un'altra via, anche se lo stato trattasse noi nella miglior forma possibile.
Penso che la rivendicazione nazionalistica, nella sua forma sovrana, parte della volontà del popolo  Se questa volontà si esprime, non c'è nulla che possa fermarlo.  É cosí che intendo l'articolazione della volontá comunitaria. Abbiamo radici storiche, una lingua, ma soprattutto la volontà di costruire un altro futuro. E questa volontá di  futuro dovranno rispettarla. E’ l'essenza della democrazia.
¿Come dovrebbe farsi questa strada?
Se credo in un progetto della Catalogna indipendente è perché penso che si possa costruire una società con le linee guida della politica verso la giustizia sociale molto diverso da quella che abbiamo ora. L'Europa avrebbe dovuto andare da una parte e sta andando invece nella direzione opposta. Molte persone pensano che il sistema attuale sia un disastro. Ci sono 1.000 milioni di persone che soffrono la fame, ma buttiamo via tonnellate di eccedenze alimentari, conseguenza della sbagliata organizzazione, accumuliamo bisogni irreali e dimentichiamo quelli reali. La maggioranza delle persone ammettono che questo non funziona, ma dicono che non c'é niente a fare . Chi dice che non si puó fare nulla ?  C'é tanto da fare!
Quindi l'indipendenza deve essere collegata a una trasformazione sociale.
Se non é cosí non ha senso. L'indipendenza ha un senso se collegata a una maggiore giustizia sociale.
Una parte degli interessi dei potenti che non vuole cambiare l'attuale modello, riprende la polemica nazionalistica per deviare e nascondere il problema. Si parla dei nostri diritti, della lingua, del catalanismo. Sono aspetti importanti. Ma quello che dovrebbe essere riflettito come aspetto centrale é la trasformazione sociale. Non é possibile che continuino con gli sfratti, e che continuino a tagliare i servizi. Tutti dovrebbero avere in mente ché cosa é piú importante.


Vedete una Catalogna indipendente con maggior giustizia sociale in un breve periodo di tempo?
La chiave è la volontà del popolo. Se questa si  manifesta è irrevocabile. La sfida è come si può organizzare la volontà popolare. Nel corso della storia ci sono state minoranze che dominavano le maggioranze.
E come hanno fatto? Ebbene, con l'esercito, ma non solo con i militari. L'esercito è importante, ma non c'è mai stato sufficiente la violenza a dominare un gruppo. E’ sempre stato necessario l'elemento ideologico. Bisogna convincere la gente che non vale la pena lottare contro l'ingiustizia. Se invece si scopre che vale la pena lottare, non serviranno  a niente tutti i carri armati che hanno.
Se tutti hanno chiaro questo, in 24 ore tutto può cambiare. Ma dobbiamo essere consapevoli della sfida e delle difficoltà. E’ molto urgente fare quest'organizzazione di base. Se quest'organizzazione esiste, questo cambiamento sociale, sia per l'indipendenza o verso una maggiore giustizia sociale, sarà possibile. La prima cosa è: eliminare l'idea o la sensazione che ci devono dare il “permesso”.
Nessuno ci deve dare il permesso.


Non è nemmeno necessario il permesso per fare il referendum?
Se accettiamo questo, riconosciamo un'autoritá. Se noi crediamo nella democrazia, l'autoritá é del popolo, del collettivo. Un gruppo di persone si riuniscono, decidono che cosa vogliono e lo fanno. Ma si deve essere consapevoli che ci sará un prezzo a pagare. Ci sará una lotta.  Non possiamo pensare che solo con la decisione una cosa sará accettata.


Quale sará il prezzo?
Il prezzo della lotta sociale. In Islanda, per esempio, ha fatto una transizione senza sangue in strada. Non si tratta di dipingere uno scenario apocalittico. In Islanda sono stati in grado di superare la paura che hanno messo a loro nel corpo. Dicevano loro che se avessero lasciato le politiche europee di austerità non avrebbero mai, alzato testa. Ma hanno provato e ora sembra stiano facendo meglio di noi. Abbiamo bisogno di realizzare un cambiamento sociale. Penso che ora sia ancora possibile fare una transizione qui con poca violenza. Non siamo come in Venezuela rispetto al divario sociale, la forbice tra ricchi e poveri non è ancora a quei livelli, ma in dieci anni ci potremmo arrivare.





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