giovedì 15 maggio 2014

Il momento della rottura democratica


«Non si tratta, beneamato presidente, di chiedere ai cittadini con elezioni autonomiche se possediamo il diritto a decidire»


“Voi siete venuti qui per parlare di qualcosa che non esiste, non esiste nessuna sovranità distinta da quella del popolo spagnolo. Semplicemente, non esiste!”. Con questa chiarezza diafana Rajoy ci dice che non c'è la benché minima possibilità. Non esiste la volontà di riconoscere che siamo un popolo e una nazione, né di incorporare nella legalità vigente il diritto a decidire, neppure potendolo fare perfettamente. È vero che il Tribunale Costituzionale ha incorporato per la prima volta l'espressione "diritto a decidire" nella sua dottrina, però lo rende inviabile incastrandolo nei procedimenti che lo Stato tutela e autorizza.

Né aspettare servirà a qualcosa né c'è carotina federale che serva. Il partito nazionalista basco, il PNB, ricordava al lider socialista Rubalcaba (questo grande federalista che al momento della verità no permette neppure la cessione dell'aerodromo di Sabadell) che il solito ritornello del dialogo e della riforma costituzionale già lo aveva usato nove anni fa, allora contro il Piano Ibarretxe, e dopo un bel nulla. 

Ci negano però siamo. Siamo una delle nazioni più antiche d’Europa, e una delle proposte più moderne: una nazione che basa la sua esistenza nel riconoscimento mutuo e volontario dei suoi cittadini, un paese che nascerà dal voto. Pertanto, la questione non è quale cammino seguiremo dentro il labirinto costituzionale spagnolo, la questione non è se ci sarà o no una rottura democratica. La questione è quale sarà il momento più appropriato per farla effettiva.

Non si tratta, beneamato presidente, di chiedere ai cittadini per mezzo delle elezioni autonomiche se possediamo il diritto a decidire. Il 25 di novembre del 2012 già abbiamo risposto a questa domanda, in maniera inequivocabile e chiara: il 74% dei voti hanno detto che siamo un soggetto sovrano per decidere e ci hanno assegnato il mandato per fare un referendum. Questo passo già l’abbiamo fatto. 

Le elezioni rappresenterebbero un passo avanti soltanto se trattassero della dichiarazione unilaterale d'indipendenza. Però in questo caso, tutte le candidature risponderebbero alla stessa domanda o ciascuno proposerebbe un plebiscito a modo suo? Si votarebbe solo sul tema della indipendenza o anche sui programmi dei partiti? In questa tessitura, è sicuro che la maggior parte dei mezzi di comunicazione situerebbe il dibattito elettorale tra promesse false di terze vie e l'abisso siderale. E, ovviamente, queste elezioni, una volta vinte dal programma elettorale (o somma di programmi) che includi l'indipendenza, non eviterebbero la necessità di operare una rottura democratica con il riferimento costituzionale spagnolo. 

Il referendum del 9 di novembre, in cambio, propone la decisione in una maniera chiara e isolata dal resto delle altre questioni. Lo capiscono i Catalani e lo capisce il mondo. Situa questa decisione libera come il punto iniziale d'un processo d'independenza negoziato. Cambia gli schemi mentali dell'opinione pubblica catalana, spagnola e internazionale. Scarica la responsabilità della prova dall’altra parte: chi e come, in democrazia, può impedire che si conosca la opinione dei cittadini? Ingloba la terza via federale d'una maniera concreta, se c'è qualcuno che davvero la vuole concretare. Il dibattito non sarebbe tra la falsa terza via e l'abisso, ma tra l'immobilismo di come stiamo, una proposta concreta (se davvero arriva) di via federale e l’inizio de processo negoziatore d'indipendenza. Il grosso dei mezzi di comunicazione potrà dire quello che vuole, però il dibattito già sta situato tra noi che vogliamo che tutti votino e quelli che non vogliono che votino neppure i loro.

Il referendum ha solo un piccolo inconveniente, che è un grande vantaggio: temporalmente è più vicino. La rottura democratica sarà inevitabile perché lo Stato lo ha voluto cosí. Siamo stati e continuaremo a essere estremamente immacolati nelle forme e nei procedimenti. Però non ci faccia paura la rottura, se si fa con un voto in mano.



Oriol Amorós
Membro del Parlamento catalano

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