giovedì 12 giugno 2014

Castelli per la Normandia


Avvenne il 7 ottobre del 1943. Erano in due. Portavano una bomba a mano, un coltello e due pistole. Beffarono la vita. Un, due, tre. Alla terza. L’ultima notte era molto scura. Ancora uan volta di fronte alla falce, ma ora "come guide di una pattuglia britannica tornarono ad oltrepassare il fiume e aiutarono ad eliminare una postazione di sentinelle tedesche". Sberleffo, scherzo della vita. Uno dei due cadde ferito. L'altro "lo aiutò a camminare finchè fu possibile e dopo lo caricò sulle spalle. Arrivarono tutti e due al fiume, dove salirono su una barca che li portò sulla sponda alleata". Ne fu informata molta gente. Lo dice il giornale. Lo spiega il giornalista nordamericano John Lardner nel “The Evening Sun” di New York. Si, "i primi uomini di tutte le nostre truppe che riuscirono ad attraversare il fiume Volturno". A Napoli. Quelli che hanno sturato lo scarico. L’invasione dell’Italia. Il fiume separava l’esercito tedesco da quello alleato. Il sud dell’Europa iniziava a sbloccarsi. E ora mancava il nord. Sarebbe arrivato anche lì. Il 6 giugno del 1944. Battaglia della Normandia. Quei due erano dei "nostri" e si chiamavano Ferran Esteve e Josep Vilanova. Due catalani. 26 e 23 anni. Lottavano dal 1936. E continuarono con la Guerra europea. Cosa ci facevano là? 

E cosa ci faceva un ragazzo catalano nel Pacifico? Cosa faceva Lluís Vallés de Molló nelle filippine agli ordini del generale McArthur? Nel 1936 aveva 16 anni. Faceva parte delle milizie catalane. Anche lui visse tutto quanto.... e nel 1945 era tenente dei marines americani. Come mai? "Non sono l’unico, ci sono tanti catalani che hanno combattuto e combattono nelle file dell’esercito americano". E come mai, figlio mio? "Ci hanno detto che lottiamo per la libertà del mondo. E ciò mi fa pensare che non ho lottato soltanto per gli Stati Uniti, ma anche per la Catalogna". Dobbiamo spiegare tutto questo.

Ebbene, lasciamolo spiegare ad un soldato della nostra Guerra. Lo scrittore Joan Sales. Se "avevamo preso parte come volontari nella guerra di Spagna è perchè ai nostri occhi quella guerra non era civile ma nazionale: una guerra per la libertà della nostra patria (Catalogna). Ci definiva un’altra cosa, senza la quale non avrebbe avuto senso per noi l’impegno: la volontà di organizzare una unità che, sotto la nostra bandiera riconosciuta dagli alleati, combattesse al loro fianco nella guerra mondiale che allora si trovava nella sua fase più cruenta. Da qui la nostra stretta connessione con i colonnelli Enric Pérez-Farràs, che aveva lanciato un appello in favore di quell’idea e con Vicenç Guarner, che lavorava per farla divenire possibile sfruttando i suoi rapporti con elementi militari nordamericani grazie alla carica che occupava nello Stato Maggiore dell’esercito messicano. Sfortunatamente non potevamo stabilire contatto con il colonnello Frederic Escofet, che era rimasto bloccato in Europa nei territori occupati dai nazisti. Noi li consideravamo i nostri capi (...). Era nostra intenzione che i Quaderni fossero un mezzo di propaganda al servizio della creazione di, appunto, una unità catalana. Credevamo che il nostro esilio valesse la pena se contribuiva al proseguimento della lotta per la Catalogna e, poveri illusi, pensavamo che grazie al nostro contributo saremmo stati chiamati a sederci al famoso “tavolo della Pace” di cui tanto si parlava durante la guerra.

Questa è una delle ragioni per le quali Sales ed il suo gruppo promossero la creazione della rivista più combattente dell’esilio: i Quaderni dell’esilio. Ma non successe nulla. Nè unità catalana, nè niente. Però... come spiega la pubblicazione nel 1944: "Quando potranno essere riuniti tutti i dati e rivedere la storia della partecipazione individuale dei nostri connazionali nella guerra universale contro il fascismo, molti avranno una grossa sorpresa. Alla fine della Prima guerra mondiale si constatò che, in proporzione al numero di abitanti dei rispettivi paesi, c’erano più morti catalani di quelli “yankee”, cosa che non impedì il fatto che, siccome la partecipazione catalana non era di carattere ufficiale -nazionale-, il nostro paese non fosse neanche menzionato nei trattati di pace conseguenti. Non sarebbe il caso di fare che tutti questi sacrifici, con slancio individuale, non siano sterili?". E così via fino alla Seconda Guerra Mondiale.

Abbiamo sempre offerto un esercito di individualità per gli altri. Siamo dei fantasmi delle altre cause perchè crediamo che così possiamo aiutare la nostra causa quando questa ha perso le forze. Abbiamo più forza per gli altri che per noi stessi. Per questo tutti i nostri soldati sono invisibili. Perfino quello più famoso e decisivo: Joan Pujol Garcia. Barcellonese. Spia del doppio gioco: “Garbo” per i britannici. “Arabel” per i tedeschi. Ebbe un ruolo chiave nel successo dello sbarco della Normandia. Insomma, nella liberazione dell’Europa. L’informazione falsa che Pujol diede alla Germania aiutò a convincere Hitler che il giorno D sarebbe arrivato più tardi e in un altro luogo. Come tanti catalani è conosciuto e riconosciuto più all’estero che da noi. Ma la cosa importante è perchè fece Pujol tutto quello? Di famiglia catalanista, il 1936 le scoppiò in faccia. Come alla stragrande maggioranza di catalani. Vide il fascismo e anche la rivoluzione. Rimase bloccato tra due dittature. Quella che diceva che era "dei nostri" e quella "degli altri". Il rosso ed il nero, come dice Sales. Pur essendo andato in Guerra ne rimase schifato (...)

Lui, come la maggioranza dei catalani, è l’unica terza via: quella della libertà. Ne gli uni nè gli altri. Ma morsi dagli uni e dagli altri. E, a differenza degli uni e degli altri, contrari alla violenza, "io non volevo lottare con le armi". Diventò invisibile, come tutti i catalani. Diventò spia. Per la libertà. E cambiò il gioco dell’umanità. Mentre la Catalogna, paradossalmente, rimaneva sempre più invisibile, sempre più schiava senza libertà. 

Siamo un esercito di individualità. Non riescono a eliminarci perchè siamo dei cecchini dietro a una finestra, sotto il tappeto, dentro gli occhi di una civetta o mimetizzati nella lattuga. Imprevedibili, impercettibili, irrequieti, liberi. Questo vuol dire lottare, ma non significa vincere. Lottatori ma non vincitori. Perchè per vincere, come diceva il Colonnello Vicenç Guarner, bisogna avere "lo spirito del comando". Ordine, obbedienza, disciplina, sacrificio. E ricorda che tutte le democrazie moderne: scandinava, britannica, svizzera... "hanno trovato la loro salvezza per lo 'spirito del comando". Non parliamo di guerra, di bellicismo; parliamo di politica, di società. Ci vuole visione esatta, decisione rapida e precisa. Ci vuole unità.


Il nostro unico esercito è umano. Per questo siamo passati dall’individualità alla collettività. Adesso, dopo 70 anni dallo sbarco della Normandia, l’Europa vede il nostro sbarco di libertà. Cinque milla uomini che alzano delle torri umane in otto capitali europee e in quarantuno paesi catalani. Il cannone delle “Human tower for democracy” spara lo slogan Catalans want to vote. Ma la cosa più ipnotica non sono questi castelli umani che si elevano verso l’alto in forma magnifica. Che lasciano la bocca aperta e un piacevole torcicollo. No. A me quello che mi meraviglia è il tremore dei corpi. Il tremolio delle braccia e delle gambe. Quel tremolio che non ti permette di cadere. Un tremore indistruttibile. Un tremore che elettrizza gli esseri come un filo di alta tensione in mezzo alla tempesta. Come tutti quei soldati che sbarcarono in Normandia e avevano le gambe e l’anima tremante. Come tutti quei soldati catalani che lottarono invisibilmente a fianco degli alleati e che, un giorno, dovremo identificare, riconoscere, omaggiare e spiegare... Oggi il nostro sbarco per tutti quelli che lottarono per la libertà è questo tremore catalano dei “castellers” – uomini che alzano “castells”, torri umane. E’ l’evoluzione del tremore. 

L’Europa, il mondo, possono vedere il tremore della nuova Normandia di questo secolo. Una lotta silenziosa, invisibile, dolorosa, umiliante, tragica, costante, creativa. Ma senza armi, senza guerra. Pacifica, umana. E’ una lotta che trema insieme. E’ il tremolio della verità, come il tremore che si prova prima della libertà.


Francesc Canosa 
El Singular.cat

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