mercoledì 21 agosto 2013

300 anni fa, ebbe inizio un’assedio...

 
 
Nella giornata di San Giacomo di 300 anni fa, l’esercito delle Due Corone, Francia e Spagna, comandato dal duca di Populi, arrivò alle porte della città di Barcellona. Il giorno prima, era stata issata la bandiera di Santa Eulalia nella Casa della Città, simbolo inequivocabile della chiamata alla lotta del popolo di Barcellona. Già da giorni i Consiglieri della Città indossavano l’armatura nera, segnalando senza lasciare dubbi, che la lotta era per la vittoria o la morte. Quel 25 luglio del 1713 dei volontari catalani a cavallo attaccavano l’avanguardia dell’esercito borbonico, mentre le batterie di artiglieria di Barcellona bombardavano il corpo principale delle truppe franco-spagnole. Finalmente, queste si sarebbero ritirate sul Piano dell’Hospitalet de Llobregat, mentre una flotta di 6 galere e 30 navi minori chiudevano il cerchio alla città assediata. Barcellona, “capitale e madre” della patria –come si poteva leggere su molti volantini pubblicati all’epoca-, si preparava a resistere a un assedio che avrebbe causato l’ammirazione di mezza Europa e che sarebbe finito più di un anno dopo, durante l’eroica giornata dell’11 di settembre del 1714.

Come un grande respiro di storia risorge la lotta di un popolo che si riconosceva libero e voleva vivere libero. L’accanita difesa dei catalani di quello che consideravano formasse parte della loro più intrinseca personalità –le Istituzioni, i diritti, le Costituzioni- si eleva oggi ancora come un’impresa memorabile ed epica. “Finisca la nazione con gloria!”, gridava il cavalier Manuel Ferrer i Sitges alla Junta de Braços (Assemblea dove erano rappresentati i tre bracci: nobiltà, chiesa e popolo). E probabilmente fu necessaria questa fine onorevole per poter rinascere, quasi un secolo e mezzo dopo e dare inizio all’esercizio del recupero della memoria che permane fino ad oggi, in questo lungo, tenace ed insieme ondeggiante viaggio che stiamo facendo i catalani per trovare noi stessi. Si, eravamo morti, e la Renaixença (movimento culturale dell’800) fu la scintilla che accese nuovamente la torcia in quella nazione che si era dissolta in nero.

In questi giorni abbiamo ascoltato (ed è soltanto, oh Madonna!, l’inizio di quello che ci aspetta) un gocciolio di critiche per questa ossessione “malaticcia” dei catalani per la propria storia. Ed è che niente fa più popolo che la storia del popolo. Sono solito citare questa frase del nostro più grande storico, Ferran Soldevila, che dedicò la vita intera ad approfondire la conoscenza di chi eravamo. Lui stesso spiegava che lo guidava in questa ardita piramide soltanto un obiettivo: “Fare della Catalogna un popolo normale”.

Un popolo normale è un popolo che conosce sè stesso, che i suoi giovani studiano alle scuole ed istituti, e che le sue televisioni programano regolarmente trasmissioni sulla storia. E’, dunque, evidente che ancora ci manca da percorrere un buon tratto di strada, perchè ancora la smemoratezza è troppo presente tra i nostri connazionali.

Per questo, uno dei pilastri del processo di normalizzazione nazionale –cioè, l’indipendenza- è la storia e la cultura. Senza queste nostre radici, nessuno straniero capirà mai le nostre rivendicazioni.

Abbiamo un’opportunità straordinaria, in un anno dove risuonerà come non mai quel grido di libertà che fu l’assedio di Barcellona. Sfruttiamolo. E’ l’unico modo di fare che l’esercizio della memoria non diventi puerile o sterile, ma anzi creativo e trasformatore, interpellatore. E’ così che sembrerà di ascoltare il rintocco delle campane che arriva da lontano. E vi sentirete capovolgere. Apparteniamo a questa terra. E’ il grido di questa terra. Le campane, chiaramente, suonano per noi. Per ricordarci chi siamo stati e chi saremo.
 
Quim Torra
El Singular Digital - 24/07/2013

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