L’altro giorno ho parlato con un giornalista
norteamericano che si è interessato alle notizie che provengono dalla
Catalogna. Con sincerità mi ha spiegato che non sapeva molte cose del nostro
paese, ma che si era documentato parecchio prima di arrivare. Il suo obiettivo
–in base a quello che mi ha detto - è quello di capire i motivi “per cui una
parte di cittadini spagnoli vogliono smettere di esserlo”. Lui lo ha espresso
in questa maniera ed io ho specificato che non si trattava di respingere o
sottovalutare nessuna identità, ma del semplice fatto di un popolo che può esercitare
la democrazia.
Una volta entrati in materia, il giornalista americano
ha cominciato a parlarmi di quello che la sovranità chiama “saccheggio fiscale”
e ho dedotto che aveva ricercato le cifre basilari. Con i dati alla mano, mi ha
detto quello che in molti sappiamo già: il deficit strutturale catalano è del
8’5% sul PIL catalano e rappresenta circa 16.500 milioni di euro negli ultimi
tre anni. Aveva anche studiato come la solidarietà interterritoriale abbia
effetti sulla Catalogna, che perde 7 posti una volta che si livellano le
diverse autonomie, per colpa della mancanza del principio d’ordinalità. Il
paradosso – ho aggiunto io – è che le comunità che creano meno richezza sono
quelle che finiscono per avere più risorse per abitante rispetto a quelle che
creano più richezza.
A quel punto è rimasto
a pensare, mi ha chiesto del tentativo fallito del nuovo patto fiscale e
ha detto, soddisfatto: “adesso capisco: questo movimento per l’indipendenza
catalana è un fatto di interessi, come succede in Italia con la Lega Nord”. Sul
momento, ho detto che, se gli argomenti economici e fiscali erano molto
importanti in questo movimento di sovranità e che avevano convinto molte
persone, sarebbe un errore giustificare il movimento soltanto per questo
fattore. C’è bisogno di andare più lontano, ho detto.
L’americano ha sorriso e mi ha mostrato altri
documenti. A partire da quel momento, mi ha fatto una sintesi abbastanza
corretta della storia della cultura catalana, con riferimenti a “El Tirant”, il
monastero di Montserrat, il rinascimento, l’immersione della lingua nelle
scuole e la creazione di TV3. Nel suo iphone aveva canzoni di Raimon, Lluís
Llach, Sopa de Cabra e Manel, di cui non capiva niente ma gli piacevano molto.
Qualcuno gli aveva dato – lo aveva su l’ipad – un episodio della serie di TV
Dallas doppiato in catalano e un frammento del film “Pa negre”.
Lui continuava a sorridere: “Forse non mi sono
spiegato bene prima, volevo dire che i soldi sono determinanti, ma so che l’
identità della Catalogna si basa su una cultura e una lingua diversa da quella
spagnola”. Io ascoltavo affascinato. Poi ha parlato del ministro Wert e delle
occorrenze del governo aragonese, perché mi voleva dimostrare che sapeva tutto
e alla fine disse: “Capito, il movimento per l’indipendenza è una cosa tra
lingua e cultura, si deve evitare che spariscano, un po’ come in Quebec”. Lui
pensava che, questa volta, aveva detto bene ma io ho detto che: era evidente la
base culturale del nazionalismo catalano, ma la gente non vuole separarsi solo per
la protezione culturale.
Il giornalista non sorrideva più. Se non erano né i
soldi né la lingua, cos’è è quello che muove una parte importante dei cittadini
catalani a volere un referendum? Mi ha guardato come un giocatore di Poker e ha
buttato il suo asso in tavola. Sorrideva un’altra volta: “Credo che adesso lo
capisco: il movimento per l’indipendenza si tratta di potere. L’obiettivo è
quello di avere una bandiera all’ONU, avere ambasciate, parlare a Bruxelles,
dire che Barcellona è capitale di uno Stato e...” l’ho interrotto, e con
gentilezza ho detto che non era nemmeno quello. Per capire l’attuale momento
della Catalogna, doveva considerare una dimensione che nessuno diceva mai però
che era quella più importante.
La sovranità – ho spiegato mentre lui lo scriveva – è,
sopratutto, una causa morale. Questo significa che nasce da affermare che la
catalanità è stata ed è, per i poteri formali e non formali spagnoli, un modo
anomalo e difettoso di spagnolità. Se la catalanità è una identità sospettosa
dentro la Spagna, si deve scioglere, annegare e soprattutto escludere da
qualsiasi posto di potere. Pochi anni fa un’ azienda catalana su un’altra disse
“meglio tedesca che catalana”. Il catalano è sempre colpevole di non essere uno
spagnolo autentico, anche se non è nazionalista. Il giornalista americano non
credeva quello che stavo dicendo. Ho aggiunto che quello tra i baschi e gli
spagnoli non c’entrava, perché era chiaro che – ad esempio – nessuno discute il
concerto fiscale di Euskadi e Navarra.
La sovranità catalana è una causa morale. Si nutre di
argomenti economici, culturali e politici che offre Madrid ogni giorno, ma va
tutto più lontano. È una causa morale perché è correlata con la necessità di
non dover dare spiegazioni a tutti su quello che siamo, come se fossimo
bambini. Chi non capisce questa dimensione profonda del conflitto non potrà mai
capire quello che muove migliaia di catalani e catalane. Il visitante si che
capì il concetto.
Francesc-Marc Álvaro
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