Teresa Forcades (Barcellona, 1966) è dottoressa in Medicina e dottorata
in Teologia.
Nell'anno 1997 diventó religiosa e
da allora ha vissuto nel monastero di Sant Benet, a Montserrat.
La chiamata di Dio e la vita contemplativa, tuttavia, non sono stati
degli ostacoli per diventare figura pubblica e mediatica che tiene conferenze
da tutte parti e si muove facilmente
attraverso il mondo digitale. La suora benedettina parla in modo chiaro,
difende il processo verso l'indipendenza della Catalogna ogni volta che sia
collegato a una maggiore giustizia sociale. La Catalogna gode di un momento di trasformazione. Si propone la
richiesta di indipendenza entro il 2014. La Catalogna ha una relazione con il resto dello stato spagnolo, che non
è certo “ideale”. In termini economici, si può dire che diamo più di quello che
riceviamo e che il governo centrale ci maltratta. Inoltre, la Catalogna ha una storia e la
rivendicazione di voler fare un'altra via, anche se lo stato trattasse noi
nella miglior forma possibile.
Penso che la rivendicazione nazionalistica, nella sua forma sovrana,
parte della volontà del popolo Se questa
volontà si esprime, non c'è nulla che possa fermarlo. É cosí che intendo l'articolazione della
volontá comunitaria. Abbiamo radici storiche, una lingua, ma soprattutto la
volontà di costruire un altro futuro. E questa volontá di futuro
dovranno rispettarla. E’ l'essenza della democrazia.
¿Come dovrebbe farsi questa strada?
Se credo in un progetto della Catalogna indipendente è perché penso che
si possa costruire una società con le linee guida della politica verso la
giustizia sociale molto diverso da quella che abbiamo ora. L'Europa avrebbe dovuto andare da una parte e sta
andando invece nella direzione opposta. Molte persone pensano che il sistema
attuale sia un disastro. Ci sono 1.000 milioni di persone che soffrono la fame,
ma buttiamo via tonnellate di eccedenze alimentari, conseguenza della sbagliata
organizzazione, accumuliamo bisogni irreali e dimentichiamo quelli reali. La
maggioranza delle persone ammettono che questo non funziona, ma dicono che non
c'é niente a fare . Chi dice che non si puó fare nulla ? C'é
tanto da fare!
Quindi l'indipendenza deve essere collegata a una trasformazione sociale.
Se non é cosí non ha senso. L'indipendenza ha un senso se collegata a una
maggiore giustizia sociale.
Una parte degli interessi dei potenti che non vuole cambiare l'attuale
modello, riprende la polemica nazionalistica per deviare e nascondere il
problema. Si parla dei nostri diritti, della lingua, del catalanismo. Sono
aspetti importanti. Ma quello che dovrebbe essere riflettito come aspetto
centrale é la trasformazione sociale. Non é possibile che continuino con gli
sfratti, e che continuino a tagliare i servizi. Tutti dovrebbero avere in mente
ché cosa é piú importante.
Vedete una Catalogna indipendente con maggior giustizia sociale in un
breve periodo di tempo?
La chiave è la volontà del popolo. Se questa si manifesta è irrevocabile. La sfida è come si
può organizzare la volontà popolare. Nel corso della storia ci sono state
minoranze che dominavano le maggioranze.
E come hanno fatto? Ebbene, con l'esercito, ma non solo con i militari.
L'esercito è importante, ma non c'è mai stato sufficiente la violenza a
dominare un gruppo. E’ sempre stato necessario l'elemento ideologico. Bisogna
convincere la gente che non vale la pena lottare contro l'ingiustizia. Se
invece si scopre che vale la pena lottare, non serviranno a niente tutti i carri armati che hanno.
Se tutti hanno chiaro questo, in 24 ore tutto può cambiare. Ma dobbiamo
essere consapevoli della sfida e delle difficoltà. E’ molto urgente fare quest'organizzazione
di base. Se quest'organizzazione esiste, questo cambiamento sociale, sia per
l'indipendenza o verso una maggiore giustizia sociale, sarà possibile. La prima
cosa è: eliminare l'idea o la sensazione che ci devono dare il “permesso”.
Nessuno ci deve dare il permesso.
Non è nemmeno necessario il permesso per fare il referendum?
Se accettiamo questo, riconosciamo un'autoritá. Se noi crediamo nella
democrazia, l'autoritá é del popolo, del collettivo. Un gruppo di persone si
riuniscono, decidono che cosa vogliono e lo fanno. Ma si deve essere
consapevoli che ci sará un prezzo a pagare. Ci sará una lotta. Non possiamo pensare che solo con la
decisione una cosa sará accettata.
Quale sará il prezzo?
Il prezzo della lotta sociale. In Islanda, per esempio, ha fatto una
transizione senza sangue in strada. Non si tratta di dipingere uno scenario
apocalittico. In Islanda sono stati in grado di superare la paura che hanno
messo a loro nel corpo. Dicevano loro che se avessero lasciato le politiche
europee di austerità non avrebbero mai, alzato testa. Ma hanno provato e ora
sembra stiano facendo meglio di noi. Abbiamo bisogno di realizzare un
cambiamento sociale. Penso che ora sia ancora possibile fare una transizione
qui con poca violenza. Non siamo come in Venezuela rispetto al divario sociale,
la forbice tra ricchi e poveri non è ancora a quei livelli, ma in dieci anni ci
potremmo arrivare.
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