mercoledì 25 settembre 2013

Né per la lingua né per i soldi


L’altro giorno ho parlato con un giornalista norteamericano che si è interessato alle notizie che provengono dalla Catalogna. Con sincerità mi ha spiegato che non sapeva molte cose del nostro paese, ma che si era documentato parecchio prima di arrivare. Il suo obiettivo –in base a quello che mi ha detto - è quello di capire i motivi “per cui una parte di cittadini spagnoli vogliono smettere di esserlo”. Lui lo ha espresso in questa maniera ed io ho specificato che non si trattava di respingere o sottovalutare nessuna identità, ma del semplice fatto di un popolo che può esercitare la democrazia.

Una volta entrati in materia, il giornalista americano ha cominciato a parlarmi di quello che la sovranità chiama “saccheggio fiscale” e ho dedotto che aveva ricercato le cifre basilari. Con i dati alla mano, mi ha detto quello che in molti sappiamo già: il deficit strutturale catalano è del 8’5% sul PIL catalano e rappresenta circa 16.500 milioni di euro negli ultimi tre anni. Aveva anche studiato come la solidarietà interterritoriale abbia effetti sulla Catalogna, che perde 7 posti una volta che si livellano le diverse autonomie, per colpa della mancanza del principio d’ordinalità. Il paradosso – ho aggiunto io – è che le comunità che creano meno richezza sono quelle che finiscono per avere più risorse per abitante rispetto a quelle che creano più richezza.

A quel punto è rimasto  a pensare, mi ha chiesto del tentativo fallito del nuovo patto fiscale e ha detto, soddisfatto: “adesso capisco: questo movimento per l’indipendenza catalana è un fatto di interessi, come succede in Italia con la Lega Nord”. Sul momento, ho detto che, se gli argomenti economici e fiscali erano molto importanti in questo movimento di sovranità e che avevano convinto molte persone, sarebbe un errore giustificare il movimento soltanto per questo fattore. C’è bisogno di andare più lontano, ho detto.

L’americano ha sorriso e mi ha mostrato altri documenti. A partire da quel momento, mi ha fatto una sintesi abbastanza corretta della storia della cultura catalana, con riferimenti a “El Tirant”, il monastero di Montserrat, il rinascimento, l’immersione della lingua nelle scuole e la creazione di TV3. Nel suo iphone aveva canzoni di Raimon, Lluís Llach, Sopa de Cabra e Manel, di cui non capiva niente ma gli piacevano molto. Qualcuno gli aveva dato – lo aveva su l’ipad – un episodio della serie di TV Dallas doppiato in catalano e un frammento del film “Pa negre”.

Lui continuava a sorridere: “Forse non mi sono spiegato bene prima, volevo dire che i soldi sono determinanti, ma so che l’ identità della Catalogna si basa su una cultura e una lingua diversa da quella spagnola”. Io ascoltavo affascinato. Poi ha parlato del ministro Wert e delle occorrenze del governo aragonese, perché mi voleva dimostrare che sapeva tutto e alla fine disse: “Capito, il movimento per l’indipendenza è una cosa tra lingua e cultura, si deve evitare che spariscano, un po’ come in Quebec”. Lui pensava che, questa volta, aveva detto bene ma io ho detto che: era evidente la base culturale del nazionalismo catalano, ma la gente non vuole separarsi solo per la protezione culturale.

Il giornalista non sorrideva più. Se non erano né i soldi né la lingua, cos’è è quello che muove una parte importante dei cittadini catalani a volere un referendum? Mi ha guardato come un giocatore di Poker e ha buttato il suo asso in tavola. Sorrideva un’altra volta: “Credo che adesso lo capisco: il movimento per l’indipendenza si tratta di potere. L’obiettivo è quello di avere una bandiera all’ONU, avere ambasciate, parlare a Bruxelles, dire che Barcellona è capitale di uno Stato e...” l’ho interrotto, e con gentilezza ho detto che non era nemmeno quello. Per capire l’attuale momento della Catalogna, doveva considerare una dimensione che nessuno diceva mai però che era quella più importante.

La sovranità – ho spiegato mentre lui lo scriveva – è, sopratutto, una causa morale. Questo significa che nasce da affermare che la catalanità è stata ed è, per i poteri formali e non formali spagnoli, un modo anomalo e difettoso di spagnolità. Se la catalanità è una identità sospettosa dentro la Spagna, si deve scioglere, annegare e soprattutto escludere da qualsiasi posto di potere. Pochi anni fa un’ azienda catalana su un’altra disse “meglio tedesca che catalana”. Il catalano è sempre colpevole di non essere uno spagnolo autentico, anche se non è nazionalista. Il giornalista americano non credeva quello che stavo dicendo. Ho aggiunto che quello tra i baschi e gli spagnoli non c’entrava, perché era chiaro che – ad esempio – nessuno discute il concerto fiscale di Euskadi e Navarra.

La sovranità catalana è una causa morale. Si nutre di argomenti economici, culturali e politici che offre Madrid ogni giorno, ma va tutto più lontano. È una causa morale perché è correlata con la necessità di non dover dare spiegazioni a tutti su quello che siamo, come se fossimo bambini. Chi non capisce questa dimensione profonda del conflitto non potrà mai capire quello che muove migliaia di catalani e catalane. Il visitante si che capì il concetto.


 


Francesc-Marc Álvaro

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