sabato 28 settembre 2013

Call their bluff (Mostrino le loro carte)






L’indipendenza catalana è possibile e, a giudicare dagli studi di opinione pubblica più recenti e la mobilitazione cittadina di massa pro-indipendenza della Via Catalana, è l’opzione di futuro con più probabilità di diventare realtà. Si può capire facilmente che nessuna autorità spagnola non si dedicherebbe a discutere dei presunti inconvenienti dell’indipendenza catalana se lo Stato catalano non fosse uno scenario pienamente fattibile.


La previsibile vittoria del “Si” in un referendum di autodeterminazione –o la vittoria indipendentista in elezioni plebiscitarie– dovrebbe intendersi come un inequivocabile mandato democratico per iniziare i cambiamenti strutturali necessari per stabilire un Stato catalano operativo. Conseguentemente, la transizione verso l’indipendenza –propriamente detta– avrebbe inizio il giorno dopo aver manifestato il mandato sovranista del popolo catalano. Dunque, se il referendum per l’indipendenza avesse luogo nel settembre del 2014 e, tenendo conto degli studi realizzati dal governo scozzese, sono da prevedere circa 16 mesi di trattative con lo Stato spagnolo e l’Unione Europea per determinare la meccanica indispensabile e per garantire il trasferimento di sovranità richiesta per il funzionamento del nuovo Stato catalano.


Considerando l’ostruzionismo delle elite centrali spagnole negli ultimi 10 anni di trattative sull’auto-governo catalano, l’endemica tendenza all’autoritarismo e la paura a scatenare un effetto domino in altre giurisdizioni (es. Euskadi), prevediamo un’opposizione tenace di Madrid all’inizio di questi summit. Pertanto, anticipando la mancanza di cooperazione spagnola, le trattative si potranno produrre con la mediazione e la pressione dell’Unione Europea (UE).


Si può sentire legittima perplessità di fronte allo scenario presentato tenendo conto delle dichiarazioni dell’on. Joaquín Almunia e di altri rappresentanti della Commissione Europea sulle conseguenze legali dell’indipendenza catalana. Ciò nonostante, gli avvisi dati dalla Commissione sono un bluff ed hanno una tripla natura: 1) vogliono evitare di attizzare altri movimenti indipendentisti in altri stati dell’UE; 2) rispondono alla preghiera del governo spagnolo fatta agli altri stati europei dopo aver constatato la perdita di autorità morale spagnola di fronte alla maggioranza dei cittadini catalani; e 3) pretendono scoraggiare gli indecisi più europeisti.


Mentre i catalani possiamo sperare che l’Europa accetti la nostra volontà democratica, dobbiamo essere abbastanza maturi da sapere che l’UE non si dedicherà a fomentare un cambiamente di “statu quo” interno. Di fatto, in altre occasioni precedenti, l’Europa è arrivta ad affermare tassativamente che non avrebbe riconosciuto dei nuovi Stati creati a partire dalla disintegrazione de uno Stato plurinazionale; eppure, la Slovenia e la Croazia oggi sono membri di pieno diritto dell’Unione.


Sebbene l’alternativa d’includere lo Stato catalano –6a. zona industriale più importante d’Europa– nell’Associazione Europea di Libero Commercio (AELC) –European Free Trade Association (EFTA) in inglese– rimarrebbe una prospettiva inmune ad un veto spagnolo e garantirebbe la libera circolazione di merci e capitali tra la Catalogna ed il resto di Europa –chiave per proteggere gli interessi francesi e tedeschi nel nostro Principato– lo scenario dell’EFTA è da considerare, solamente, come una semplice controproposta di pressione durante il processo di trattativa tra lo Stato spagnolo e le nuove autorità catalane. Di più, una soddisfacente integrazione catalana nell’EFTA potrebbe essere controproducente per la stessa UE perchè, potenzialmente, favorirebbe la disintegrazione politica ed incentiverebbe altri movimenti euroscettici dell’Unione.



Se adottiamo una prospettiva consistente nella Realpolitik, nè lo Stato spagnolo –incapace di affrontare in esclusiva il pagamento del proprio debito– può arroccarsi durante le trattative di secessione catalana, e nemmeno l’UE può permettersi la perdita delle Stato catalano, il più ricco dell’Europa meridionale e destinato ad essere un contribuente netto alle casse dell’Unione. E ancora, con un mandato democratico inequivocabile, il caso catalano evidenzierà una doppia realtà: 1) La Catalogna rimane il paese dello Stato spagnolo più omologabile ai valori politici del resto dell’Unione come si sta dimostrando il pacifico e costruttivo processo sovranista; e 2) l’UE, come difensore del metodo democratico per risolvere i conflitti, non può accettare la prigionia di una nazione contro la sua volontà, in uno Stato coercitivo ostile culturalmente e che minaccia con penalizzazioni economiche future.


Ringrazio Aleix Sarri, assistente dell’on. Ramon Tremosa deputato del Parlamento Europeo, per la preziosa analisi di questo articolo.


Agustí Bordas
El Singular Digital .23/09/2013

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